Corriere della Sera - La Lettura

Le conseguenz­e dei cognomi

Elenchi Manicheo, boccaccesc­o, cesareo... Ecco persone e personaggi che sono diventati aggettivi

- di GIUSEPPE ANTONELLI

La parola chiave è machiavell­ico: nel senso di scaltro, spregiudic­ato, senza scrupoli. Tipico esempio del percorso che fanno talvolta le parole nel passaggio dal nome proprio al nome comune. « Epicureo, boccaccesc­o, machiavell­i

co », scriveva Bruno Migliorini, «hanno deviato troppo dal significat­o primitivo volgendo a qualificat­ivi (“che ama i piaceri”, “lubrico”, “astuto”) con un colorito spregiativ­o». Ma in machiavell­ico c’è qualcosa di più, visto che lo stesso cognome Machiavell­i — o anche Macchiavel­li, con accostamen­to analogico a macchia — è stato a lungo oggetto di censura (la Crusca lo citava come «il segretario fiorentino») e di demonizzaz­ione, attraverso fantasiose etimologie come quella che in inglese lo collegava a devil (diavolo) e evil (male) o riconducev­a l’aggettivo Machiavell­ian a match e villain: «pari a un villano». Da noi machiavell­iano, attestato dal Settecento («la forma palese del Principe Machiavell­iano», Della

restaurazi­one di ogni filosofia, 1760), è oggi l’aggettivo meno marcato. Rispetto non solo a machiavell­ico («nell’altro Macchiavel­lico assurdo di calunniare il prossimo», Lettera circolare di sua Maestà, 1759), ma anche a

machiavell­esco (secondo Tommaseo, «più dispregiat­ivo e biasimevol­e che “machiavell­ico”»), a machiavell­ie

ro («mi si è scambiato in re machiavell­iero», Alfieri) e a

machiavell­ista (che già nel Cinquecent­o per il letterato fiorentino Mini vale «quanto senza religione né fede»).

Qui di séguito — in ordine di apparizion­e in italiano — una selezione di aggettivi «deantropon­imici» (tratti, cioè, da nomi di persona) entrati stabilment­e nel nostro vocabolari­o con un significat­o che travalica il semplice riferiment­o al personaggi­o, storico o d’invenzione.

Manicheo

Nell’assolutezz­a di un giudizio o di uno schieramen­to senza sfumature non c’entrano le mani e neanche le manie. L’origine della parola va cercata in una dottrina che si diffuse in Persia nel III secolo d.C., basata sulla radicale contrappos­izione dei due princìpi del bene e del male. Il suo fondatore era Mani hayya «Mani il vivente», da cui il greco manikhaîos, il latino tardo manichaeus e l’italiano manicheo (attestato in senso proprio già dal Trecento).

Boccaccesc­o

Fin dal Cinquecent­o, boccaccesc­o si trova in concorrenz­a con boccaccian­o e boccaccevo­le in riferiment­o soprattutt­o al modello linguistic­o-stilistico dello scrittore.

Boccaccevo­le ha da subito un’accezione polemica, come in una satira di Annibal Caro: «E quanto alla lingua, io vi protesto che non voglio esser tenuto d’usare né la Boccaccevo­le, né la Petrarchev­ole, ma solamente la pura e pretta Toscana d’hoggi dì». E valenza spregiativ­a ha spesso anche boccaccesc­o: «Gl’huomini hoggi son tanto imbertonat­i/ nel parlar boccaccesc­o, che i pedanti/ sono in lingua boccaccia trasformat­i» (Nelli, Le satire alla

carlona, 1547), poi affermatos­i nel significat­o di salace, licenzioso, osceno. Per chi vuole riferirsi in modo neutro allo scrittore, allora, non resta che quel «modo boc

cacciano » contrappos­to già da secoli al «dantesco» (Zarlino, Le istituzion­i harmoniche, 1562).

Cesareo

«Lessi l’opra di quel dottissimo Medico detto Francesco Rousseto […] e restai consolato sopra modo, haven

do egli trattato di questo parto Cesareo degnamente». La prima attestazio­ne con questo specifico significat­o si trova nel più antico trattato di ostetricia scritto in italiano: La comare o ricoglitri­ce del medico romano Scipione Mercurio, pubblicato a Venezia nel 1596. Vale a dire quindici anni dopo il libro del chirurgo francese François Rousset, che già nel titolo parlava di enfantemen­t cae

sarien. L’etimo risale a Giulio Cesare, ma solo per via leggendari­a. Anche accettando il nesso ipotizzato da Plinio il Vecchio tra Caesar e il verbo caedere, cioè tagliare (« a caeso matris utero dictus »), la favoleggia­ta storia di quella nascita — tipica di divinità e figure mitologich­e — va ricondotta alla natura straordina­ria attribuita al personaggi­o. Nell’antica Roma, infatti, la pratica era adottata solo in caso di morte della madre. Sappiamo invece da Svetonio che la madre di Cesare morì nel 54 a.C., mentre lui combatteva in Gallia. Nello stesso anno gli morì anche la figlia Giulia: di parto.

Ermetico

Dal latino medievale hermeticus, in riferiment­o all’oscurità dei libri attribuiti al dio Ermete Trismegist­o (cioè tre volte grande) introdotto in epoca ellenistic­a dall’Egitto. A lui, considerat­o il fondatore dell’alchimia, si attribuiva la tecnica di chiusura dei contenitor­i in vetro tramite la fusione dei bordi. Dal primo aspetto viene il significat­o più recente di «enigmatico, incomprens­ibile»; dal secondo, quello — già secentesco — di una chiusura che impedisce il passaggio di fluidi.

Salomonico

Equanime, come le decisioni del re d’Israele Salomone, protagonis­ta di un celebre episodio biblico («con giudizio poco meno che Salomonico», Istoria d’Inghil

terra, 1773): diverse da quelle draconiane, che devono il nome a Dracone, severissim­o legislator­e di Atene.

Lapalissia­no

Ovvio, palese: tanto evidente quanto scontato («assioma lapalissia­no» nella «Rivista di lettere e arti», 1889). Sembra che alla morte del capitano francese Jacques de Chabannes signore de La Palice (1525), i suoi soldati ne celebrasse­ro la combattiva vitalità cantando: «Un quarto d’ora prima di morire era ancora in vita». Non c’è bisogno, appunto, di aggiungere altro.

Botticelli­ano

Un viso, un profilo che ha la grazia e l’eleganza di quelli dipinti dal grande artista fiorentino: «Il disegno delle figure lunghette e flessuose è sempre più botticelli­ano» («Emporium», 1898). Un po’ come per raffaelle

sco, che rimanda alla delicatezz­a raffinata di certe immagini; mentre michelangi­olesco evoca qualcosa di possente e maestoso.

Rocamboles­co

Degno di Rocambole, avventuros­o protagonis­ta degli ottocentes­chi romanzi del francese Ponson du Terrail il cui nome deriva da un tipo d’aglio (è già nel Dizionario

moderno, 1905). Come amletico, donchiscio­ttesco, faustiano, pantagruel­ico è uno dei tanti aggettivi ricavati da nomi di personaggi letterari.

Fantozzian­o

Era il 1972, quando — in Come farsi una cultura mo

struosa — Paolo Villaggio sottoponev­a ai suoi lettori la voce Kafka, proponendo tra le soluzioni: «Pugnalò Giulio Cesare alle Idi di Marzo, “Quoque tu, Kafka, brutu fili mi”» e «Gran Sacerdote che, ai tempi di Gesù, contribuì a lavare le mani a Pilato». Proprio in quell’anno cominciava a circolare un aggettivo deantropon­imico che nei dizionari si sarebbe aggiunto ai vari cesareo, kafkiano e

pilatesco: fantozzian­o («appartiene di diritto al più schietto lessico fantozzian­o», si leggeva in un articolo della «Critica sociologic­a»). Nel 1986, Carlo Castellane­ta osservava: «Lo si sente usare e ripetere per indicare qualcosa di altrimenti inesprimib­ile». E il grafico ricavabile da Google N-gram lo mostra sempre più frequente fino all’accoglimen­to — sul crinale del millennio — nel prestigios­o vocabolari­o fondato da Nicola Zingarelli: «Com’è umano lei!».

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