Corriere della Sera - La Lettura

I FILOSOFI PLATONICI COSTRETTI ALL’ESILIO

- Di MAURO BONAZZI

Nel XIX secolo il filologo tedesco August Wilhelm Zumpt compilò la lista dei diadochi (i direttori) dell’Academia, dal 386 a.C. quando Platone la fondò, al 529 d.C., quando l’imperatore cristiano Giustinian­o la chiuse, vietando l’insegnamen­to delle eresie pagane. La ricostruzi­one era sbagliata, perché l’Accademia di Platone aveva chiuso i battenti nel 86 a.C., al tempo dell’assedio di Atene per opera di Silla. La dirigeva Filone di Larissa, che fuggì a Roma con gli altri notabili ateniesi, mentre i soldati romani la saccheggia­vano in cerca di materiale per costruire macchine d’assedio. Una fine in tono minore, per la scuola che era stata di Platone. Giustinian­o in realtà chiuse una delle tante scuole che continuaro­no a fiorire in quella che era stata per secoli la capitale della filosofia. Si trovava alle pendici dell’Acropoli e alcuni dei suo resti sono ora esposti al Museo dell’Acropoli. L’ultimo diadoco fu Damascio: guidò i suoi compagni alla volta della Persia, convinto che lì «come vuole il discorso di Platone, la filosofia e il regno si sarebbero finalmente uniti». Dopo tre anni erano già rientrati, delusi. Ma non andarono ad Atene. Si fermarono a Harran (l’antica Carre), contribuen­do alla diffusione del platonismo in Oriente: è grazie a loro che, tempo dopo, i pensatori islamici avrebbero incontrato la filosofia greca. Sempre nel 529, intanto, dall’altra parte dell’impero, san Benedetto fondava l’abbazia di Montecassi­no, inaugurand­o una nuovo modo di trasmetter­e il sapere. Platone, l’islam, il cristianes­imo. Ad ogni fine corrispond­e un inizio.

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