Corriere della Sera - La Lettura
La musica si guarda Poi un’app la smonta
Intersezioni possibili «La musica techno ha sempre avuto a che fare con il legame creativo tra umano e artificiale. Cerco punti di collegamento visivi»
Mondi immaginari «Il futuro sarà immersivo. Immagino tecnologie come audio spaziali e flussi generativi in tempo reale di musica e video fusi insieme»
Sperimentatori Richie Hawtin è un dj internazionalmente acclamato che lavora sulle tecniche di manipolazione del suono e delle immagini. Ora ha creato il dispositivo «Closer»: «Voglio rendere visibili le mie interazioni con le macchine»
De materializzare la musica, operazione riduzionista da perfetto «integrato» nel flusso dei codici numerici, salvo poi volersi riappropriare della presenza scenica. Richie Hawtin, 50 anni a giugno, dj anglo-canadese da ragazzo varcava il confine con gli Usa per ascoltare la techno di Detroit (la prima drum machine alla quale si è avvicinato è stata quella di Jeff Mills): da due anni è in tour con un live show, Close, che nell’avvicinare il pubblico all’artista — non più seminascosto dietro la console ma visibile mentre suona sul palco, con le telecamere che lo riprendono da tutte le angolazioni per proiettare le immagini in tempo reale — integra stimoli sonori e visuali.
Hawtin alla fine degli anni Novanta ha contribuito, assieme a John Acquaviva, a creare uno strumento rivoluzionario come Final Scratch per la manipolazione e riproduzione di file audio digitali utilizzando vinili analogici e giradischi tradizionali. Adesso, dalla sua nuova esperienza ha tratto l’album Close Combined, che raccoglie tre show registrati a Glasgow, Londra e Tokyo. E con l’app Closer (scaricabile su Apple e Google play) punta a ridurre ancora di più la distanza tra sé e i destinatari dei suoi messaggi. L’applicazione, che supera il classico rapporto frontale tra musicista e ascoltatori, apre all’ interattività: dallo schermo è infatti possibile destrutturare la performance e rieditarla con nuove modalità mixando audio e video grazie alle numerose telecamere con le quali è stata filmata. Appassionato fin da bambino di computer e fantascienza, Hawtin racconta a «la Lettura» l’ennesima evoluzione di un percorso che, da più di trent’anni, lo vede tra i protagonisti della techno mondiale con lo sguardo sempre proiettato verso il futuro.
Che cosa l’ha portata a ideare l’app «Closer» e quali potrebbero essere i suoi ulteriori sviluppi? «Negli ultimi anni la figura del dj è diventata sempre più popolare, tendenza
che si è diffusa in tutto il mondo. Mi sembra, però, che sia cambiata o sia stata fraintesa la definizione di quello che determina la bravura di un dj. In passato i più apprezzati suonavano le tracce di altri sovrapponendo, modificando, intessendo musica preregistrata in qualcosa di nuovo e spontaneo. Oggi che il dj è diventato centrale nella cultura pop, l’intrattenimento tende a prevalere sull’aspetto artistico, che invece all’inizio ha spinto molti di noi verso misteriose avventure sonore. Con Closer voglio esplorare la convergenza tra intrattenimento e performance, far capire come suono e ispirare le nuove generazioni di dj che non si accontentano del plug & play («collega i
cavi e suona», ndr) attraverso la trasparenza dello show e dell’app».
Perché vuole che le persone interagiscano da vicino con quello che accade sul palco mentre lei suona?
«L’idea di Close Live è quella di evidenziare le mie interazioni con le macchine e creare un’esperienza autentica e coinvolgente. La musica techno, dal mio punto di vista, ha sempre avuto a che fare con il legame creativo tra umano e artificiale.
Close Live cerca di dare al pubblico piccoli punti di collegamento visivi corrispondenti ai suoni che stanno ascoltando allo stesso modo in cui le persone si connettono alla performance di un chitarrista o di un batterista».
Se esiste un nesso intrinseco tra musica e tecnologia, che va oltre i generi, ha ancora senso la diatriba tra gli analogici, fautori del vinile, e i digitali?
«Uno degli aspetti importanti della techno è quello di aver dato all’individuo la possibilità di plasmare il suo universo: un suono puro, concentrato, dalla sua mente alla tua. Questa relazione intima tra l’umano e il tecnologico ha aperto un campo infinito di possibilità, cuore pulsante del futuro, o del futuribile, che ascoltiamo e percepiamo nella techno. Siamo una specie curiosa, di esploratori sempre più entusiasti di guardare avanti anziché voltarsi indietro. La techno è la nostra perfetta colonna sonora».
Grazie alla tecnologia la musica è ormai sempre più accessibile: che tutti oggi possano provare a fare i dj è molto democratico, ma si moltiplicano gli emuli dalle aspirazioni velleitarie.
«Credo che l’accesso ubiquo alla musica sia positivo. I giorni delle “scene” isolate sostenute soltanto dal negozio di dischi locale sono finiti. Nel giro di pochi anni abbiamo assistito alla crescita esponenziale della comunità della musica elettronica. Mentre questa diffusione ha aumentato la consapevolezza e l’apprezzamento della nostra musica, ha anche cambiato la percezione del suo valore, creando una situazione di precarietà per musicisti che vanno e vengono. Ma quello che più mi preme è come ripagare in modo equo coloro che preservano le fondamenta della nostra cultura, la musica. Gli unici artisti elettronici che vedono i benefici dello streaming digitale sono quelli che si sono costruiti una reputazione come performer dal vivo o dj. Questa tendenza sta creando un divario economico pericoloso tra i performer e quanti lavorano duramente in studio per realizzare le loro composizioni. Mi ricorda la sfida che alcune economie mondiali stanno affrontando con le profonde diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza dovute alla classe sociale di appartenenza. Sono sempre stato un grande sostenitore della tecnologia utilizzata in modo positivo e credo che dobbiamo essere consapevoli delle implicazioni delle idee che abbiamo deciso di condividere: questa è la mia principale preoccupazione quando penso alle questioni che la nostra comunità si trova ad affrontare».
In un mondo futuribile, non troppo lontano, come immagina il paesaggio sonoro?
«Penso che il futuro sarà più immersivo di qualunque cosa abbiamo sperimentato finora. Vedo le tecnologie come audio spaziali e flussi generativi in tempo reale di musica e video fusi insieme per creare mondi immaginari che ci circondano portandoci fuori dalle nostre menti, nel mondo fisico».