Corriere della Sera - La Lettura
Viene Mantegna e l’antico si fa moderno
L’esposizione torinese riesce a strappare il pittore alla tenaglia dei due anniversari del 2019 (Leonardo) e del 2020 (Raffaello). Rendendogli onore anche nel confronto con Antonello da Messina, i Bellini e Donatello
Stretto tra due anni di celebrazioni eccellentissime, quelle per i 500 anni dalla morte di Leonardo (1519) e quelle per i 500 anni della morte di Raffaello (1520), Andrea Mantegna con la mostra al piano nobile e nella Corte medievale di Palazzo Madama a Torino ( Andrea Mantegna. Rivivere l’antico, costruire il moderno, a cura di Sandrina Bandera e Howard Burns con Vincenzo Farinella, fino al 4 maggio) reclama e ottiene la giusta considerazione. È l’attenzione dovuta a uno dei grandi maestri del Rinascimento italiano, «in grado di coniugare nelle proprie opere la passione per l’antichità classica, ardite sperimentazioni prospettiche e uno straordinario realismo nella resa della figura umana».
Tra i pregi dell’esposizione (e del catalogo edito da Marsilio) c’è proprio l’idea di connessione, di collegamento, di inserimento di Mantegna (1431-1506) nella sua epoca, cominciando dai legami di famiglia: Andrea era cognato di Giovanni Bellini (di cui aveva sposato la sorellastra Nicolosia) e dunque parenti, amici e rivali allo stesso tempo. Come aveva già ben sottolineato la mostra Mantegna and Bellini alla National Gallery di Londra (ottobre 2018-gennaio 2019), come qui ulteriormente ribadisce la presenza di varie opere di Giovanni (la Madonna con il Bambino dai Musei civici di Pavia; il Ritratto di giovane dall’Accademia Carrara di Bergamo).
Intorno a Mantegna c’è però davvero tutto. Ed è il mondo dell’antico: il mondo di un busto in marmo di età romana di Giulio Cesare e del cammeo con Dioniso su un carro tirato da fanciulle con le ali di farfalla, attribuito a Sostrato, scultore al servizio di Antonio e Cleopatra. Ma anche, e soprattutto, il mondo «moderno» raccontato (e rappresentato) da quei protagonisti del Rinascimento che con Mantegna sarebbero stati in rapporto: Donatello, Antonello da Messina, Pisanello, Paolo Uccello, Giovanni e Jacopo Bellini, Leon Battista Alberti, Cosmè Tura, Ercole de’ Roberti, il giovane Correggio, Pier Jacopo Alari Bonacolsi detto l’Antico (in mostra c’è anche un bronzo dorato, Marte circondato da Trionfi, di Galeazzo Mondella detto invece il Moderno). Proprio al confronto con gli «altri» maestri si devono due tra i momenti forse più emozionanti dell’esposizione: l’affascinante legame visivo che, sotto gli stucchi barocchi della Sala del Senato, si stabilisce tra la monumentale Testa Carafa di Donatello, la ieratica Madonna Tadini di Jacopo Bellini, la raffinatissima medaglia di Pisanello con Lionello d’Este e il triplice volto, il rigoroso San Bernar
dino da Siena di Francesco Squarcione (che del Mantegna fu maestro) e la misteriosa (anche perché danneggiata da verniciature improprie e incendi vari) Sant’Eufemia di Mantegna di un grandioso affresco (staccato). E il vis-a-vis tra il Ritratto di uomo, forse Carlo de’ Medici, in veste di protonotario di Antonello da Messina e il Ritratto d’uomo ancora di
Mantegna.
Il percorso della mostra è preceduto e integrato, nella Corte, da uno spettacolare apparato di proiezioni multimediali «per un’esperienza immersiva nella vita, nei luoghi e nelle opere di Mantegna», un modo per rendere accessibili anche quei capolavori che, per la loro natura o per il delicato stato di conservazione (la
Camera degli sposi nel Castello di San Giorgio di Mantova, il grande ciclo «all’antica» dei Trionfi di Cesare nelle collezioni reali inglesi di Hampton Court, il
Cristo morto della Pinacoteca di Brera) non sono trasportabili. Il piano nobile accoglie invece l’esposizione «fisica» delle
opere di Mantegna (una ventina di dipinti, altrettanti disegni e opere grafiche): l’Ecce Homo, la Sacra Famiglia con San
Giovannino, la Pala Trivulzio, la Madonna dei cherubini, la Madonna delle cave,
la tempera a colla e oro con la Donna vestita all’antica e il vecchio in panni orientali. Oltre a quella tavola con la Resurrezione di Cristo da poco riscoperta nei depositi dell’Accademia Carrara di Bergamo (manca invece la parte inferiore con la Discesa di Cristo al limbo, considerata troppo fragile per viaggiare).
Il percorso inizia con il grande affresco staccato ( Sant’Antonio di Padova e san Bernardino da Siena presentano il mono
gramma di Cristo) proveniente dalla Cappella Ovetari di Padova, parzialmente sopravvissuto al bombardamento della Seconda guerra mondiale ed esposto per la prima volta dopo un lungo restauro. Non si tratta di una mostra prettamente monografica: include anche il De re aedifica
toria di Leon Battista Alberti e la lettera di Mantegna a Isabella d’Este, un’acquaforte di Rembrandt (grande collezionista delle sue incisioni) e un’edizione del Cortegia
no (Baldassarre Castiglione e con lui, poi, l’Ariosto lo riterranno portatore di valori «ancora percorribili o almeno illustri»). Tutto per raccontare la straordinaria storia di un artista figlio di un falegname (leggenda vuole che da giovanissimo avesse fatto il guardiano di bestiame) capace di conquistare una fama e un potere mai raggiunti da nessun altro pittore del Tre e del Quattrocento. Eccezione fatta, forse, per Giotto.