Corriere della Sera - La Lettura

Quei dialoghi muti « Ascoltami... Voglio dirti ancora qualcosa»

- Di ANNACHIARA SACCHI

La copertina ci avverte subito: Quel che affidiamo al vento, il libro di Laura Imai Messina in uscita per Piemme il 14 gennaio, è un romanzo. I protagonis­ti, fragili e travolti dal dolore, coraggiosi e resistenti, sono inventati. Come la trama, l’incontro tra Yui, che ha perso la madre e la figlia nello tsunami dell’11 marzo 2011, e Takeshi, il medico di Tokyo che vive con la piccola Hana, muta dal giorno in cui è morta la mamma. Tutto il resto, ed è la parte paradossal­mente più incredibil­e, è vero. Reale. Non è elemento di fiction, soprattutt­o, quel vecchio telefono che sembra uscito da un anime e invece è lì ad aspettare la voce di chi finora non ha saputo usarla. Una cabina telefonica che esiste davvero nel nordest del Giappone, dove le persone alzano la cornetta di un apparecchi­o collegato al nulla per parlare con i propri defunti.

Un luogo autentico. Diventato sacro. Kaze no denwa, il Telefono del Vento, ha ispirato la scrittrice italiana (dal 2006 stabile in Giappone) per una storia che ha a che fare con la forza di andare avanti nonostante le perdite che la vita impone. Si trova nel giardino chiamato Bell Gardia, sul fianco di Kujira-yama, prefettura di Iwate. Qui, vicino alla città di Otsuchi, nel 2010 Sasaki Itaru (nel romanzo il guardiano è Suzuki-san) installò la cabina con l’antico telefono per sentirsi più vicino a un cugino scomparso, affidando al vento le parole con cui raggiunger­lo. Quella zona è stata tra le più colpite dalla tragedia del 2011, 15.897 morti accertate, 2.534 dispersi. Da allora migliaia di persone raggiungon­o quell’angolo di mondo. Come fanno, nel libro, Yui e Takeshi. In visita una volta al mese per sentirsi meno «matti di dolore». Come ha fatto, per «la Lettura», l’autrice del libro: lo scorso novembre ha raggiunto Bell Gardia e ne è nato il reportage che pubblichia­mo in queste pagine.

Yui, diversamen­te da Takeshi, non riesce subito a parlare in quel vecchio apparecchi­o. Si limita a passeggiar­e tra i fiori, ad ascoltare le storie di chi come lei cerca di rimettere insieme i pezzi di un’esistenza frantumata. Servirà un lungo percorso. Difficile ma possibile. Grazie all’amore di Takeshi, grazie alla dolcezza di Hana, che ritrova la voce proprio a Bell Gardia. E quando quella cabina così unica e preziosa rischia di essere spazzata via dall’uragano, sarà proprio Yui a decidere di affrontare il vento, quello stesso che mette in contatto il mondo reale con l’altrove. I rimasti e i dispersi. La vita e la morte.

La perdita, la disperazio­ne, l’abbandono. Ma un’altra avvertenza è ora necessaria: Quel che affidiamo al vento non è un libro triste. Anzi. È un invito alla fiducia, quella che fa alzare la cornetta e parlare. Quella che ricuce le ferite dell’anima, come racconta Laura Imai Messina, con la sua prosa delicata come la carezza di un vento gentile. Profonda, mai retorica. Sempre poetica. La storia del Telefono del Vento di Otsuchi è già diventata un film in Giappone. Uscirà il 24 gennaio per la regia di Nobuhiro Suwa.

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