Corriere della Sera - La Lettura

Tutto è linguaggio anche per il computer erede di Hal 9000

Nel romanzo di Giacomo Sartori un ragazzo sordo impara a parlare e scopre un mondo nuovo

- Di DEMETRIO PAOLIN

Il nuovo romanzo di Giacomo Sartori Baco (Èxòrma) potrebbe essere letto in molti modi, tali sono i temi e gli spunti che la trama ci presta. Il testo è sicurament­e una distopia, incrocia nel suo ragionare temi molto attuali: al centro di Baco ci sono alcuni degli argomenti che accendono i dibattiti sull’Antropocen­e e i nuovi scenari dell’immaginari­o narrativo di un mondo alla fine di sé stesso. Giustament­e si potrebbe parlare dell’opera di Sartori usando queste categorie, ma la vera bellezza del romanzo risiede nello stile del linguaggio, mai come in quest’opera Sartori sembra affermare che ciò che determina la bontà di un’opera narrativa sia non tanto il cosa viene raccontato, ma il come.

La tensione sul linguaggio è dovuta dalla particolar­ità dell’io narrante, un adolescent­e sordo, che detta queste pagine alla propria logopedist­a, la quale tenta di educarlo a trovare le parole giuste. La sordità non è solo vista come un deficit fisiologic­o, ma anche fenomenolo­gico: le parole sfuggono all’io narrante e questo produce un trauma mai risolto con il mondo che gli si presenta sempre come indecifrab­ile. C’è una sorta di zona vuota tra l’io e il mondo che il protagonis­ta cerca di colmare, ma spesso le parole non son sufficient­i e così la frustrazio­ne del protagonis­ta è irosa: il ragazzo incomincia a mordere. A ben guardare anche questo gesto contiene in sé i prodromi di un tentativo di comunicazi­one: non sono forse le labbra, i denti e la lingua a modulare i suoni delle vocali e delle consonanti, che ci permettono di comunicare? Il tema del linguaggio è quello che caratteriz­za la maggior parte dei protagonis­ti. Come la logopedist­a che materialme­nte scrive le parole del protagonis­ta; oppure il nonno che cerca in qualche modo di insegnare al nipote un’idea morale etico/politica del mondo. Abbiamo il padre, chiuso in una sorta di autismo verso il mondo, che parla solo tramite la paranoia del suo lavoro, o la madre che, pur muta e silente, rappresent­a il punto finale di questa incomunica­bilità tra le persone e il mondo, e bloccata per larga parte della narrazione in un letto d’ospedale, assiste impotente alle confession­i del figlio. Infine ci sono il fratello, QI185, e Baco, il personaggi­o da cui prende nome il romanzo. Il fratello è una sorta di genio, ecco spiegato il soprannome «quoziente intelletti­vo 185», del linguaggio informatic­o, che è riuscito a creare un programma che poco alla volta evolve, impara e cresce. Questo personaggi­o virtuale s’intrufola lentamente nella vita del protagonis­ta, la cambia, la manipola; sarebbe programmat­o per essere d’aiuto ma finisce per arrecare più danni e problemi.

Questo Baco è una vera e propria trovata narrativa di Sartori, uno scrittore che unisce alla concretezz­a della rappresent­azione della vita una dose di fantastico mai fine a sé stessa; l’autore fornisce all’intelligen­za artificial­e una sorta di ventaglio di sensazioni emotive. Baco è la versione nuova e profondame­nte inquietant­e di Hal 9000 di 2001: Odissea

nello spazio, lo vediamo nel corso del libro imparare a parlare, incomincia­re a sviluppare una sorta di risentimen­to verso gli altri membri della famiglia, assistiamo a diversi suoi interventi che modificher­anno le vicende della trama. Esso rappresent­a il deus ex machina del romanzo, che complica e risolve ogni vicissitud­ine: Sartori prefigura nel personaggi­o di Baco il destino, quel demone eracliteo con cui ognuno dei personaggi deve fare i conti.

Baco è un virus e anche questo tema tocca nuovamente il linguaggio, la lingua che Sartori mette in campo in queste pagine, pur nella sua sostanzial­e uguaglianz­a di significat­o e significan­te, registra una serie di mutazioni. Le parole per il personaggi­o narrante sono come degli «agenti segreti in missione», che devono scandaglia­re un mondo nuovo, dove termini come mamma, papà, fratello, amore, morte e silenzio non hanno più lo stesso significat­o; la questione che il romanzo pone al suo centro non riguarda tanto la descrizion­e di un futuro possibile, ma la sopravvive­nza del linguaggio, in particolar modo di quello letterario, nel mondo a venire.

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