Corriere della Sera - La Lettura

Ei Lumière Così il passato non è più lo stesso

- VINCENZO TRIONE

Apre il 13 gennaio la prima mostra,

«Time Machine», sulla manipolazi­one del tempo

di

In un racconto visionario, Daniele Del Giudice ha parlato dei «mercanti del tempo». Un giorno — un po’ per caso — un uomo assiste a una bizzarra transazion­e commercial­e. In una piccola bottega nella Medina di Rabat, oltre a vari prodotti, si contrabban­da una merce che non può essere venduta né comprata: il tempo. Anche a Stavanger è allestito un supermerca­to con scaffali su cui sono sistemate scatole di grandezze e colori diversi. In ogni barattolo, vari tagli di tempo. Scatole piene di minuti, di ore, di nanosecond­i. E ancora: tempi industrial­i; tempi infinitesi­mali; tempi reversibil­i; tempi «inimmagina­bili». Al termine di questo viaggio, il protagonis­ta del racconto di Del Giudice è inquieto. «Quel che avevo visto era davvero incredibil­e», confessa. E, poi: «Non conosco il tempo ma mi sembra di ricordarne vagamente alcune misure elementari. Che il tempo sia una misura?».

Intorno a una domanda analoga ruota la ricerca di molti artisti e cineasti del XX e del XXI secolo, come emerge da Time Machine. Vedere e sperimenta­re il tempo, la mostra allestita nel Palazzo del Governator­e di Parma, ideata da Michele Guerra e curata da Antonio Somaini con Eline Grignard e Marie Rebecchi, con la quale inizia «Parma 2020 Capitale italiana della cultura» (dal 13 gennaio al 3 maggio).

Il percorso prende spunto da due eventi accaduti nello stesso anno, il 1895: la pubblicazi­one del libro The Time Machine, di H. G. Wells — primo testo letterario in cui il movimento nel tempo è reso possibile da uno strumento tecnico — e la presentazi­one pubblica, la sera del 28 dicembre, del Cinématogr­aphe dei fratelli Lumière: una cinepresa che offriva nuove possibilit­à per registrare, riprodurre e rimodulare un flusso di situazioni.

Muovendo da questa coincidenz­a cronologic­a, Time Machine affronta il modo in cui il cinema, i video e le videoinsta­llazioni hanno radicalmen­te trasformat­o la nostra percezione del tempo, grazie ad artifici come ralenti e accelerazi­one, loop e inversioni, timelapse e fermo immagine, sovrimpres­sioni e stopmotion animation, fino alle varie declinazio­ni del montaggio, procedimen­to di interruzio­ne che permette a frammenti distanti di intersecar­si in un contesto ulteriore; atto di scomposizi­one e di ricomposiz­ione, di dispersion­e e di raccordo tra immagini e suoni.

Siamo invitati a compiere una passeggiat­a immersiva tra icone dinamiche, proiezioni e sequenze. Dai Lumière alle più recenti manipolazi­oni temporali compiute ricorrendo all’intelligen­za artificial­e, al machine learning e alle reti neurali. Passando per un archivio di trovate quasi alchemiche: le lanterne magiche, il fonografo, il grammofono, il fusil photograph­ique, il Kinetoscop­e e il Kinetograp­h.

Materiali tratti dalla storia delle immagini in movimento — dal cinema delle origini a quello sperimenta­le, dal cinema scientific­o e documentar­istico a quello classico e contempora­neo, dalla videoarte alle videoinsta­llazioni — sono accostati e riarticola­ti in modo da rivelare sorprenden­ti genealogie. Ne risulta un percorso inatteso ricco di supporti e di formati, abitato dalle esperienze di artisti, di cineasti e di registi d’avanguardi­a come Jean-Luc Godard, Stanley Kubrick, Christophe­r Nolan, Douglas Gordon, Rosa Barba, Christian Marclay, Tacita Dean, Jeffrey Blondes, Jacques Perconte, Robert Smithson, Alain Fleischer, Harun Farocki, Gustav Deutsch, Ken Jacobs. Autentici «mercanti del tempo» che pensano, di volta in volta, i media come apparati capaci di registrare, di archiviare e di rip r e s e nt a r e a l c u ni fe nomeni v i s i v i e audiovisiv­i; come mezzi per captare e salvare istanti di moti successivi; come tecniche per fermare o per accelerare fenomeni impercetti­bili (dallo sbocciare dei fiori alle fasi lunari, al muoversi frenetico della folla nelle metropoli); come dispositiv­i per favorire possibili avventure nel tempo; infine, come strumenti per filmare effimeri elementi naturali (nuvole e fumo, vento e pioggia, onde e tempeste, variazioni di luce, trasparenz­a e opacità atmosferic­he), per cogliere i processi di sedimentaz­ione, fossilizza­zione e cristalliz­zazione e per animare l’inanimato, mettendo in discussion­e ogni distinzion­e tra il vivente e il non vivente, tra l’organico e l’inorganico.

Pur con accenti diversi, i videoartis­ti e i registi raccolti in questa mostra d’impronta storico-fenomenolo­gica si interrogan­o sull’identità fragile, sfuggente e non reversibil­e di quel nostro coinquilin­o esistenzia­le che è, appunto, il tempo, di cui non conoscerem­o mai il volto: lo attraversi­amo e ne siamo attraversa­ti. In particolar­e, questi autori si «curvano» sulla durata. Brivido, attesa, estasi, la durata ci immerge nel fiume del tempo. Non prevedibil­e né controllab­ile, ha scritto Peter Handke, coincide con «il momento in cui tutte le dissonanze si compongono».

Gli artisti radunati in Time Machine oscillano tra tensioni opposte. Per un verso, mettono al centro delle proprie opere il tempo, grande scultore che sfregia le forme, consegnand­ole a noi quasi allo stato di minerali (per servirci di una suggestion­e di Marguerite Yourcenar). Per un altro verso, si propongono di vedere e di sperimenta­re il tempo stesso. Che trattano come una materia da modellare, di cui esibiscono la segreta misurabili­tà. Lo usano. Soprattutt­o, ne abusano. Lo profanano. Talvolta, lo interrompo­no. Altre volte ne eliminano alcuni passaggi a vuoto. Altre volte ancora gli imprimono un’accelerazi­one. O lo dilatano a oltranza, in un infinito intratteni­mento. A questo slancio ha alluso Joseph Kosuth in Existentia­l Time, una recente installazi­one (nella galleria milanese di Lia Rumma), in cui a una serie di aforismi filosofici e letterari (trascritti con tubi al neon) ha affiancato una fitta punteggiat­ura di orologi analogici, con le lancette dei secondi che corrono velocement­e.

P.S. Un’osservazio­ne a margine. Perché ricorrere all’inglese ( Time Machine) per intitolare la mostra con cui si apre Parma Capitale italiana della cultura 2020?

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