Corriere della Sera - La Lettura
Le conseguenze dei cognomi
Elenchi Manicheo, boccaccesco, cesareo... Ecco persone e personaggi che sono diventati aggettivi
La parola chiave è machiavellico: nel senso di scaltro, spregiudicato, senza scrupoli. Tipico esempio del percorso che fanno talvolta le parole nel passaggio dal nome proprio al nome comune. « Epicureo, boccaccesco, machiavelli
co », scriveva Bruno Migliorini, «hanno deviato troppo dal significato primitivo volgendo a qualificativi (“che ama i piaceri”, “lubrico”, “astuto”) con un colorito spregiativo». Ma in machiavellico c’è qualcosa di più, visto che lo stesso cognome Machiavelli — o anche Macchiavelli, con accostamento analogico a macchia — è stato a lungo oggetto di censura (la Crusca lo citava come «il segretario fiorentino») e di demonizzazione, attraverso fantasiose etimologie come quella che in inglese lo collegava a devil (diavolo) e evil (male) o riconduceva l’aggettivo Machiavellian a match e villain: «pari a un villano». Da noi machiavelliano, attestato dal Settecento («la forma palese del Principe Machiavelliano», Della
restaurazione di ogni filosofia, 1760), è oggi l’aggettivo meno marcato. Rispetto non solo a machiavellico («nell’altro Macchiavellico assurdo di calunniare il prossimo», Lettera circolare di sua Maestà, 1759), ma anche a
machiavellesco (secondo Tommaseo, «più dispregiativo e biasimevole che “machiavellico”»), a machiavellie
ro («mi si è scambiato in re machiavelliero», Alfieri) e a
machiavellista (che già nel Cinquecento per il letterato fiorentino Mini vale «quanto senza religione né fede»).
Qui di séguito — in ordine di apparizione in italiano — una selezione di aggettivi «deantroponimici» (tratti, cioè, da nomi di persona) entrati stabilmente nel nostro vocabolario con un significato che travalica il semplice riferimento al personaggio, storico o d’invenzione.
Manicheo
Nell’assolutezza di un giudizio o di uno schieramento senza sfumature non c’entrano le mani e neanche le manie. L’origine della parola va cercata in una dottrina che si diffuse in Persia nel III secolo d.C., basata sulla radicale contrapposizione dei due princìpi del bene e del male. Il suo fondatore era Mani hayya «Mani il vivente», da cui il greco manikhaîos, il latino tardo manichaeus e l’italiano manicheo (attestato in senso proprio già dal Trecento).
Boccaccesco
Fin dal Cinquecento, boccaccesco si trova in concorrenza con boccacciano e boccaccevole in riferimento soprattutto al modello linguistico-stilistico dello scrittore.
Boccaccevole ha da subito un’accezione polemica, come in una satira di Annibal Caro: «E quanto alla lingua, io vi protesto che non voglio esser tenuto d’usare né la Boccaccevole, né la Petrarchevole, ma solamente la pura e pretta Toscana d’hoggi dì». E valenza spregiativa ha spesso anche boccaccesco: «Gl’huomini hoggi son tanto imbertonati/ nel parlar boccaccesco, che i pedanti/ sono in lingua boccaccia trasformati» (Nelli, Le satire alla
carlona, 1547), poi affermatosi nel significato di salace, licenzioso, osceno. Per chi vuole riferirsi in modo neutro allo scrittore, allora, non resta che quel «modo boc
cacciano » contrapposto già da secoli al «dantesco» (Zarlino, Le istituzioni harmoniche, 1562).
Cesareo
«Lessi l’opra di quel dottissimo Medico detto Francesco Rousseto […] e restai consolato sopra modo, haven
do egli trattato di questo parto Cesareo degnamente». La prima attestazione con questo specifico significato si trova nel più antico trattato di ostetricia scritto in italiano: La comare o ricoglitrice del medico romano Scipione Mercurio, pubblicato a Venezia nel 1596. Vale a dire quindici anni dopo il libro del chirurgo francese François Rousset, che già nel titolo parlava di enfantement cae
sarien. L’etimo risale a Giulio Cesare, ma solo per via leggendaria. Anche accettando il nesso ipotizzato da Plinio il Vecchio tra Caesar e il verbo caedere, cioè tagliare (« a caeso matris utero dictus »), la favoleggiata storia di quella nascita — tipica di divinità e figure mitologiche — va ricondotta alla natura straordinaria attribuita al personaggio. Nell’antica Roma, infatti, la pratica era adottata solo in caso di morte della madre. Sappiamo invece da Svetonio che la madre di Cesare morì nel 54 a.C., mentre lui combatteva in Gallia. Nello stesso anno gli morì anche la figlia Giulia: di parto.
Ermetico
Dal latino medievale hermeticus, in riferimento all’oscurità dei libri attribuiti al dio Ermete Trismegisto (cioè tre volte grande) introdotto in epoca ellenistica dall’Egitto. A lui, considerato il fondatore dell’alchimia, si attribuiva la tecnica di chiusura dei contenitori in vetro tramite la fusione dei bordi. Dal primo aspetto viene il significato più recente di «enigmatico, incomprensibile»; dal secondo, quello — già secentesco — di una chiusura che impedisce il passaggio di fluidi.
Salomonico
Equanime, come le decisioni del re d’Israele Salomone, protagonista di un celebre episodio biblico («con giudizio poco meno che Salomonico», Istoria d’Inghil
terra, 1773): diverse da quelle draconiane, che devono il nome a Dracone, severissimo legislatore di Atene.
Lapalissiano
Ovvio, palese: tanto evidente quanto scontato («assioma lapalissiano» nella «Rivista di lettere e arti», 1889). Sembra che alla morte del capitano francese Jacques de Chabannes signore de La Palice (1525), i suoi soldati ne celebrassero la combattiva vitalità cantando: «Un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita». Non c’è bisogno, appunto, di aggiungere altro.
Botticelliano
Un viso, un profilo che ha la grazia e l’eleganza di quelli dipinti dal grande artista fiorentino: «Il disegno delle figure lunghette e flessuose è sempre più botticelliano» («Emporium», 1898). Un po’ come per raffaelle
sco, che rimanda alla delicatezza raffinata di certe immagini; mentre michelangiolesco evoca qualcosa di possente e maestoso.
Rocambolesco
Degno di Rocambole, avventuroso protagonista degli ottocenteschi romanzi del francese Ponson du Terrail il cui nome deriva da un tipo d’aglio (è già nel Dizionario
moderno, 1905). Come amletico, donchisciottesco, faustiano, pantagruelico è uno dei tanti aggettivi ricavati da nomi di personaggi letterari.
Fantozziano
Era il 1972, quando — in Come farsi una cultura mo
struosa — Paolo Villaggio sottoponeva ai suoi lettori la voce Kafka, proponendo tra le soluzioni: «Pugnalò Giulio Cesare alle Idi di Marzo, “Quoque tu, Kafka, brutu fili mi”» e «Gran Sacerdote che, ai tempi di Gesù, contribuì a lavare le mani a Pilato». Proprio in quell’anno cominciava a circolare un aggettivo deantroponimico che nei dizionari si sarebbe aggiunto ai vari cesareo, kafkiano e
pilatesco: fantozziano («appartiene di diritto al più schietto lessico fantozziano», si leggeva in un articolo della «Critica sociologica»). Nel 1986, Carlo Castellaneta osservava: «Lo si sente usare e ripetere per indicare qualcosa di altrimenti inesprimibile». E il grafico ricavabile da Google N-gram lo mostra sempre più frequente fino all’accoglimento — sul crinale del millennio — nel prestigioso vocabolario fondato da Nicola Zingarelli: «Com’è umano lei!».