Corriere della Sera - La Lettura
I TEMPI PRESCRITTI DELLA GIUSTIZIA
«Riforma epocale», la esalta il ministro della Giustizia quando deve rivendicarne l’approvazione. «Si applicherà solo al 3% dei processi», la minimizza il ministro Bonafede quando per rintuzzare le critiche ne predice «effetti solo fra 3-4 anni». Eppure è la medesima norma: stop per sempre, dopo la sentenza di primo grado, alla prescrizione che in 10 anni ha incenerito 1,5 milioni di procedimenti, dai 213.500 del 2004 ai 117.367 del 2018: in un malsano federalismo giudiziario nel quale 70 Tribunali su 135 sono sotto il 3%, ma quattro Corti d’Appello (22% Napoli, 12% Roma, 7,5% Torino e Venezia) da sole fanno quasi metà di tutte le prescrizioni d’Italia.
Rialzi di pena e tempi supplementari (come nella legge Orlando) hanno via via allungato i termini di prescrizione, arrivati a 15 anni per corruzione, 20 per maltrattamenti familiari, 15 per furto in casa. E delle 117.367 prescrizioni del 2018, oltre 85 mila non si sarebbero evitate nemmeno con la nuova legge, essendo maturate 57.707 prima di approdare in giudizio, e 27.747 nei Tribunali: senza poter intaccare il 65-70% di prescrizioni in fase preliminare, la legge quindi interverrà solo su un quarto delle attuali prescrizioni, e su meno del 3% dei processi celebrati ogni anno. Ma a un costo alto per imputati (sia condannati sia assolti in primo grado) e vittime: che, nell’assenza di meccanismi di compensazione, rischiano di restare appesi a indefiniti tempi processuali imputabili a disfunzioni dell’apparato giudiziario. Non a caso i Paesi che bloccano la prescrizione contemplano uno «sconto» di pena proporzionale alla quota di accertata irragionevole durata, o, per gli assolti, un «equo indennizzo». In Italia si riparte il 7 gennaio dall’ennesimo taumaturgico «vertice di maggioranza» sull’altra mitologica riforma per abbreviare i tempi dei processi: promessa, ma desaparecida, tra l’approvazione della nuova prescrizione il 9 gennaio 2019 e la sua posticipata entrata in vigore al 1° gennaio 2020.