Corriere della Sera - La Lettura
Il cabaret di Milano si tinge di nero
Cinque professionisti dello spettacolo in un’antologia curata da Luca Crovi
«Milano che ride e si diverte», cantava Lucio Dalla in Milano (1979): la città del cabaret. E poi teatro di misteri e di indagini, come quelle del Duca Lamberti, nato dalla penna di Giorgio Scerbanenco. Un omaggio alla Milano noir e insieme a quella ironica dell’arte della risata è Giallo al cabaret (Solferino), antologia di racconti a cura di Luca Crovi. Cinque atti (più uno, l’introduzione-fiction del curatore), scritti da professionisti del giallo e del cabaret, quali Gigio Alberti, attore milanese (al suo esordio letterario) che, dopo il Teatro dell’Elfo, ha lavorato con Salvatores e Virzì; Lorenzo Beccati, autore di Drive in e Striscia la notizia e già scrittore di thriller storici, ma anche Elena e Michela Martignoni, sorelle e autrici della serie del commissario Bertè. Alla sua prima esperienza da scrittore noir è Claudio Sanfilippo, cantautore milanese con alle spalle una Targa Tenco. E poi Gino Vignali, che con Michele Mozzati forma il duo Gino&Michele e ha pubblicato i primi tre romanzi (editi da Solferino) di una tetralogia gialla.
I cinque racconti narrano di attori, cantanti, direttori di teatro, vecchie glorie le cui storie si intrecciano, a causa di misteri e omicidi, a quelle di commissari e agenti di polizia, e sembrano anche confondersi. In Dietro le quinte di Alberti gli scambi di battute del commissario Franco Brusa e del suo assistente Plutarco ricordano uno sketch comico, mentre Berto Berti, attore esordiente al Teatro dell’Elfo, si improvvisa esperto di indagini per coprire le prove della sua presunta colpevolezza. Non mancano i grandi nomi, come Cochi e Renato, Franco e Mimmo, Giorgio Faletti, Franca Valeri e Diego Abatantuono, protagonisti della scena milanese e dei teatri affollati da un pubblico che, tra gli anni Settanta e Ottanta, voleva «esorcizzare la paura con una risata».
Lorenzo Beccati, ne Il Refettorio cabaret (e altre divagazioni), celebra anche, con un coup de théâtre, tutti coloro i cui nomi non sono rimasti impressi nella memoria. Lo Zelig non dimentica di Gino Vignali ripercorre la storia del teatro di viale Monza, mistero ben più intricato di quello che avvolge il cadavere nascosto nel sottotetto, e tocca al commissario Costanza Confalonieri Bonnet (già protagonista della tetralogia dell’autore) districare la matassa.
Protagonisti della raccolta sono anche i luoghi cult del cabaret: oltre a quelli già citati, la Salumeria della Musica e il Ca’ Bianca. Qui è ambientata l’introduzione, in cui Luca Crovi viene interrogato da un sospetto «poliziotto» che lo accusa di aver dato vita a «un’opera sovversiva» con l’antologia gialla. Che di sovversivo (nel senso di «rivoluzionario») ha davvero qualcosa: dipinge con tonalità inedite l’atmosfera di un’epoca celebre, rivolgendosi anche a chi, milanese di nascita o d’adozione, crede di conoscerla, ignorandone i misteri. Perché, per dirla con le parole del commissario Confalonieri Bonnet: «Ma come è possibile che io, milanesissima, non abbia mai saputo di questa tragedia?».