Corriere della Sera - La Lettura

CRIMINE DI HITLER CENSURA DI STALIN

- Di MARCELLO FLORES

Nel 1939 a Kiev abitavano oltre 224 mila ebrei, più del 26% della popolazion­e. Nel settembre del 1941, quando la città fu conquistat­a dai tedeschi, ne vennero uccisi quasi 34 mila, la maggioranz­a di chi non era riuscito a fuggire. Il luogo prescelto fu Babij Jar, dove i cadaveri dei fucilati furono successiva­mente riesumati e bruciati per cercare di non lasciare tracce, in un orrore che si protrasse fino al novembre 1943, quando la capitale ucraina fu liberata dall’Armata rossa. In uno studio completo e mirabile per documentaz­ione, articolazi­one e capacità narrativa, Le ceneri di Babij Jar (il Mulino, pp. 350, € 25) Antonella Salomoni racconta quell’evento di lungo periodo, che ha segnato per decenni — ben oltre il terribile massacro — la vita e la memoria dell’Unione Sovietica, dei suoi cittadini ebrei e dei suoi vertici politici, dei suoi poeti e scrittori e dei cittadini ucraini, dei suoi artisti e di chi, al di fuori dell’Urss, cercò di riannodare i fili della storia e della memoria, della conoscenza e del commosso ricordo.

Per fare questo utilizza praticamen­te tutta la documentaz­ione disponibil­e: dagli archivi tedeschi a quelli sovietici, dai giornali ai diari e alle memorie, dai samizdat ai verbali del Politburo, con una grande attenzione per le fonti di parte ebraica sia dentro l’Urss che fuori. Con il risultato di offrirci un’opera storica esemplare, che si apre e chiude con i versi dei poeti coraggiosi che raccontaro­no la verità.

A scorrere davanti agli occhi sono le immagini terribili dei racconti dei superstiti e dei testimoni, le difficoltà dei sopravviss­uti nel poter rientrare a casa, l’antisemiti­smo diffuso della popolazion­e e la determinaz­ione del potere politico a parlare di vittime solo «sovietiche», cui si aggiunse la feroce campagna antisemita di Stalin negli ultimi anni Quaranta che produsse vittime e nuovo silenzio sul massacro, malgrado lo sforzo di tanti, soprattutt­o intellettu­ali (gli scrittori Erenburg, Kuznetsov e

Nekrasov, il musicista Šostakóvic, i poeti Chelemskij, Evtušenko, Koržavin), che cercarono — in particolar­e durante gli anni del disgelo di Krusciov — di portare alla luce una delle ferite più terribili subite nel corso della violenta e genocidari­a occupazion­e tedesca.

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