Corriere della Sera - La Lettura
Sfacciata e miserabile la Berlino babilonese
Debutta il 24 gennaio su Sky Germania, a marzo in Italia, la terza stagione di «Babylon Berlin», la più costosa e fortunata produzione tedesca, ambientata al crepuscolo della Repubblica di Weimar.
«La Lettura» è stata sul set: luci sfavillanti e miseria nera, grassi speculatori e disperazione proletaria, affaristi e ladruncoli. Un’epoca affacciata sul precipizio, forse non molto diversa da oggi
Nell’ottobre del 1929 comincia la fine della Repubblica di Weimar. «In quel mese, la morte del migliore statista tedesco, il ministro degli Esteri Gustav Stresemann, 3 ottobre, e il crollo della Borsa di New York, 29 ottobre, il famigerato Martedì nero, provocheranno la catastrofe finale della giovane e fragile democrazia tedesca», dice Henk Handloegten, uno dei tre registi-sceneggiatori che hanno scritto e filmato le tre stagioni di Babylon Berlin, ambientata appunto nel crepuscolo di Weimar. Al tragico destino di quella Repubblica nata nel 1919 si pensa molto nei commenti politici di oggi, quando la crisi economica fomenta il nascere dei populismi.
Babylon Berlin è la più costosa e fortunata produzione televisiva tedesca, nata dalla collaborazione fra privato (Sky Germania, Beta Film, X Filme Creative Pool) e la rete pubblica Ard. La nuova stagione, la terza, ha dodici episodi: il primo andrà in onda su Sky Germania il 24 gennaio; in Italia, su Sky Atlantic, passerà a marzo (e sei mesi dopo su Rai4). Alla base c’è il secondo capitolo della saga di Volker Kutscher, Der stumme Tod (La morte non fa rumore, Feltrinelli). Iniziata nel 2007 con Der nasse Fisch ( Il pesce bagnato, Mondadori, ora ripubblicato da Feltrinelli come Babylon Berlin), conta sette titoli: l’ultimo, Marlow, è uscito in Germania nel 2018. Copre, la serie di romanzi, gli anni dal 1929 al 1938, e passa dalle ultime stagioni della Repubblica al 1938, quando il regime hitleriano invade i Sudeti e dà il via ai pogrom contro gli ebrei. Un romanzo dopo l’altro Kutscher cambia anno: il secondo capitolo, Der stumme Tod, si svolge nel 1930. Eppure, la terza stagione di Babylon Berlin, che si basa appunto su La morte non fa rumore, comincia nel settembre 1929. Perché?
Il fascino di Weimar
«Con i registi coi quali ho firmato Babylon Berlin e ho scritto la sceneggiatura — dice Henk Handloegten — non solo abbiamo deciso di fermarci anche per la terza stagione al 1929, ma già avevamo dilatato il primo romanzo in 16 episodi che coprivano le due prime stagioni». Perché dunque? «Io, Tom Tykwer e Achim von
Borries pensavamo e pensiamo che l’ambientazione negli anni della Repubblica di Weimar fosse fondamentale. Intanto, per l’effetto scenografico di quella Berlino carica di contrasti, con milioni di persone in miseria e una vita notturna sfacciata e scintillante, una città che in quei brevi a nni, t r a i l 1 91 9 e i l 1 933, v i s s e un’esplosione di creatività artistica, di estrema libertà sessuale, di eleganza e perversione, di fioritura irripetibile di musica-cinema-letteratura-pittura-design. Un fenomeno che, in qualche modo, si è ripetuto negli anni Novanta, nella Berlino del dopo-Muro. Anche allora, nel primo decennio della Riunificazione, Berlino è stata la città in cui dovevi essere, una capitale giovane e sfrontata in cui si respirava una grande, nuova energia».
Il 1929, peraltro, era cominciato sotto pessimi auspici; è l’anno del Maggio di sangue, quando polizia ed esercito sparano contro i lavoratori che, nonostante il divieto, sfilano per il Primo maggio. «Mentre socialisti e comunisti continuano a restare divisi, il presidente von Hindenburg, senza più il freno di Stresemann, imprime alla politica tedesca una decisa svolta a destra. Il 1929 è l’anno fatale». Il partito di Hitler, l’Nsdap (Partito tedesco nazionalsocialista dei lavoratori), vede aumentare i propri consensi. E von Hindenburg comincia a perdere fiducia nei militari che vorrebbero la restaurazione dell’Impero prussiano e a pensare che il «caporale austriaco» rappresenti
l’unica soluzione. Il 1929 è anche l’anno in cui Christopher Isherwood arriva a Berlino invitato dall’amico W. H. Auden: da quel soggiorno (nel maggio 1933, all’indomani della presa del potere di Hitler, Isherwood lascerà la Germania) nascerà Goodbye to Berlin che ispirerà il film Cabaret (1972).
La morte del muto
Dall’America non arriva soltanto la Grande Depressione, ma anche la rivoluzione del cinema sonoro. Si cominciano a girare molti film. C’è una gara a chi fa prima a realizzare il prodotto finito, una concorrenza che prevede anche sabotaggi alle attrezzature del rivale. In uno studio cinematografico di Berlino, l’attrice
Betty Winter muore schiacciata da un grande riflettore che si è inspiegabilmente staccato dai tralicci sopra la scena. Già dal primo sopralluogo il commissario Gereon Rath si convince che non s’è trattato di un incidente: sospetta un elettricista che si è allontanato subito prima della tragedia e comincia la caccia all’uomo. Nei giorni che seguono altre due attrici impegnate in film sonori spariscono: forse non si tratta solo di azioni di sabotaggio, forse si tratta dell’operato di un misterioso maniaco. L’esistenza di un mostro fa pensare al famoso «Mostro di Düsseldorf» che proprio in quegli anni fece strage di donne e bambine. «È un riferimento inevitabile, ma non abbiamo voluto ricalcare troppo la storia vera di quel serial killer, a cui si era ispirato Fritz Lang per il suo capolavoro M del 1931 — dice Handloegten —. Ci interessava di più il clima di frenesia, di insicurezza; l’aria malsana di quel periodo. E ci piaceva vedere Rath alla prova, il suo modo di condurre le indagini da solo, spesso in contrasto che le gerarchie del comando di polizia. Arrivato da poco da Colonia, Rath si muove in una sterminata metropoli piena di pericoli e misteri: lui e quella Berlino sono i protagonisti del film».
Un commissario di nome Gereon
Ma che tipo di uomo è Gereon Rath? «È un personaggio imprevedibile, difficilmente decifrabile, che non lascia trapelare i suoi pensieri». Assegnato alla Buoncostume, è passato alla Omicidi con la qualifica di commissario, nel comando centrale della polizia di Alexanderplatz. Gereon Rath ha combattuto nella Prima guerra mondiale, da cui ha riportato disturbi da stress post-traumatico. «Questo dettaglio lo abbiamo aggiunto noi in sede di realizzazione del film — dice Handloegten —. Nei libri di Kutscher, Gereon soffre di incubi in cui gli appare il fratello, caduto al fronte. Ma come tanti reduci, nel nostro film anche lui soffre di attacchi di panico e di crisi epilettiche. Per questo lo vediamo spesso assumere medicinali a base di oppiacei».
Tormentato dai sensi di colpa per la morte del fratello (Gereon ha avuto una relazione con la cognata), fatica all’inizio ad ambientarsi nella grande città e ad assoggettarsi alle regole della polizia criminale, entrando spesso in conflitto con i superiori anche se viene in parte protetto da Ernst Gennat, capo della squadra omicidi soprannominato Buddha per la sua abbondante corporatura. («Buddha è un personaggio storico — commenta Handloegten — celebre per la cattura del Mostro di Düsseldorf»).
Già nella prima stagione, Gereon incontra Charly, una stenografa in servizio presso la centrale di Alexanderplatz che vorrebbe diventare detective. «In fase di sceneggiatura pensavamo a lui un po’ come un “uomo senza qualità”, come l’Ulrich del romanzo di Musil. Poi, procedendo nel racconto, abbiamo aggiunto nuovi dettagli». «Sì, come il fatto che è un bravo ballerino e che gli piacciono i balli moderni americani», ride Volker Bruch, l’attore che lo impersona. Apparso in diversi film ( La banda Baader-Meinhof, Il letto
re) Bruch è divenuto famoso grazie alla serie tv Generation War (2013). «Nel libro questo non c’era, e io ho dovuto prendere lezioni di ballo».
Con Charly, la stenografa che vorrebbe diventare ispettrice, li vediamo ballare sotto le luci del Moka Efti, il famoso locale della Berlino dell’epoca (per le riprese, quasi esclusivamente girate negli studi di Babelsberg, per il Moka Efti è stato usato il cinema Lux di Pankow). «Uomo senza qualità, certo, ma con un forte attaccamento al lavoro, l’unica cosa che conta per lui è scovare i criminali».
Politicamente, com’è il commissario Rath? «Non ha speciali opinioni politiche, proviene da una famiglia benestante di Colonia vicina al partito cattolico di centro (il padre è amico del borgomastro di Colonia, Konrad Adenauer), e anche se giudica negativamente le azioni della polizia che reprime con violenza le manifestazioni degli operai, non sa esprimere una vera idea. Sarà così anche quando scoprirà che gli alti gradi della polizia di Berlino, compreso il suo capo, sono legati alla cosiddetta “squadra nera”, un movimento reazionario che vuole abbattere la Repubblica».
Nei libri di Kutscher, la presa di coscienza di Rath avviene molto tardi, fra il 1937 e il 1938. «Il commissario è uno dei tanti della zona grigia — dice Bruch —. La politica non è affar suo, la lascia ai politici, per lui c’è il lavoro e basta. Anche Gereon, come tanti altri tedeschi, si accorgerà troppo tardi che l’avvento di Hitler significherà solo dittatura e terrore».
Città delle luci, città delle tenebre
Berlino di quegli anni risplendeva di illuminazioni: a metà del Tiergarten la Osram aveva installato una torre luminosa, e Haus Vaterland (teatro, caffè, ristoranti in unico centro vicino a Potsdamer Platz) così come la grande sala cinematografica dell’Ufa Palast di notte splendevano di luci incantevoli.
Ma nei sobborghi operai, fuori dal centro dei grandi alberghi e dei locali di lusso, le strade erano buie e nebbiose. Poi, nelle atmosfere di luce soffusa dei Kabarett e dei caffè concerto, chi aveva i soldi poteva cercare la soddisfazione di ogni tipo di desideri. «Ci siamo ispirati alle pitture di George Grosz e di Otto Dix — dice Handloegten — dove compaiono ricchi e grassi speculatori, mutilati di guerra che chiedono l’elemosina, donne sfrontate in abiti costosi e disperate madri proletarie. Questi contrasti ci hanno ispirato per la scenografia e i costumi. Per questo abbiamo apportato dei cambiamenti, per esempio, al personaggio della ragazza Charly che nel film vive in una famiglia proletaria distrutta dalla disoccupazione e dall’alcol». C’è, negli episodi di questa terza stagione, anche una grossa parte dedicata alla malavita. «Ladruncoli e spacciatori, ruffiani e prostitute, capi di bande in guerra per il predominio nel quartiere: con loro Gereon Rath entra più volte in contatto, e sarà l’Armeno, una specie di boss del crimine, che gli servirà per rintracciare il misterioso maniaco».
Cambiamenti: alcune figure che non appaiono sullo schermo, altre che vengono fatte morire prima... Avete avuto problemi con l’autore dei libri? «Nessuno, Kutscher è venuto più volte sul set, era molto soddisfatto della resa della storia. E poi ci ha detto: capita spesso che un libro di quattrocento pagine sia ridotto in una sceneggiatura di nemmeno cento, a me non è successo, è stato eccezionale».
Ma comune ai romanzi e al film è l’immagine della Berlino splendida e miserabile, Babilonia e inferno, lussuria sfrenata e fame e povertà. «Mai come in quegli anni e in quella città si danzò sulla bocca di un vulcano».