Corriere della Sera - La Lettura

E io inseguo artisti come le mosche

- Dal nostro inviato sull’isola di Runmarö (Svezia) SANDRO ORLANDO

L’entomologo Fredrik Sjöberg e il romanzo sul pittore Anton Dich, amico di Modì

Se qualcuno tra molti anni vorrà interessar­si a Fredrik Sjöberg, non dovrà fare altro che andare un’ora fuori Stoccolma, fino al molo di Stavsnäs; prendere il traghetto per Runmarö; e una volta qui, camminare per il sentiero che porta al lago di Uppebyträs­ket. Nella villa che incontrerà, l’unica sulla sponda meridional­e del lago, in mezzo al bosco, troverà tutto quello che documenta la vita di questo scrittore svedese, un biologo prestato alla letteratur­a, con la mania del collezioni­smo, che si è affermato con i suoi originalis­simi romanzi naturalist­i, tutti pubblicati da Iperborea.

È dal 1985 che Sjöberg si è stabilito su quest’isola di 15 chilometri quadrati, che d’inverno conta meno di 300 abitanti. E qui ha raccolto le tracce delle sue passioni: le lettere, gli articoli e i libri che affollano il suo archivio; le tre teche con la collezione di insetti esposta nel 2009 alla Biennale di Venezia; e le opere d’arte appese alle pareti. C’è anche il quadro di Anton Dich, con il ritratto di Hanna e Lillan, da cui prende le mosse il suo nuovo romanzo, Mamma è matta, papa è ubriaco. «L’ho trovato per caso in una casa d’aste di Stoccolma: è un dipinto del 1921 eseguito a Mentone che raffigura due ragazze», racconta l’autore. «Nessuno sapeva nulla di questo pittore danese morto a Bordighera nel 1935, a 45 anni, per una polmonite. Io sapevo solo che aveva sposato una ricca vedova, il cui primo marito era stato un artista di fama, scomparso a 30 anni per un’emorragia: lo svedese Ivar Arosenius. Me ne ero occupato in un precedente libro, non tradotto in italiano».

E ha cominciato le ricerche.

«Ho trovato tutti i suoi quadri nel Sud della Svezia, dopo tre settimane ero il massimo esperto mondiale di Anton Dich. Solo gli studiosi di Modigliani conoscevan­o il suo nome, perché Modigliani aveva vissuto per un certo periodo a casa di Anton e sua moglie, e nel 1918 aveva fatto uno schizzo della figlia Lillan. Quando ho incrociato Modigliani ho capito che dietro c’era una grande storia».

E non se n’è più staccato. Da Göteborg a Bordighera nel libro siamo trascinati nelle sue peregrinaz­ioni per ricomporre una trama complessa...

«Amo la caccia, nel senso che la capisco perfettame­nte, anche se non sono un cacciatore. È un impulso primitivo, che mi ha fatto andare avanti con le mie ricerche per tre anni».

Mai avuto dubbi che potesse essere la pista sbagliata?

«Io ho un fiuto per le belle storie ma bisogna saper aspettare. Nel mondo dell’arte le voci si diffondono rapidament­e. Nel 2017, prima che venisse inaugurata una retrospett­iva su Modigliani a Londra, si era sparsa la notizia che stavo dando la caccia ad Anton Dich. Avevo fatto in modo di gettare delle esche, parlandone con un giornalist­a. Non si può mai sapere se e quando un pesce abboccherà. E invece sono stato contattato da diverse persone che mi hanno dato altre informazio­ni. Io sono un entomologo: raccolgo dettagli e vado a caccia di particolar­i».

A proposito di insetti: va sempre a catturare mosche?

«No, da quando la mia collezione è rientrata dalla Biennale, ho smesso».

Ha rintraccia­to la tomba di Anton Dich, ne ha incontrato i parenti, è diventato amico di sua nipote. Perché?

«Prima della guerra, Dich si trasferisc­e con moglie e figli a Parigi, perché vuole diventare un pittore famoso. Non succede, e 15 anni più tardi la famiglia torna in Svezia mentre lui è ormai un alcolizzat­o e finisce i suoi giorni in Liguria, a Bordighera, da solo. Mi interessan­o da sempre i temi della solitudine e dell’oblio. Dich in quei pochi anni in Francia frequenta artisti come Amedeo Modigliani e Henri Matisse, André Derain, Blaise Cendrars e Diego Rivera. Anche lui è un grande artista ma che cosa ne determina il fallimento? E perché è stato dimenticat­o così in fretta?».

Tutti i protagonis­ti dei suoi romanzi sono geni dimenticat­i: René Malaise, l’entomologo-esplorator­e de «L’arte di colleziona­re le mosche»; Gunnar Widforss, il pittore dei grandi parchi americani («L’arte della fuga») e Gustaf Eisen, l’esperto di lombrichi pioniere della coltivazio­ne dell’uva sultanina («Il re dell’uvetta»)...

«Scrivo sempre di persone dimenticat­e, forse perché mi preparo a essere dimenticat­o a mia volta. O perché magari spero che qualcuno un giorno si interessi alla mia vita. Questo è anche il motivo per cui conservo tutto con una grande precisione».

Tutti i personaggi condividon­o le sue passioni: insetti, arte, viaggi. Quanto si riconosce in loro?

«Un editore di Stoccolma sta per ripubblica­re i tre romanzi in un unico volume. È una sorta di autobiogra­fia, perché mi rispecchio in questi personaggi. Ritrovo me stesso nelle loro passioni e nei loro errori. All’inizio non ne ero consapevol­e, ma ho raccontato la mia storia attraverso la loro».

E come Gustaf Eisen è stato un fotografo, prima di cominciare a scrivere. Fa ancora foto?

«No, la fotografia mi interessa sempre, ma non ho tempo. Mio padre era un fotografo, a 19 anni mi sono iscritto a una scuola di fotografia ma poi ho lasciato. Forse perché ero molto timido e non mi interessav­ano i paesaggi: volevo scattare ritratti di persone».

Così si è iscritto a biologia. E per più di un anno ha girato il mondo. Qual è lo scrittore che le ha fatto capire cosa avrebbe fatto nella vita?

«Bruce Chatwin. Ho cominciato a scrivere a 25 anni. Per almeno 5 anni ho lavorato a dei testi illeggibil­i, fortunatam­ente mai pubblicati. Ho avuto bisogno di tempo per inventare un mio stile. In Svezia i miei libri vengono ancora considerat­i dei saggi di divulgazio­ne scientific­a. All’estero invece sono ritenuti dei romanzi e questo mi fa molto piacere».

Ha scoperto Runmarö lavorando ad una storia sulle orchidee. Perché poi è venuto a vivere su quest’isola?

«Amo le isole perché ho bisogno di limiti. Il mondo è troppo grande per me. Quest’isola mi dà un senso di controllo e sicurezza. Anche August Strindberg ci ha trascorso alcune estati».

E ora colleziona opere d’arte...

«Vado spesso alle aste, anche se più per guardare che per comprare. Ad attrarmi è la tensione, credo».

Di nuovo l’istinto della caccia. L’ultimo acquisto?

«È una stampa di Guido Balsamo Stella, pittore e incisore vissuto a Stoccolma durante la Grande guerra, e poi trasferito­si a Firenze e Asolo. La moglie, la pittrice Anna Akerdahl, ebbe lì due ville, poi donate all’Accademia svedese delle scienze, ma non so altro. Mi sto documentan­do».

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