Corriere della Sera - La Lettura
Faccia di bronzo, o tosta Cioè «senza vergogna»
Con le facce di bronzo il metallo non c’entra. Almeno non direttamente: quello che conta — nell’origine dell’espressione — sembra il colore. «Fronte di bronzo, e senza vergogna», si legge nel 1604 in un trattato di politica tradotto dal latino; e in una Filosofia sagra morale di fine secolo: «A fronte disonorata, o come dicono bronzina». Qui potrebbe essere la chiave. Perché bronzino fin dal Cinquecento vale «abbronzato», come
per secoli erano soprattutto i contadini: «Callosi, nerboruti, e bronzini» li descrive Annibal Caro. Sarebbe il colore bruno della pelle a evitare la vergogna, non facendo affiorare il rossore: «Il nome di rossore è egli un nome, che faccia paura alla vostra fronte di bronzo?», tuona a metà Settecento Antonfrancesco Bellati, gesuita ferrarese. In quegli stessi anni, vengono pubblicate postume alcune Dissertazioni di Ludovico Muratori in cui l’espressione «avere una ciera bronzina» è accostata allo «stare con volto tosto, avere una ciera tosta» in riferimento a chi «né per minaccie, né per vergogna, o per ingiurie non muta volto». E qui c’è un altro elemento interessante. Quel tosto, spiega Muratori, viene dal latino torrère (come torrido) e in questo caso starebbe — più che per duro — per cotto, bruciato: nella fattispecie, dal sole. Non è forse un caso che la più antica faccia tosta documentabile si trovi — nel 1605, quasi lo stesso anno della fronte di
bronzo — in un contesto simile. Nella commedia Il vecchio geloso di Raffaello Riccioli detto l’Impennellato, un personaggio accusa una donna di essersi «lisciata con la fuligine» il viso, cambiando il colore della pelle per ingannarlo: «Con questa tua faccia tosta di norcino credi tu che io non ti riconosca?».