Corriere della Sera - La Lettura
Uomo e natura: nuove geografie del nostro Paese
Regioni ecologiche Una classificazione apposita per gestire acque, suolo, fauna
Da alcuni anni è sempre più evidente la necessità di un approccio alla pianificazione ambientale e territoriale che sia di tipo «ecosistemico», ovvero che abbia come unità di riferimento l’insieme delle componenti biotiche (organismi viventi, sia vegetali che animali) e abiotiche (elementi non viventi, come le rocce o i suoli) presenti nel territorio e tenga conto delle loro reciproche interazioni.
Questo criterio diviene essenziale quando l’area interessata da indagini e interventi è molto ampia, come nel caso di una regione o di un’intera nazione. Per indagare un vasto territorio al fine di pianificare lo sviluppo delle sue risorse, intraprendere misure di conservazione della biodiversità, preservare dall’inquinamento le falde idriche e il suolo, o stabilire le priorità di intervento per la sua salvaguardia è necessario non solo studiare e prevedere l’evoluzione dei processi fisici, chimici e biologici che in esso hanno luogo, ma anche e soprattutto riuscire a integrare le sue caratteristiche naturali (sia fisiche che biologiche) con le dinamiche antropiche che lo caratterizzano sia in termini strutturali che funzionali.
Si tratta di un compito molto delicato soprattutto in presenza di un territorio complesso, articolato e interessato da criticità ambientali. Per questa ragione, una pianificazione territoriale che sia in grado di rispondere in modo efficace alle diverse e mutevoli condizioni naturali e antropiche necessita di parametri di confronto e di criteri di classificazione nuovi, che tengano nel dovuto conto le specificità di ogni territorio, incluse le attività economiche e i fenomeni socio-culturali presenti, e che ne indirizzino lo sviluppo in accordo con la sua più connaturata vocazione.
Per permettere una lettura rinnovata del territorio, finalizzata a integrare aspetti naturali del paesaggio e cambiamenti legati alle attività umane sull’ambiente, l’Istat ha recentemente elaborato una classificazione dei comuni italiani basata sulla categoria innovativa di «ecoregione». Le ecoregioni o regioni ecologiche sono definite come «porzioni più o meno amp i e d i t e r r i t o r i o e c o l o g i c a mente omogenee nelle quali specie e comunità naturali interagiscono in modo discreto con i caratteri fisici dell’ambiente». Esse costituiscono il riferimento per la pianificazione paesaggistica e territoriale a diverse scale. La classificazione ecoregionale in Italia è
articolata in quattro livelli gerarchici a crescente grado di omogeneità (divisioni, province, sezioni e sottosezioni) e basata sulla distinzione di ambiti omogenei per aspetti fisici (come quelli climatici, litologici, idrografici o morfologici) e biologici (come quelli di vegetazione e fauna). La penisola italiana ricade nelle due divisioni «mediterranea» e «temperata», a loro volta suddivise in sette province. Queste ultime sono articolate in undici sezioni, a loro volta suddivise in 33 sottosezioni. I diversi livelli gerarchici consentono di rappresentare in termini ecosistemici la complessità ambientale del nostro Paese, come illustrato dalla visualizzazione di queste pagine.
L’evidente vantaggio di poter realizzare una classificazione di questo tipo anche per i singoli comuni italiani ha portato all’attivazione di una collaborazione tra la Direzione centrale per le statistiche ambientali e territoriali (Dcat) dell’Istat e il Centro di ricerca interuniversitario «Biodiversità, Servizi ecosistemici e Sostenibilità» (Cirbises) del dipartimento di Biologia ambientale dell’Università La Sapienza di Roma.
L’obiettivo è stato quello di realizzare una classificazione dei comuni italiani secondo le ecoregioni d’Italia, sovrapponendo in ambiente Gis (sigla inglese di Sistema informativo geografico) la Carta delle ecoregioni a livello di Sottosezione e i confini amministrativi dei comuni. Gli elementi di tipo geologico, climatico, biologico o idrografico presenti in un singolo comune, se ben rappresentati anche cartograficamente, possono dare una chiara indicazione delle potenzialità naturali del territorio e delle possibili interazioni con l’attività antropica, e influenzarne fortemente la crescita socio-economica. Pertanto, soprattutto a livello comunale una lettura del territorio che permetta di analizzare insieme informazioni di carattere socio-demografico ed economico con aspetti di omogeneità ecosistemica può rivelarsi indispensabile per supportare le autorità locali nella gestione sostenibile, orientando i decisori politici verso le scelte più funzionali per l’ambiente e la popolazione.
Questa classificazione rappresenta un quadro geografico di riferimento, il cui impiego può efficacemente supportare le strategie per la conservazione della biodiversità e la valutazione delle risorse forestali del territorio, l’applicazione delle più appropriate tecniche agricole e la ricerca di misure per il controllo della qualità delle acque o la diminuzione del consumo di suolo, gli studi per la previsione degli effetti del cambiamento climatico o la definizione di efficaci strategie di riduzione dei rischi ambientali, nonché l’individuazione di quegli elementi che possono dare impulso a turismo e cultura.
L’utilizzo della classificazione può infine aiutare il nostro Paese a uniformarsi alle politiche europee, nell’applicazione di strumenti strategici già esistenti dedicati allo sviluppo sostenibile delle aree urbane (come l’Agenda urbana dell’Unione Europea, la Direttiva habitat o la Convenzione europea del paesaggio), o alle normative nazionali vigenti (come la legge quadro 394/1991 per le aree protette o il codice dei Beni culturali e del paesaggio).