Corriere della Sera - La Lettura
Delitto in ospedale ma non è malasanità
Il vicequestore Rocco Schiavone è ricoverato per l’asportazione di un rene mentre un altro paziente muore
Nove romanzi e dieci racconti: sono consegnate a queste diverse tappe le vicende di vita e lavoro di Rocco Schiavone, il vicequestore trasferito per punizione da Roma ad Aosta, che Antonio Manzini ha intrapreso a raccontare dal 2013. Storie in progress: nelle quali è possibile rilevare un procedere narrativo per affinamento teso a una ricerca di equilibrio tra rispetto d’una serialità comunque in costante evoluzione (entrate e uscite di scena di personaggi, che però restano come memoria, così la subdola Caterina «che gli aveva carpito il cuore») e una narrazione che di volta in volta sa acquisire una sua propria autonomia.
Lasciando al lettore la crescente curiosità, alfine soddisfatta grazie a un ritmo ben cadenzato e abilmente intervallato con aperture su vicende private di diversi protagonisti — dello stesso Schiavone, con l’amico Sebastiano salito a sua insaputa da Roma per proteggerlo dall’eventuale vendetta del latitante Enzo Baiocchi; del neo vicequestore Antonio Scipioni, alla resa dei conti del suo triplice rappor to co n due s ore l l e e una c ugi na; dell’imbranato Ugo Casella nel suo rapporto con Eugenia — mi ritrovo a riconoscere nel nuovo romanzo quanto già notavo a proposito di 7-7-2007, confermato da Manzini nel successivo Pulvis et umbra. Ossia il raggiungimento di quell’equilibrio cui aveva momentaneamente abdicato nella vicenda in due tappe di Fate il vostro gioco e Rien ne va plus, tra casi personali, componente thriller e ambito sociale, che qui significa sguardo sul mondo ospedaliero, nella sua fisionomia strutturale da labirinto e umana da aeroporto. Un mondo di «arrivi e partenze» di una «massa umana dolorante o sanata, piena di speranze o di illusioni», con intorno i «camici bianchi che aveva cominciato ad apprezzare».
Di qui ad esempio un’attenzione ai dati del sentimento: dei suoi due aiutanti Casella e Scipioni, a proposito del quale il pensiero corre subito a La spartizione di Piero Chiara; ma pure del duo GambinoFumagalli; di Rocco con Sandra.
Ed è soprattutto sulle atmosfere esteriori e interiori che Manzini lavora di fino. Sulla psicologia di un Rocco «ora a quasi 50 anni» pur sempre burbero, incazzoso (specie con il vicino di letto), attaccabrighe, che ribadisce di agire non per «sete di giustizia» ma perché «non mi piace essere preso in giro». Solo che quel suo «entrare nel corpo del figlio di puttana che ha decretato arbitrariamente la fine di un’esistenza» gli ha accumulato addosso una «sporcizia» che «non va più via».
Si sente sempre più schiacciato da un «senso di sconfitta e di imbecillità» e si trova ora a fare i conti con lo «smarrimento» provato quando è stato ferito. E la perdita d’un rene lo porta a riflettere «sulla casualità della vita». Quella vita che «ti porta via un pezzo alla volta».