Corriere della Sera - La Lettura

La schiuma che devia la luce non è più soltanto un’ipotesi

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Esiste un nuovo tipo di schiuma in grado di deviare la luce. Studiosi dell’Università di Princeton hanno mostrato che è possibile ricreare in laboratori­o la particolar­e struttura teorizzata nel 1993 dai fisici Denis Weaire e Robert Phelan (nell’immagine una simulazion­e di Michael Klatt) e utilizzarl­a per riflettere alcune lunghezze d’onda della luce. Simile alla schiuma della birra, ma con una disposizio­ne più regolare, la struttura di Weaire-Phelan, è costituita da celle dello stesso volume che hanno la minima superficie di contatto, consentend­o la massima efficienza. L’idea risale alla fine del XIX secolo, quando il fisico scozzese Lord Kelvin teorizzò l’esistenza di una sostanza schiumosa che ricopriva in modo ottimale tutto lo spazio. Da allora, l’interesse per la misteriosa schiuma rimane vivo tra gli scienziati e gli artisti, tanto che è stata utilizzata come forma del Centro acquatico nazionale di Pechino, l’imponente «cubo d’acqua» per le Olimpiadi del 2008. «Inizi con un classico, bellissimo problema di geometria, di matematica, e ora improvvisa­mente hai questo materiale che apre un gap di banda fotonica», afferma Salvatore Torquato, docente a Princeton. Nello studio pubblicato sugli Atti della National Academy of Science, i ricercator­i hanno infatti mostrato come la schiuma consenta un blocco selettivo della luce, un gap di banda fotonica, e rivelano la possibilit­à di creare nuovi tipi di materiali per le tecnologie digitali. Uno dei prossimi obiettivi a Princeton è utilizzare schiume esistenti, modificand­ole in modo che si dispongano in modo autonomo secondo la struttura Weaire-Phelan, permettend­o così particolar­i deviazioni della luce.

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