Corriere della Sera - La Lettura
L’inferno è sulla Terra «Soffro, ma resisto»
L’intervista Nel libro di oltre 800 pagine «Solenoid», che in Italia arriverà nel 2021, il romanziere romeno Mircea Cartarescu immagina un autore fallito che cerca una via di fuga dal dolore. In «Melancolia», che arriverà in autunno, il dolore è dei bambini. Ma non c’è alternativa a vivere, scrivere, conoscere
L’apocalisse a Bucarest. Perché, come già diceva Italo Calvino ne Le città invisibili (Einaudi, 1972), «l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme». Nel suo «romanzo totale» Solenoid, lo scrittore romeno Mircea Cartarescu, considerato una delle voci più importanti della narrativa europea, va persino oltre. «Il dolore è nel libro il vero significato della realtà: se qualcosa non ti fa male — spiega — non riesci a sentirlo. La vita è una prigione, una tortura. La mia Bucarest è collegata con l’inferno, dove i diavoli si nutrono delle pene degli esseri umani. E alla fine la città scompare: si alza in aria, cade in pezzi, si perde nel cosmo».
Solenoid, 840 pagine nell’edizione romena (Humanitas, 2015), in Italia arriverà nel 2021 per il Saggiatore. Al centro, la questione delle questioni: il senso della vita e del mondo, in un iper-romanzo che contamina altre discipline, come la fisica, e sconfina sul piano della visione e del sogno, perché la ragione da sola non basta. Un successo di critica in Spagna dove è uscito a giugno, tre mesi fa il volume è stato pubblicato in tedesco ed è stato protagonista, in ottobre, alla Fiera del libro di Francoforte. Cartarescu, portato in Italia dall’editore Voland (che ha pubblicato tra l’altro la trilogia divenuta un caso internazionale, Abbacinante), è ora molto
conteso nel nostro Paese. Nell’autunno 2020 il suo Melancolia uscirà da La nave di Teseo. «La Lettura» lo ha incontrato. «Solenoid» è un titolo suggestivo ma enigmatico. Come è nato?
«Quando ho finito il libro, ho pensato a oltre 200 alternative. Il titolo è come il nome di un neonato: influenza un destino. Solenoid mi è piaciuto perché è magico. Nessuno all’inizio sa cosa vuol dire, incuriosisce. Ma è anche strettamente legato a ciò che avviene nel romanzo».
Il solenoide è centrale.
«Nella realtà è una bobina formata da spire circolari, di solito usata nello studio dell’elettromagnetismo. Nel romanzo ne ho immaginate sei, con spirali molto larghe, piazzate a Bucarest. Una è sotto la casa del protagonista, le altre sono in diversi punti della città: se collegate alla corrente fanno levitare tutto ciò che è nelle vicinanze, palazzi, persone. La levitazione interpreta il nostro desiderio di volare, di innalzarci. Spesso nelle arti figurative i
santi o le figure in qualche modo illuminate sono stati rappresentati sollevati da terra. Lo fece pure Salvador Dalí». In «Solenoid» la levitazione è anche un modo per sfuggire all’inferno.
«Il destino umano è distruzione e morte, quindi, sì, il tema principale è come evadere. E come venire fuori dai propri limiti. Il protagonista non si rassegna, si oppone, protesta contro la pazzia e l’agonia del mondo. Fa quello che il poeta Dylan Thomas suggerisce in Non andar
tene docile in quella buona notte: resiste. E un confine a un certo punto si apre, potrebbe evadere nella quarta dimensione, ma la scelta è dilaniante. Entra in gioco il suo sentirsi parte dell’umanità, la solidarietà con tutti gli altri, con sua figlia, sua moglie, gli amici: l’inferno, con chi ama. La decisione arriverà dopo un processo complesso e labirintico».
Il protagonista è un suo doppio.
«Il romanzo è ambientato in Romania tra il 1980 il 1989, l’anno della rivoluzione di cui ricorre in questi giorni l’anniversario. In quel periodo ho insegnato in una scuola di un sobborgo povero di Bucarest. Ecco lì lavora pure il protagonista, che sono io, ma in una vita parallela. All’epoca debuttai come poeta e fui incoraggiato ad andare avanti. Il mio personaggio invece fallisce e resta un anonimo professore. L’ambizione però non si spegne. Vuole realizzare il libro più importante mai scritto, anche se lo fa solo per sé stesso, come atto puro, non ha più vel
leità di pubblicazione. Scrive di cosa gli accade, attingendo al fantastico, al metafisico, al religioso. Vuole creare una nuova Divina Commedia e il suo manoscritto, alla fine, è anche il mio romanzo».
Dove sono purgatorio e paradiso?
«Sono presenti in modo metaforico. Sarebbe folle pensare di paragonarsi davvero a Dante! La caratteristica principale della Divina Commedia è dire tutto il possibile sull’essere umano. E questo vuole anche il mio protagonista: aspira a un romanzo totale, olografico, in cui ciascuna parte corrisponda al tutto, descrivendo sia il lato luminoso sia il lato oscuro degli individui, il loro purgatorio e il loro paradiso. Il mio personaggio scrive per capire il mondo e la sua vita. E alla fine è come se la Commedia venisse rivissuta al contrario: dal paradiso fin dentro l’inferno e oltre, perché l’inferno alla fine esplode, Bucarest si solleva e va in pezzi». In «Melancolia» mescola storie accomunate dallo stesso stato d’animo.
«È una raccolta di vicende interconnesse. Al centro ci sono bambini e adolescenti che provano abbandono e solitudine. La separazione da madri o fratelli si traduce in mondi pieni di poesia, paesaggi fantastici ma anche crudeltà. Sono pagine più romantiche e surrealiste di quelle dei miei grandi romanzi: in tal senso più simili al libro del 1993 Nostalgia ».
Apocalisse, malinconia. Anche lei però, come il protagonista di «Solenoid», nutre una fortissima fede nella scrittura. È una forma di salvezza?
«La letteratura è conoscenza, come la matematica, la filosofia, la teologia. Conoscenza della realtà, che non consiste solo in ciò che vediamo con gli occhi e sentiamo con le orecchie, ma anche nei sentimenti, nei ricordi, nei sogni, nelle allucinazioni, nella nostra chiaroveggenza. Da questo punto di vista mi sento più realista di autori che si definiscono tali. Scrivere di matrimoni e divorzi, storia e guerre, non dà accesso a tutta la realtà, al suo lato notturno. Lo capirono scrittori come Joyce, Virginia Woolf, Thomas Mann. Scrivere per me è vivere, respirare. Chiedermi perché scrivo è come chiedermi perché il mio cuore batte. Scrivo per sentire che esisto, per sentire che la mia vita ha un significato. Lo faccio da quando avevo 10 anni. E poi leggo tantissimo».
Chi sono i «suoi» autori?
«Ogni estate rileggo Dostoevskij, l’intero cofanetto di 11 sue opere. E poi Thomas Pynchon, Franz Kafka, Dante, Shakespeare, Rilke, alcuni classici romeni».
Si definisce un autore «impegnato»?
«Uno scrittore è un essere umano e come tale deve essere coinvolto nella comunità, preoccuparsi delle diseguaglianze, di chi è margini. I rom, ad esempio: ne ho scritto molte volte, perché sono discriminati ovunque. Mi sono espresso in difesa degli omosessuali: anche dopo la rivoluzione, fino alla metà degli anni Novanta, in Romania c’era una legge che li mandava in carcere. Mi sono schierato contro il sessismo. Sono per l’Europa, la democrazia, la giustizia e i diritti umani».
L’Ue vive una fase delicata.
«È stata una delle più grandi idee della storia. I Paesi europei hanno un passato condiviso complesso e sanguinoso, anche per questo è difficile tenerli insieme. L’Ue però è l’unica possibilità per resistere in un mondo caotico, frammentato».
Il Gruppo di Visegrád (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) non esprime solidarietà europea. Come spiega lo stato d’animo di questi Paesi dell’Est?
«Li accomuna un atteggiamento non liberale. I politici condizionano cittadini spaventati dal futuro, inclusa la rivoluzione tecnologica. Ma gli individui non potranno essere manipolati per sempre».
Anche il progresso fa paura?
«Non sappiamo dove porterà. Così c’è chi si appassiona alla Silicon Valley e chi, come autodifesa, torna al Medioevo».
Lei dove si colloca?
«Nel mezzo. Sono un liberale nel senso più ampio, tollerante. Anche in politica sono moderato: l’estrema destra e l’estrema sinistra non portano al bene, la verità è nel compromesso. Credo in un mondo equilibrato. Sarà utopistico. Ma questa è la mia utopia».