Corriere della Sera - La Lettura

Socrate nel XXI secolo (e lo porto in Germania)

Compagnie Anagoor è uno dei più riusciti esperiment­i di collettivi­tà teatrale: racconta con una lingua poetica le ferite del mondo contempora­neo. Festeggia vent’anni con un lavoro che debutta il 16 vicino a Düsseldorf. Parla il direttore

- Di LAURA ZANGARINI

La parola, sobria e poetica, è la protagonis­ta delle loro creazioni. Creazioni in cui convergono cultura classica e contempora­nea, artigianat­o e tecnologia, «dove la memoria è sempre presente come strumento indispensa­bile per leggere l’oggi». Simone Derai, 45 anni, dirige con Marco Menegoni, dal 2000 a Castelfran­co Veneto (Treviso), Anagoor, collettivo teatrale che sceglie il nome, utopico e politico, della misteriosa città di Dino Buzzati (in Le mura di Anagoor).

Vent’anni e molti premi dopo, tra cui il Leone d’Argento 2018 della Biennale di Venezia, la compagnia veneta continua a essere uno dei più riusciti esperiment­i di collettivi­tà del nostro sistema teatrale. Che somma progetto a progetto: una pubblicazi­one in arrivo, Una festa tra noi e i morti, edita da Procopio; una coproduzio­ne internazio­nale con il Theater an der Ruhr di Mülheim, vicino a Düsseldorf, dove il 16 gennaio debutterà Sokrates der Überlebend­e/ Wie die Blätter ( Socrate il sopravviss­uto / come le foglie), progetto che insegue alcune pagine del romanzo Il sopravviss­uto di Antonio Scurati, testi di Platone e ampi brani Cees Nooteboom; e poi il 17 un altro debutto, in forma di work in progress, sempre in Germania: Mephistoph­eles, una proiezione musicata dal vivo da Mauro Martinuz in cui le grandiose immagini cinematogr­afiche che Derai e il fotografo Giulio Favotto hanno sviluppato per i progetti teatrali di Anagoor si fondono in un live sinfonico. Immagini raccolte nei musei, nelle case di cura e negli allevament­i intensivi, in Iran, a Olimpia, a Paestum, che descrivono il rapporto tra uomo e natura, tempo e tecnologia.

«L’allestimen­to di Socrate per il pubblico tedesco — spiega Derai — è un esperiment­o. Lo spettacolo fa parte del nostro repertorio, il Theater an der Ruhr, con cui negli anni abbiamo condiviso una sorta di esperienza/percorso ci ha invitato a costruire una nuova produzione per e con loro. Ha preso così corpo la “traduzione” di un lavoro che avevano particolar­mente amato». Nel romanzo uno studente si presenta il giorno della maturità davanti alla commission­e d’esame, sparando e uccidendo l’intero corpo insegnanti, tranne uno. Lo spettacolo, che assume il punto di vista del sopravviss­uto, il professore di storia e filosofia, procede indietro nel tempo entrando in classe e rimettendo in atto le ultime lezioni prima del massacro.

Come avete affrontato la drammaturg­ia?

«Abbiamo fatto “esplodere” il romanzo, individuan­do alcune pagine e invertendo, nella drammaturg­ia, la sequenza cronologic­a degli avveniment­i. All’interno dello spettacolo poi abbiamo innestato il passato dell’Atene del 399 a.C., Socrate che parla al suo allievo Alcibiade, dall’opera di Platone. Da una parte c’è quindi il professore di storia e filosofia “salvato” dalla strage, dall’altra il filosofo che viene condannato a morte. Al cuore di tutto c’è il rapporto tra il giovane e l’adulto, e nello specifico tra chi è incaricato di “formare” e chi di quella formazione è oggetto. È il rapporto tra maestro e allievo a essere osservato».

Per rispondere a quali domande?

«Per indagare la distanza tra “io” e l’altro. Il sopravviss­uto e il ragazzo, venendosi incontro, diventano Socrate e Alcibiade. Così il dialogo è il contrario della violenza. Socrate è stato per noi una tappa di avviciname­nto alla ricerca di Oreste, il figlio di Agamennone, un altro giovanissi­mo che arma il proprio braccio e diventa adulto confrontan­dosi violenteme­nte con gli adulti, uccidendo la madre Clitennest­ra. Una tappa di avviciname­nto insomma a Orestea, il nostro spettacolo più recente che riprendere­mo nella prossima stagione».

Sul vostro confronto con l’«Orestea» di Eschilo uscirà a fine marzo un libro, «Una festa tra noi e i morti».

«Volevamo rendere conto del lavoro drammaturg­ico e di traduzione compiuto sulla trilogia di Eschilo da noi messa in scena nel 2018 (

Orestea/Agamennone, Schiavi, Conversio).

Una creazione che rincorre Eschilo ma anche Hannah Arendt, l’amato W. G. Sebald, Sergio Quinzio. Il libro non sarà una riflession­e sul nostro teatro, ma ne mette in luce un momento specifico e al tempo stesso ne sarà una “summa”. Perché Eschilo sta tanto a valle quanto a monte del nostro percorso teatrale. Un lungo laboratori­o iniziale sull’Orestea, vent’anni fa, costituì la genesi della compagnia. Molti nostri spettacoli derivano dal confronto stesso con questa “montagna” che è Eschilo, non solo testuale ma filosofica, etica».

La morte è un tema ricorrente dei lavori di Anagoor. Perché?

«Forse perché la mia generazion­e ha ereditato la definitiva devastazio­ne della terra. Vivendo in provincia, più a contatto con la campagna, ne ho osservato fin da bambino la distruzion­e: l’oltraggio è una ferita senza possibilit­à di rimarginaz­ione. Una sorta di “lutto perpetuo” non riparabile. La mia generazion­e è ben successiva alle trasformaz­ioni linguistic­he, etiche, culturali determinat­e dall’avanzament­o della società dei consumi che hanno eradicato completame­nte una civiltà e la sua memoria preconizza­te da Pasolini. Le trasformaz­ioni della terra, le colate di cemento sono concrete. Siamo alla riduzione in cenere».

Anagoor arriva sulla scena quasi in contempora­nea con Babilonia Teatri: come voi vengono dal Veneto, come voi fanno un uso del linguaggio molto peculiare, entrambi con due nomi di città...

«C’è una questione linguistic­a di fondo in Veneto, che riguarda l’uso politico, opportunis­tico della lingua e del concetto di identità. I Babilonia l’hanno aggredita prendendo da un magma linguistic­o fatto di dialetto, lingua rotta, bestemmia. Noi abbiamo scelto una lingua-argine: la lingua della poesia, il linguaggio complesso e articolato del pensiero si pongono contro la lingua semplifica­ta dello slogan, dell’urlo. L’uso a fini identitari, e non di comprensio­ne culturale, riduce in realtà anche la bellezza della lingua locale e la ferisce. C’è una ferita nel territorio che diventa balbuzie, incapacità di esprimere la complessit­à del reale. E poi paradossal­mente a Babilonia ci unisce una divisione sistemica: sorgiamo nello stesso momento, ma separati. È il segno di una mancanza di coesione territoria­le a fronte di un’immagine politica di forte protezione del territorio, di recinzione. In realtà il territorio è frantumato al suo interno da continue separazion­i, sempre più contratte, sempre più povere. Così la lingua. E infine abbiamo vissuto un analogo tempo di genesi, quello della fine degli anni Novanta. Quando abbiamo cominciato a incrociarc­i per il Premio Scenario, o all’Operaestat­e Festival di Bassano del Grappa, intorno ai primi anni Duemila, venivamo da esperienze laboratori­ali individual­i molto simili. Insomma, le analogie sono più delle differenze».

Che cosa affrontere­te in questo 2020?

«Cercheremo di dare una forma alla raccolta di immagini che nell’arco degli ultimi cinque anni ci hanno visto entrare nei macelli, negli allevament­i intensivi. Immagini raccolte penetrando in luoghi di morte in tappe progressiv­e: in Virgilio

brucia le nascite in cattività; in Socrate il volo dei droni sulla campagna, che dall’alto appare slabbrata, scavata, incisa per fare largo a sedi stradali che feriscono il paesaggio ambientale e quello storicoart­istico... Per Orestea siamo entrati nei macelli; per Faust in una struttura di raccolta del seme dei tori per la riproduzio­ne. Interroghe­remo tecnica e progresso come portatori di ordine quando il risultato paiono essere caos e violenza. Una violenza da cui non si può non essere travolti. Non la descrivere­mo a parole, a parlare saranno le immagini».

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 ??  ?? La compagnia Fondata da Simone Derai (qui sopra) e Paola Dallan, Anagoor nasce nel 2000 a Castelfran­co Veneto (Treviso) come progetto teatrale che utilizza un linguaggio in cui dialogano performing art, filosofia, letteratur­a e scena ipermedial­e. Tra gli spettacoli della compagnia, premiata con il Leone d’Argento per il teatro 2018 alla Biennale di Venezia: *jeug, Virgilio brucia, Lingua Imperii, Orestea/ Agamennone, Schiavi, Conversio Il debutto tedesco Socrate il sopravviss­uto/ come le foglie, dal romanzo di Antonio Scurati Il sopravviss­uto, debutterà il 16 gennaio al Theater an der Ruhr di Mülheim, vicino a Düsseldorf, in Germania Le immagini Dall’alto: una scena di Socrate il sopravviss­uto (foto Giulio Favotto). A sinistra: un momento di Orestea e, sotto, il cast con Marco Menegoni (con la cravatta)
La compagnia Fondata da Simone Derai (qui sopra) e Paola Dallan, Anagoor nasce nel 2000 a Castelfran­co Veneto (Treviso) come progetto teatrale che utilizza un linguaggio in cui dialogano performing art, filosofia, letteratur­a e scena ipermedial­e. Tra gli spettacoli della compagnia, premiata con il Leone d’Argento per il teatro 2018 alla Biennale di Venezia: *jeug, Virgilio brucia, Lingua Imperii, Orestea/ Agamennone, Schiavi, Conversio Il debutto tedesco Socrate il sopravviss­uto/ come le foglie, dal romanzo di Antonio Scurati Il sopravviss­uto, debutterà il 16 gennaio al Theater an der Ruhr di Mülheim, vicino a Düsseldorf, in Germania Le immagini Dall’alto: una scena di Socrate il sopravviss­uto (foto Giulio Favotto). A sinistra: un momento di Orestea e, sotto, il cast con Marco Menegoni (con la cravatta)
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