Corriere della Sera - La Lettura
Tucidide, poi London Il racconto dei virus
La ricerca delle cause ha da sempre stimolato le indagini degli storici e la fantasia dei romanzieri
Ricostruire le origini di un’epidemia è un rebus di difficile soluzione. Il nuovo coronavirus chiamato 2019nCoV, parente stretto dei virus che causano la Sars e i comuni raffreddori, non fa eccezione. Da quando i primi casi sono stati accertati nella metropoli cinese di Wuhan, dando inizio alle difficili operazioni di contenimento, i media hanno riportato diverse ipotesi. La più accreditata, ma lontana dall’essere confermata nei dettagli, situa l’origine dell’epidemia al Huanan Seafood Market, un mercato ittico in cui si vendono anche specie selvatiche di mammiferi e rettili. Si tratta di un tipico wet market asiatico, dove gli animali sono esposti al pubblico vivi e vengono macellati sul posto. È l’ambiente ideale per uno spillover: il «salto di specie» che un microrganismo compie passando da una specie all’altra, uomo compreso, favorito dalla promiscuità degli esemplari, dallo scambio di fluidi corporei e dalle condizioni igieniche precarie.
Non si tratta certo di un copione nuovo. Fra le zoonosi, come vengono chiamate le malattie infettive che si trasmettono dagli animali all’uomo, figurano le più drammatiche epidemie della storia: dall’influenza spagnola all’Ebola, dall’Aids alla peste. Virus e batteri ci ricordano che siamo strettamente interconnessi con le altre specie che popolano il pianeta, dal momento che il codice genetico è un linguaggio universale, che unisce tutti i viventi ma, proprio per questo, ci espone anche a rischi assai seri. Inoltre, spiega David Quammen in Spillover (Adelphi, 2014): «Dovremmo renderci conto che [le epidemie] sono conseguenze delle nostre azioni, non accidenti che ci capitano fra capo e collo».
Abbiamo delle colpe, soprattutto oggi, e non possiamo evitare di prenderle in considerazione quando vengono discusse le dinamiche di un evento epidemico.
Oggi l’uomo gioca un ruolo di primo pi a no nel f a c i l i t a re l ’e s pl osi one di un’epidemia e il suo successivo diffondersi. Favoriamo lo spillover disgregando e alterando ecosistemi dove vivono specie portatrici di patogeni ancora poco conosciuti (le cosiddette «specie serbatoio», o reservoir). Così facendo moltiplichiamo le occasioni di contagio e offriamo ai microrganismi la possibilità di diffondersi a grande velocità ai danni di una specie che conta quasi otto miliardi di individui, che si sposta da un lato all’altro del pianeta in un baleno e che vive in megalopoli affollate dove il contagio è questione di uno starnuto. Non solo: la nostra specie alleva in modo intensivo miliardi di animali che possono fungere da amplificatori dell’epidemia o esserne a loro volta vittime in luoghi dove la presenza di specie esotiche e selvatiche, magari cacciate nel folto della foresta o in aree rurali, aumenta in modo esponenziale la diffusione della malattia. Ogni epidemia, in sostanza, ci dovrebbe ricordare che, in un certo senso, anche Homo sapiens è una specie virale, che sfrutta ettaro dopo ettaro il pianeta che la ospita fino a causarne il deperimento.
Se diversi aspetti rendono critica la situazione odierna, i progressi delle scienze ci hanno fornito numerosi strumenti per fronteggiare le epidemie, per studiarle e per comprenderne storia ed evoluzione. Lo stesso non si può dire per il passato, più volte flagellato da epidemie virali e batteriche che hanno decimato la popolazione mondiale. Per indagare questi eventi gli epidemiologi si affidano soprattutto alle opere degli scrittori e ai resoconti dei cronisti. È così che nel 2015 Powel Kazanjian, esperto di malattie infettive, ha ipotizzato che la peste di Atene del 430 a.C. fosse in realtà un’epidemia di ebola. La sua tesi si basa sui racconti di Tucidide e di Lucrezio, i quali forniscono un’accurata descrizione del diffondersi del morbo nella città, dei sintomi e della disgregazione del tessuto sociale ateniese, già vessato dalla guerra contro la Lega peloponnesiaca.
Opere e fonti classiche sono infatti, almeno nella tradizione occidentale, le prime in cui si affronta il tema della responsabilità umana nello svolgersi di un’epidemia. Come evidenzia Sergio Givone in Metafisica della peste (Einaudi, 2012), la storia delle epidemie altro non è che la storia di una fondamentale ambiguità: il morbo è cosa dell’uomo o della natura? Descrivendo l’ecatombe di Atene nel secondo libro della Guerra del Peloponneso, Tucidide rompe una convenzione classica: la narrazione mitica della malattia come castigo divino provocato dalla natura fallace e avventata degli uomini. Se nell’Edipo re di Sofocle e nell’Iliade la pestilenza è una punizione inflitta dagli dei, in Tucidide, il cui rigore e l’aderenza ai fatti hanno contribuito a fondare una nuova concezione di storiografia, si racconta un’origine dell’epidemia che si potrebbe definire naturale (e moderna), posta com’è sull’altra sponda del Mediterraneo, in terra d’Etiopia, e priva di interpretazioni metafisiche.
È curioso notare che in tempi recenti, dagli anni Settanta in poi, la responsabilità umana è tornata in auge nelle rappresentazioni narrative delle epidemie. In Letteratura e ecologia (Carocci, 2017) Niccolò Scaffai mette in luce come la forma propria di numerose opere appartenenti al genere eco-thriller, e quindi anche ai romanzi che raccontano il diffondersi di virus e batteri particolarmente letali, sia la «rivelazione». Probabilmente influenzati dalle prime battaglie ambientaliste, che smascheravano le malefatte di governi e multinazionali, e dalle prime conquiste dell’ingegneria genetica, numerosi autori hanno fatto ricadere sull’uomo la responsabilità dell’incidente iniziale che dà avvio al contagio. In romanzi come Andromeda d i Mic h a e l C r i c h to n e L’ombra dello scorpione di Stephen King il patogeno è diffuso a causa di un errore umano o è il risultato impazzito di ricerche avvenute in laboratori militari segreti. Altri bestseller, come il libro di Richard Preston Area di contagio, hanno contribuito a diffondere idee scorrette su alcune zoonosi, ebola su tutte, esagerandone gli effetti e conferendo ai microrganismi un’aura sinistra, innaturale, e sicuramente non corrispondente alla realtà.
L’ipotesi dal sapore letterario non è tardata ad arrivare nemmeno nel caso del coronavirus di Wuhan, sintomo che queste dietrologie ispirate da libri, film e serie tv sono dure a morire. Secondo una notizia non confermata ma comunque rilanciata da diversi media internazionali, fra cui alcuni italiani, e partita dal «Washington Times», il patogeno sarebbe «sfuggito» al controllo degli scienziati del Wuhan Institute of Virology. Nell’attesa di ottenere dettagli più autorevoli e precisi sull’origine di questa nuova epidemia, sarebbe opportuno lavorare sulle responsabilità umane che l’indagine scientifica ha già chiarito nel corso di precedenti epidemie, come quelle della Sars nel 2002 e nel 2003, lasciando da parte le speculazioni e ragionando sulle immagini verosimili che la letteratura ci offre, come nel caso della Peste scarlatta di Jack London (1912): «E più gli uomini si ammassavano fitti fitti, più terribili erano le malattie che venivano alla luce».