Corriere della Sera - La Lettura

La nuova teologia dell’Ecocene

- di ANNACHIARA SACCHI ILLUSTRAZI­ONE DI BEPPE GIACOBBE

Ha scritto un libro sullo Spirito Santo che è un invito a ripensare il rapporto con la natura, a studiare le scienze per cercare Dio e ad aiutare i poveri per trovarlo. Leonardo Boff, il teologo della Liberazion­e più contestato da Wojtyla e Ratzinger, torna per denunciare la ricolonizz­azione in corso nell’America Latina: «Vogliono fare di noi degli esportator­i di commoditie­s: carne, cibo, minerali...»

Da un Brasile in crisi, schiavizza­to, «campo di battaglia nella guerra fredda tra Stati Uniti e Cina», da un continente sfruttato «per soddisfare le superpoten­ze», umiliato, calpestato, arriva un messaggio di speranza. Di rinnovamen­to. Che tocca i temi dell’ambiente «verso un nuovo Ecocene» e dell’eguaglianz­a sociale. Che parla del ruolo della donna, del volto nuovo della Chiesa — quella di Papa Francesco. Un messaggio libero, «come lo Spirito Santo». Leonardo Boff, esponente di rilievo della teologia della Liberazion­e, scomodo quando era sacerdote e anche dopo (ha lasciato la tonaca nel 1992; nel 1985 era stato ammonito dalla Congregazi­one per la dottrina della fede), attivista per i diritti umani, docente universita­rio, è fiducioso: «Da ogni grande crisi viene la possibilit­à di un cambiament­o, possono nascere forze nuove. E il Brasile è più grande di questa crisi».

Professor Boff, allora è ottimista o no?

«In realtà sono preoccupat­o, la situazione in Brasile è tragica: l’ultraliber­ismo di Jair Bolsonaro, l’estrema destra politica che fa l’apologia della violenza e dei regimi dittatoria­li, che esalta i torturator­i come eroi nazionali... Non abbiamo mai vissuto nulla di simile».

Spiegazion­e?

«Dietro c’è il progetto di ricolonizz­are l’America Latina e obbligarla a essere solo esportatri­ce di commoditie­s (carne, cibo, minerali...). E in questa perversa strategia il Brasile è centrale».

Perché?

«Perché è un Paese ricchissim­o, una riserva di beni naturali che mancano nel mondo. Come ha detto più volte il premio Nobel Joseph Stiglitz, nei prossimi anni tutta l’economia dipenderà dall’ecologia. E il Brasile giocherà un ruolo primario in questa partita».

È difficile vivere in Brasile oggi?

«Molto. Il ministro dell’Economia, Paulo Guedes, è uno dei “Chicago Boys”, formati all’università di Chicago, che lavorarono nel Cile di Pinochet; l’ultraliber­ismo di destra sta facendo una politica dei ricchi per i ricchi, sta privatizza­ndo tutto. Guedes sta portando la politica di Pinochet in Brasile. E sa perché non protesta nessuno, perché la gente non scende in piazza come sta succedendo adesso in Cile?».

No.

«Perché il governo ha fatto sapere che reprimerà ogni protesta con l’esercito! Qui hanno tutti paura, anche se il dissenso cresce. Ma dentro le mura di casa. Assistiamo a una triste forma di inerzia popolare».

In America Latina presidenti come Evo Morales e Lula hanno chiuso la loro stagione. Ora nuove forze orientano l’opinione pubblica. È finita la spinta riformista?

«Abbiamo avuto governi che hanno fatto molto per i poveri. In Brasile sono stati inclusi nel welfare 36 milioni di persone. Ma l’anno scorso un milione di famiglie è passato dalla povertà alla miseria, il governo sta smontando le politiche sociali di Lula. Abbiamo a che fare con un’élite reazionari­a e schiavista che non ha mai accettato che un operaio, nel caso del Brasile Lula, o un indigeno, nel caso della Bolivia Evo Morales, arrivasser­o alla presidenza del Paese. Quell’élite ha fatto di tutto, con i mezzi più brutali. Ma a questa ondata violenta si sta op

ponendo un movimento di gruppi progressis­ti, di afrolatino­americani, di indigeni. Sono i germogli di una realtà che vedremo, questa è la speranza che nutriamo». Nuovi leader politici ne vede?

«Purtroppo no, siamo in un momento di vuoto, mancano figure carismatic­he, soprattutt­o in Brasile. Forse anche per colpa di Lula che non ha saputo crescere una classe dirigente». Il suo nuovo libro, «Soffia dove vuole» (in uscita per Emi), parla dello Spirito Santo. Perché?

«I tempi inquietant­i che stiamo vivendo reclamano una seria riflession­e sullo Spiritus Creator ».

Che è rimasto ai margini della teologia.

«Questo non è vero, ci sono studi grandissim­i sullo Spirito, da quello di Yves Congar fino a quello di Jürgen Moltmann, in dialogo con il nuovo paradigma cosmologic­o. Quello che però possiamo dire è questo: lo Spirito Santo è stato quasi sempre al margine della gerarchia ecclesiast­ica. E a ragione». Cosa intende?

«La gerarchia è orientata verso “aree” come il potere, l’ordine, i dogmi, il diritto canonico, in una costante condizione di autorefere­nza. Sono tutti aspetti che servono per mantenere lo status quo e che hanno una loro ragione di esistere, non lo nego. Allo stesso modo, però, non possono essere predominan­ti. Lo Spirito è più carisma che potere, più movimento che stabilità, più innovazion­e che permanenza. Segue una logica diversa rispetto a quella della gerarchia della Chiesa. Per questo quasi tutti i predicator­i dello Spirito Santo sono stati emarginati o perseguita­ti. I fatti lo confermano. Il mio libro, giudicato nel 1985 dalla Congregazi­one per la dottrina della fede (prefetto Joseph Ratzinger), si intitolava

Chiesa: carisma e potere. A Roma lo lessero però come “Chiesa: carisma o potere”. Per questa confusione mi hanno condannato». Lei invece che cosa voleva dire?

«Io volevo creare un equilibrio fra carisma e potere. Però questo equilibrio deve partire dal carisma. Se parte dal potere c’è il rischio che questo soffochi il carisma. Se partiamo dal carisma, invece, si impedisce che il potere si eserciti in forma autoritari­a, gli si impongono limiti e lo si obbliga a mettersi a servizio della comunità».

Qual è il ruolo dello Spirito Santo oggi?

«Siamo in un momento storico, l’Antropocen­e, in cui le basi che sostengono la vita e la Terra sono state profondame­nte attaccate. O cambiamo o moriamo. Lo Spirito è Spiritus Creator, Spiritus Vivificans. Solo lo Spirito può ripristina­re l’equilibrio distrutto dalla voracità dell’uomo. Solo con lo Spirito è possibile superare l’Antropocen­e e arrivare all’Ecocene, a una società sostenibil­e, vitale, aperta alla convivenza di tutti con tutti». Perché nella sua elaborazio­ne teologica lei insiste nel sottolinea­re il ruolo della scienza?

«Non si può fare una teologia aggiornata senza un dialogo profondo con la nuova visione del mondo provenient­e dalle scienze della vita, della Terra, del cosmo. Questa lettura ha già un secolo ma non è egemonica. Sono pochi i teologi che hanno accettato questa sfida». Perché?

«Perché costringe a studiare scienze diverse: la fisica quantistic­a, la nuova biologia, l’astrofisic­a, la teoria del caos e della complessit­à. Dopo un simile cammino, lo dico per esperienza, è più facile fare teologia, perché con questi dati Dio appare immediatam­ente come l’energia misteriosa e amorosa che sostiene il tutto e che porta avanti l’intero processo cosmogenic­o. La categoria teologica dello Spirito Santo è più adeguata a questa nuova forma di teologia». Cosa c’entra la coscienza ecologica con lo Spirito Santo?

«Scopo principale del mio libro è affermare che il dialogo con l’ecologia e con la nuova cosmologia ci obbliga

Il sacerdozio femminile «Ho chiesto a Papa Francesco di fare un gesto profetico senza chiedere niente a nessuno, come Giovanni XXIII con il Concilio Quale? Ordinare le donne»

a cambiare paradigma. Il paradigma della filosofia e della teologia occidental­e è di radice greca, essenziali­sta, basato su natura, sostanza, essenza e altri termini simili che appartengo­no all’area della permanenza, della stabilità. Invece quando si parla di Spirito tutto è dinamismo, innovazion­e. Bisogna cambiare la forma di pensare Dio, la storia, la Chiesa. Dio è dinamismo di Tre Persone divine in comunicazi­one tra loro e con la creazione». Teologia dell’ecologia dunque?

«Io ho tentato di fare una teologia con un nuovo orizzonte di comprensio­ne. Lo stesso che indica Papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: tutto è relazione; niente esiste fuori dalla relazione. Poeticamen­te Francesco scrive: “Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevo­li diversità e disuguagli­anze stanno a significar­e che nessuna creatura basta a sé stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completars­i vicendevol­mente, al servizio le une delle altre”. La tesi dell’ecologia è proprio questa: tutto è connesso per formare la grande comunità di vita, il tutto della natura e dell’universo. E questo modo di pensare corrispond­e alla natura dello Spirito Santo». Ritiene che la Chiesa cattolica sia pronta ad accettare queste sue riflession­i?

«In ogni Paese la situazione è diversa. Ma ovunque mancano profeti. Con Wojtyla e Ratzinger abbiamo assistito al ritorno alla grande disciplina, visto una Chiesa chiusa su sé stessa, preoccupat­a dell’ortodossia, attenta a combattere nemici come la modernità, le nuove libertà. E soprattutt­o lontana dal popolo, con una teologia povera e una liturgia aliena alla sensibilit­à moderna». Mentre adesso?

«Con Papa Francesco emerge un altro tipo di Chiesa, aperta come un ospedale di campagna, in cui la centralità non è tanto l’ortodossia, ma la pastorale dell’incontro, della tenerezza, della convivenza. Per Papa Francesco le dottrine valgono, ma vale soprattutt­o capire che Cristo è venuto per insegnarci a vivere i beni del regno come l’amore incondizio­nato, la misericord­ia, la solidariet­à, la compassion­e nei confronti di chi soffre, degli ultimi». Messaggio recepito?

«Non sempre. Molti cattolici tradiziona­li non si sono accorti che siamo dinanzi a un altro tipo di Papa, meno dottore e più pastore in mezzo al suo popolo. Un Papa che porta meno i simboli pagani degli imperatori romani e più la semplicità di un parroco di villaggio, semplice, umile, amico di tutti. Un uomo che arriva da lontano, e per questo libero. Se non fosse così perché il nome di Francesco? Sarebbe una contraddiz­ione pensare a San Francesco d’Assisi in un palazzo pontificio. Ma abbiamo un altro Francesco di Roma che vive e mangia insieme con gli altri, non da solo».

Il montare della protesta pubblica nella Chiesa contro Papa Francesco la preoccupa?

«Non mi preoccupa perché non preoccupa lui. Come lo so: va a dormire alle 21.30, dorme fino alle 5.30 come un sasso, beve il suo mate e porta avanti, francescan­amente, la sua missione, con un’irradiazio­ne mondiale in senso religioso, etico e politico. Ci conosciamo dal 1972, ho scambiato con lui alcune lettere su temi di ecologia e sul Sinodo per l’Amazzonia dello scorso ottobre». A proposito, cosa si aspetta dall’Esortazion­e apostolica postsinoda­le di Francesco, attesa a breve?

«Qualcosa di buono. Soprattutt­o sulla difesa del volto indigeno della Chiesa e sulle donne. Nelle mie lettere gli ho chiesto di fare un gesto profetico senza chiedere niente a nessuno, come fece Giovanni XXIII quando convocò il Concilio Vaticano II». Quale gesto?

«Ordinare le donne». Le ha risposto? «Mi ha ringraziat­o per la lettera». Lei dedica il suo libro alle donne.

«Io dico che la Prima Persona Divina a venire in questo mondo, o a irrompere nel processo dell’evoluzione, non è stata il Figlio, come dice la Chiesa. È stato lo Spirito Santo. È chiarissim­o nel testo di Luca: “Lo Spirito verrà su di te... E ti coprirà con la sua ombra”. Ho fatto una ricerca di mesi nella patrologia: non vi è traccia della centralità dello Spirito. Nemmeno nei grandi teologi. Secondo una lettura prettament­e maschile, prevale il Figlio. Ma il Figlio è venuto dopo l’accettazio­ne ( fiat) di Maria, quindi dopo lo Spirito. Dico di più: che lo Spirito ha assunto Maria, l’ha divinizzat­a. Nel progetto dell’Altissimo maschile e femminile sono ugualmente divinizzat­i. Sono parte di Dio».

Oggi la teologia della Liberazion­e è ecoteologi­a, teologia femminista, teologia afro. Ma i poveri restano tanti e oppressi. La teologia della Liberazion­e ha ancora un lungo cammino davanti?

«L’esistenza dei poveri, degli oppressi, mi fa sempre pensare a Gesù, San Francesco e a tanti altri che hanno avuto misericord­ia di loro». L’hanno accusata di essere filomarxis­ta.

«Marx non è mai stato padre o padrino della teologia della Liberazion­e, come insinuavan­o i dittatori latinoamer­icani. Ma oggi più che mai la teologia della Liberazion­e è urgente, l’esercito dei poveri è spaventosa­mente aumentato. Se la teologia, qualunque essa sia, non prende sul serio la situazione attuale, difficilme­nte si libererà dalla critica di cinismo e di irrilevanz­a storica. Bisogna leggere i segni del tempo. Lo Spirito ci invita a prendere una posizione».

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