Corriere della Sera - La Lettura
Tutto è linguaggio anche per il computer erede di Hal 9000
Nel romanzo di Giacomo Sartori un ragazzo sordo impara a parlare e scopre un mondo nuovo
Il nuovo romanzo di Giacomo Sartori Baco (Èxòrma) potrebbe essere letto in molti modi, tali sono i temi e gli spunti che la trama ci presta. Il testo è sicuramente una distopia, incrocia nel suo ragionare temi molto attuali: al centro di Baco ci sono alcuni degli argomenti che accendono i dibattiti sull’Antropocene e i nuovi scenari dell’immaginario narrativo di un mondo alla fine di sé stesso. Giustamente si potrebbe parlare dell’opera di Sartori usando queste categorie, ma la vera bellezza del romanzo risiede nello stile del linguaggio, mai come in quest’opera Sartori sembra affermare che ciò che determina la bontà di un’opera narrativa sia non tanto il cosa viene raccontato, ma il come.
La tensione sul linguaggio è dovuta dalla particolarità dell’io narrante, un adolescente sordo, che detta queste pagine alla propria logopedista, la quale tenta di educarlo a trovare le parole giuste. La sordità non è solo vista come un deficit fisiologico, ma anche fenomenologico: le parole sfuggono all’io narrante e questo produce un trauma mai risolto con il mondo che gli si presenta sempre come indecifrabile. C’è una sorta di zona vuota tra l’io e il mondo che il protagonista cerca di colmare, ma spesso le parole non son sufficienti e così la frustrazione del protagonista è irosa: il ragazzo incomincia a mordere. A ben guardare anche questo gesto contiene in sé i prodromi di un tentativo di comunicazione: non sono forse le labbra, i denti e la lingua a modulare i suoni delle vocali e delle consonanti, che ci permettono di comunicare? Il tema del linguaggio è quello che caratterizza la maggior parte dei protagonisti. Come la logopedista che materialmente scrive le parole del protagonista; oppure il nonno che cerca in qualche modo di insegnare al nipote un’idea morale etico/politica del mondo. Abbiamo il padre, chiuso in una sorta di autismo verso il mondo, che parla solo tramite la paranoia del suo lavoro, o la madre che, pur muta e silente, rappresenta il punto finale di questa incomunicabilità tra le persone e il mondo, e bloccata per larga parte della narrazione in un letto d’ospedale, assiste impotente alle confessioni del figlio. Infine ci sono il fratello, QI185, e Baco, il personaggio da cui prende nome il romanzo. Il fratello è una sorta di genio, ecco spiegato il soprannome «quoziente intellettivo 185», del linguaggio informatico, che è riuscito a creare un programma che poco alla volta evolve, impara e cresce. Questo personaggio virtuale s’intrufola lentamente nella vita del protagonista, la cambia, la manipola; sarebbe programmato per essere d’aiuto ma finisce per arrecare più danni e problemi.
Questo Baco è una vera e propria trovata narrativa di Sartori, uno scrittore che unisce alla concretezza della rappresentazione della vita una dose di fantastico mai fine a sé stessa; l’autore fornisce all’intelligenza artificiale una sorta di ventaglio di sensazioni emotive. Baco è la versione nuova e profondamente inquietante di Hal 9000 di 2001: Odissea
nello spazio, lo vediamo nel corso del libro imparare a parlare, incominciare a sviluppare una sorta di risentimento verso gli altri membri della famiglia, assistiamo a diversi suoi interventi che modificheranno le vicende della trama. Esso rappresenta il deus ex machina del romanzo, che complica e risolve ogni vicissitudine: Sartori prefigura nel personaggio di Baco il destino, quel demone eracliteo con cui ognuno dei personaggi deve fare i conti.
Baco è un virus e anche questo tema tocca nuovamente il linguaggio, la lingua che Sartori mette in campo in queste pagine, pur nella sua sostanziale uguaglianza di significato e significante, registra una serie di mutazioni. Le parole per il personaggio narrante sono come degli «agenti segreti in missione», che devono scandagliare un mondo nuovo, dove termini come mamma, papà, fratello, amore, morte e silenzio non hanno più lo stesso significato; la questione che il romanzo pone al suo centro non riguarda tanto la descrizione di un futuro possibile, ma la sopravvivenza del linguaggio, in particolar modo di quello letterario, nel mondo a venire.