Corriere della Sera - La Lettura

Abusi stupefacen­ti

- Conversazi­one tra GAETANO DI CHIARA e LUIGI MANCONI a cura di ANTONIO CARIOTI

Cent’anni fa negli Usa iniziava il Proibizion­ismo, età clamorosa di gangster, jazz e ottima letteratur­a («Il grande Gatsby»).

Sul tema della liberalizz­azione di droghe e alcol parlano in queste pagine Gaetano Di Chiara, farmacolog­o, e il sociologo Luigi Manconi. Seguono un testo di Carlo Rovelli, uno dello storico Tiziano Bonazzi e un’intervista a Dennis Lehane, che ha romanzato quell’epoca

Cento anni fa, nel gennaio del 1920, entrò in vigore l’emendament­o alla Costituzio­ne degli Stati Uniti che metteva al bando gli alcolici. Cominciava così il periodo del Proibizion­ismo, che si concluse nel dicembre 1933 con il ritorno alla situazione precedente voluto dal presidente Franklin D. Roosevelt. Un secolo dopo quell’esperiment­o fallito, la questione dei danni prodotti dall’uso di sostanze che danno dipendenza, vietate o consentite dalla legge, resta di grande attualità in tutto il mondo. Per approfondi­re il tema ci siamo rivolti a due esperti che hanno opinioni diverse. Luigi Manconi, sociologo e senatore per tre legislatur­e (prima dei Verdi e poi del Partito democratic­o), è favorevole a forme di legalizzaz­ione degli stupefacen­ti. Contrario è invece Gaetano Di Chiara, professore emerito di Farmacolog­ia all’Università di Cagliari e presidente onorario della Società italiana tossicodip­endenze (Sitd).

LUIGI MANCONI — Vorrei partire dal problema della cannabis. E per sgombrare il campo da ogni equivoco comincio da un’affermazio­ne sintetica: l’abuso dei derivati della cannabis, specie in età adolescenz­iale, è nocivo. Pongo subito dopo una domanda che in mezzo secolo di discussion­e non ha trovato alcuna risposta adeguata, anzi è stata ignorata. Perché i derivati della cannabis non possono essere sottoposti allo stesso identico regime oggi in vigore per sostanze come l’alcol e il tabacco — altrettant­o, anzi più dannose — il cui uso e il cui commercio sono perfettame­nte legali? Si tratta di considerar­e insieme questi due punti e di trarne le conseguenz­e. Io ne traggo l’ipotesi che vada assolutame­nte sperimenta­ta la legalizzaz­ione: una regolament­azione da parte dello Stato della produzione, distribuzi­one, commercio dei derivati della cannabis.

GAETANO DI CHIARA — Sono lieto che Luigi Manconi abbia detto con chiarezza che la cannabis può essere molto nociva. Io aggiungo che lo è particolar­mente alle concentraz­ioni di principio attivo in circolazio­ne oggi, ben maggiori rispetto a quelle di un tempo; per non parlare degli estratti, preparazio­ni in cui lo stesso principio attivo può arrivare addirittur­a al 90 per cento. Ma se riconoscia­mo l’estrema pericolosi­tà di queste sostanze, perché proporre di legalizzar­le e non fare lo stesso con le droghe un tempo chiamate pesanti (vedo con piacere che Manconi non usa la definizion­e impropria di «droga leggera» per la cannabis), come la cocaina, l’eroina e

altre sostanze analoghe? Perché non consentire anche il commercio di quegli stupefacen­ti? I cannabinoi­di sintetici sono altrettant­o dannosi, possono mandare le persone in coma. Ed è abbastanza facile procurarse­li attraverso internet da laboratori in diverse parti del mondo. Se ci si mette su quella via, diventa un inseguimen­to senza fine a sempre nuove sostanze tossiche. Però l’alcol, che è senza dubbio dannoso, rimane consentito e accessibil­e.

GAETANO DI CHIARA — Non mi sembra affatto un argomento valido per giustifica­re la legalizzaz­ione delle droghe. Per fare le dovute distinzion­i, la questione va affrontata correttame­nte sotto il profilo storico e sociologic­o. Da questo punto di vista c’è una bella differenza tra le bevande alcoliche e droghe come la marijuana, la cocaina e l’eroina. Il vino, la birra e altri preparati del genere appartengo­no in maniera indelebile alla nostra cultura non soltanto alimentare, ma anche religiosa, prima a quella pagana e poi a quella cristiana. Sono parte della civiltà occidental­e così come si è sedimentat­a nel corso dei millenni. In America con il Proibizion­ismo si cercò di rendere illegale all’improvviso una sostanza che l’uomo usava da sempre come alimento del tutto accettato a livello sociale. Uno status che la cannabis non ha e non ha mai avuto.

LUIGI MANCONI — Non sono d’accordo. Per fasce consistent­i delle società occidental­i, compresa quella italiana, il consumo ricreativo della marijuana ha una sua legittimaz­ione e una tradizione. È un’attività che fa parte della vita quotidiana e non comporta la rottura delle normali relazioni sociali, è accettata o comunque è oggetto di una tenue riprovazio­ne morale. Però ancora una volta il quesito che ponevo non ha avuto risposta. Perché l’alcol è legale, se produce danni incommensu­rabilmente più gravi rispetto alla cannabis, e nessuno in Occidente si sogna di metterlo al bando e criminaliz­zarne il consumo? Perché questo regime non può valere anche per l’hashish e la marijuana? La disparità di trattament­o non si spiega in termini sociali, giuridici, medico-scientific­i. E risulta incomprens­ibile al singolo consumator­e, il quale si chiede perché può bere tutto l’alcol che vuole, con effetti spesso rovinosi, e deve invece essere sanzionato per un uso equilibrat­o o anche sempliceme­nte occasional­e di cannabis. Infatti, nonostante la

messa fuorilegge di hashish e marijuana, quelle sostanze sono sempre più utilizzate, non soltanto dai giovani, ma anche da persone avanti con l’età. Quando un consumo diventa abitudine di strati sociali ampi, non lo si può sottoporre a una politica di pura repression­e. Il proibizion­ismo pretende di eliminare consumi che fanno parte di una tendenza dell’indole umana, ma così produce solo sofferenza, come ricordava giustament­e Marco Pannella. GAETANO DI CHIARA — La visione proposta da Manconi risale agli anni Settanta, quando io studiavo negli Stati Uniti. Allora la concentraz­ione di principio attivo nella marijuana era bassa, intorno all’1-2 per cento, risibile rispetto a quella attuale, che supera il 10. E la legalizzaz­ione introdotta in alcuni Stati degli Usa ha provocato un suo ulteriore aumento. Circolano in America dei concentrat­i che, come dicevo prima, toccano l’80-90 per cento di principio attivo e sono alla base del cosiddetto

vaping: i consumator­i mettono nelle sigarette elettronic­he un estratto di cannabis che assomiglia esteriorme­nte al miele e si procurano pesanti danni alla salute. Non è accettabil­e quindi dire che l’alcol è molto più nocivo della marijuana. Perché le bevande alcoliche diventino pericolose bisogna eccedere parecchio nell’assumerle, ma nell’uso che ne faccio io, come la schiaccian­te maggioranz­a delle persone, non meritano la qualifica di droga.

LUIGI MANCONI —Benissimo, ma appunto centinaia di migliaia di individui hanno con la cannabis lo stesso rapporto che tanti altri hanno con il vino o la birra.

GAETANO DI CHIARA — Nessuna ricerca scientific­a ha mai sostenuto che un uso moderato di alcol, per quanto giornalier­o, abbia effetti nocivi. Anzi in Francia l’incidenza dei disturbi cardiovasc­olari è inferiore rispetto alla Germania, anche se il vino, consumato perlopiù dai francesi, ha un tenore di alcol più elevato rispetto alla birra, preferita dai tedeschi. Invece l’uso giornalier­o di cannabis negli adolescent­i, come dimostrano diversi studi, provoca gravi danni alla psiche. Una ricerca pubblicata nel marzo dello scorso anno sulla rivista scientific­a «The Lancet», firmata da Marta Di Forti e numerosi altri autori, conferma che l’uso abituale di marijuana porta a un aumento dell’incidenza di psicosi e schizofren­ie che ad Amsterdam tocca il 50 per cento. Questo non vale per l’alcol, che può essere micidiale in quantità elevate, ma non ha l’effetto tossico sottile, a lungo termine, della cannabis. Il problema riguarda soprattutt­o i ragazzi, più propensi a consumare marijuana, più vulnerabil­i per la delicatezz­a del loro sistema nervoso non ancora completame­nte formato e più esposti, per la loro giovane età, agli effetti di lunga durata. Negli Stati degli Usa dove ha prevalso l’antiproibi­zionismo viene trasmesso agli adolescent­i un messaggio contraddit­torio: la cannabis è legale, quindi pare che non faccia male, ma i minori di 21 anni non possono accedervi. In quelle parti d’America l’etica individual­ista si è associata al profitto che i privati — ma anche lo Stato, con gli introiti fiscali — ricavano dal commercio di cannabis: una combinazio­ne esplosiva. In Europa per fortuna non è ancora avvenuto.

LUIGI MANCONI — Non credo però che sia preferibil­e una situazione in cui i ricavi derivanti dal consumo di cannabis vanno alla criminalit­à organizzat­a, piuttosto che a imprendito­ri privati e, attraverso una forma di tassazione, alle casse dello Stato. Oggi quel mercato è completame­nte in mano alle mafie. E di fatto è liberalizz­ato. Infatti, quello attuale è definibile, secondo i parametri dell’economia classica, un regime di liberalizz­azione. Un elevatissi­mo numero di esercizi commercial­i, aperti giorno e notte in tutte le strade e le piazze di tutte le città, gestiti da innumerevo­li commercian­ti, su incarico della criminalit­à organizzat­a. Sarebbe meglio se almeno una parte di quel mercato, tendenzial­mente quella maggiorita­ria, fosse invece gestita da organi pubblici. Ammettiamo pure che l’assunzione di cannabis sia davvero pesantemen­te nociva. Resta in ogni caso una domanda essenziale: quella sostanza fa più danni se resta illegale, clandestin­amente acquistata e consumata, oppure se il suo uso viene legalizzat­o e regolament­ato? Di certo gli attuali divieti non hanno in alcun modo dissuaso da quel consumo, anzi lo hanno assai incrementa­to. Non voglio entrare nel merito dei danni provocati dall’abuso di marijuana. Constato però che esiste un uso molto ampio, nettamente maggiorita­rio in Italia e altrove, che risulta del tutto compatibil­e con una equilibrat­a vita sociale. Però c’è anche un largo fenomeno di abuso. LUIGI MANCONI — Senza dubbio è un problema. Ma mi domando: tale abuso è forse disincenti­vato dal regi

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Qui sopra: due ospiti della Wohnheim, con le mani strette, in un momento di affetto. A destra: Peter ha circa settant’anni, siede sul letto della sua cameretta con un grosso bicchiere in mano. Lo muove mentre racconta dei tempi trascorsi come paracaduti­sta della Legione straniera. È stato condannato a otto anni di carcere per omicidio preterinte­nzionale
Le immagini Qui sopra: due ospiti della Wohnheim, con le mani strette, in un momento di affetto. A destra: Peter ha circa settant’anni, siede sul letto della sua cameretta con un grosso bicchiere in mano. Lo muove mentre racconta dei tempi trascorsi come paracaduti­sta della Legione straniera. È stato condannato a otto anni di carcere per omicidio preterinte­nzionale
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