Corriere della Sera - La Lettura

Faccia di bronzo, o tosta Cioè «senza vergogna»

- di GIUSEPPE ANTONELLI

Con le facce di bronzo il metallo non c’entra. Almeno non direttamen­te: quello che conta — nell’origine dell’espression­e — sembra il colore. «Fronte di bronzo, e senza vergogna», si legge nel 1604 in un trattato di politica tradotto dal latino; e in una Filosofia sagra morale di fine secolo: «A fronte disonorata, o come dicono bronzina». Qui potrebbe essere la chiave. Perché bronzino fin dal Cinquecent­o vale «abbronzato», come

per secoli erano soprattutt­o i contadini: «Callosi, nerboruti, e bronzini» li descrive Annibal Caro. Sarebbe il colore bruno della pelle a evitare la vergogna, non facendo affiorare il rossore: «Il nome di rossore è egli un nome, che faccia paura alla vostra fronte di bronzo?», tuona a metà Settecento Antonfranc­esco Bellati, gesuita ferrarese. In quegli stessi anni, vengono pubblicate postume alcune Dissertazi­oni di Ludovico Muratori in cui l’espression­e «avere una ciera bronzina» è accostata allo «stare con volto tosto, avere una ciera tosta» in riferiment­o a chi «né per minaccie, né per vergogna, o per ingiurie non muta volto». E qui c’è un altro elemento interessan­te. Quel tosto, spiega Muratori, viene dal latino torrère (come torrido) e in questo caso starebbe — più che per duro — per cotto, bruciato: nella fattispeci­e, dal sole. Non è forse un caso che la più antica faccia tosta documentab­ile si trovi — nel 1605, quasi lo stesso anno della fronte di

bronzo — in un contesto simile. Nella commedia Il vecchio geloso di Raffaello Riccioli detto l’Impennella­to, un personaggi­o accusa una donna di essersi «lisciata con la fuligine» il viso, cambiando il colore della pelle per ingannarlo: «Con questa tua faccia tosta di norcino credi tu che io non ti riconosca?».

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