Corriere della Sera - La Lettura
Tre mezzi Bolaño fanno quasi un Bolaño intero
Escono gli abbozzi di romanzi che l’autore cileno non finì. Per cultori ma non solo
Chi è il Verme, uomo pallido e viscido, seduto su una panchina del parco dell’Alameda, che guarda da sotto un cappello di paglia il piccolo Arturo Belano, impegnato a sfogliare, a volte rubare, i libri della Librería de Cristal di Città del Messico? Non lo sapremo, dato che il libro in cui il personaggio avrebbe dovuto figurare non è venuto in esistenza ma sappiamo chi sarà Arturo da grande: un fondatore del Realismo Viscerale, quindi uno dei protagonisti del già leggendario romanzo I detective selvaggi. Tanto basta... Forse.
Arriva infatti in libreria per
Adelphi e l’ormai consueta (e mirabile) traduzione di Ilide Carmignani, Sepolcri di cowboy, opera di Roberto Bolaño che più postuma non si può, trattandosi degli embrioni di tre romanzi ritrovati dopo la morte. La bozza più vecchia, Patria, era scritta a macchina, e avendola Bolaño usata tra il 1992 e il ’95, può essere ricondotta a quel periodo. La seconda, che dà il titolo al libro e ne apre la versione italiana, proviene dal file VAKEROS.doc rinvenuto nell’hard disk dell’autore; contenendo note che rimandano ai Detective selvaggi, la si può datare tra il 1995 e il ’98.
L’ultimo testo, Commedia dell’orrore di Francia si trovava pure su un file — FRANCIA.doc — ma alcune note autografe hanno consentito di collocarlo tra il 2002 e il 2003.
Si capisce allora che ci troviamo di fronte a tre lavori molto diversi, afferenti a distinti momenti del percorso di Bolaño, che da quando passò alla prosa ebbe uno sviluppo rapido e febbrile. Viste biografia e bibliografia, è plausibile immaginare che Patria e Sepolcri di cowboy siano abbozzi abbandonati che mai sarebbero diventati libri compiuti: le atmosfere di Patria rimandano al filone dei «Bolaño minori» che dalla Pista di ghiaccio arriva fino a Un romanzetto lumpen, laddove Sepolcri di cowboy parrebbe quasi un appunto a margine del mondo dei Detective selvaggi che non ha trovato collocazione. Per quanto allora il bolañista possa trovare soddisfazione anche in questi testi, se non altro per la presenza perentoria della sua voce, è chiaro che il più interessante è Commedia dell’orrore di Francia, essendo l’abbozzo di un romanzo che avrebbe potuto plausibilmente vedere la luce. Vi troviamo un nuovo protagonista, il giovane poeta Diodoro Pilon, e nuove