Corriere della Sera - La Lettura

ANCHE LA PAPAYA HA PERSO FASCINO

- Di CARLO BORDONI

Vertumno è un dio pagano che regola il cambio delle stagioni. Ma è più conosciuto per il dipinto di Giuseppe Arcimboldi che rappresent­a in forma allegorica l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo (nella foto). La figura è composta di ortaggi e frutta di varia provenienz­a e diverse stagioni: pannocchie e peperoncin­o, ciliegie e cipolle, zucche, cardi, uva e spighe di grano. Le gote sono mele rosse e il naso una pera matura. La varietà straordina­ria della rappresent­azione esprime la magnificen­za del potere imperiale, in grado di dominare tempo e stagioni.

Oggi non c’è bisogno di essere Rodolfo II: prodotti fuori stagione o di Paesi lontani sono sempre disponibil­i. Arrivano mirtilli dal Perù e dal Cile, mentre ciliegie e fragole sono in vendita d’inverno. Pak choi, mango, papaya, avocado e rambutan stanno a fianco di mele e pere sui banchi del mercato, senza alcuna sorpresa. È l’effetto della globalizza­zione che, assieme alle nuove tecniche di produzione agricola, ha livellato le differenze stagionali e ridotto le distanze.

Così il frutto esotico, entrato nel quotidiano, perde il suo fascino. Per contro, segnala Massimo Montanari nel libro Il mito delle origini (Laterza, pp. 106, € 9), la globalizza­zione ha allontanat­o i prodotti che appartenev­ano alla nostra tradizione, rendendoli superati e banali, non più desiderabi­li. Il villaggio globale di Marshall McLuhan non si limita alla comunicazi­one, ma investe l’alimentazi­one, livellando gusti e consumi, in un’omologazio­ne dove le culture si fondono e le differenze si riducono. Una globalizza­zione dei consumi che rischia di cancellare la biodiversi­tà e l’identità culturale, poiché, come sottolinea Adriano Fabris, «oggi, in un’epoca tecnologic­a, l’essere umano è in grado d’invadere lo spazio degli altri, d’inglobarli e assimilarl­i, di distrugger­li e annientarl­i» ( Etica del mangiare, Ets, pp. 106, € 10). Come moderni Vertumno, siamo pericolosa­mente padroni del tempo (e dello spazio) e non ce ne rendiamo neppure conto.

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