Corriere della Sera - La Lettura
Marías e Tarkovskij in Cina, l’ispirazione migra
Lo scrittore Yu Hua sulla genesi delle sue storie e sull’importanza del confronto fra culture
Javier Marías, Andreij Tarkovskij, Franz Kafka, William Faulkner abitano in Cina. Anche in Cina. Si sono innestati bene e hanno dato buoni frutti. Annota Yu Hua, uno dei più importanti autori cinesi di oggi, uno dei pochissimi affermatisi all’estero: lo scrittore spagnolo «ci mostra come la letteratura possa dare voce alla forza della paura» e dalle sue pagine ha imparato tanto. Perché la buona letteratura dispensa una potenza fecondatrice anche a sorpresa: non esistono sfere chiuse, la Cina non lo è, nonostante le apparenze. Poco importa, poi, se gli esempi fatti da Yu sembrano circoscritti: ogni dettaglio dona libertà e «quando si scrive, la libertà è la cosa più importante».
Scrittore generoso, come dimostra la recente riproposta di L’eco della pioggia (ora Feltrinelli, il romanzo uscì da Donzelli nel 1998), nel libro che raccoglie tre incontri del 2018 all’Istituto Confucio della Statale di Milano ( Lezioni milanesi, Unicopli) Yu offre una rara occasione di entrare nei meccanismi che guidano il confronto fra istinto creativo (il suo), tradizione letteraria (cinese) e un patrimonio eterogeneo (straniero) di saperi e stili. «Ho letto la Bibbia come un’opera letteraria», dice per esempio: è «il capolavoro che più mi è piaciuto», quasi le parole usate proprio per la Bibbia da Yan Lianke, altro autore di peso. Ispirarsi non significa snaturarsi, è come «il legame fra un albero e la luce del sole: l’albero cresce alla luce del sole, ma non diventa un sole, cresce come un albero».
L’autore di Brothers rivendica la sua formazione non accademica (era stato dentista), come quando racconta il vagabondare nelle campagne a raccogliere storie dopo la tabula rasa prodotta dalla Rivoluzione culturale. È l’attenzione all’uomo a nutrire la vorace scrittura di Yu. Così il suo ambientare scene nelle latrine è in fondo soltanto un omaggio alla vita: «Erano un luogo di ritrovo: accovacciati, si espletavano le funzioni corporali e intanto si chiacchierava» e tutti «raccontavano i fatti loro». Storie. E se maliziosetti sono i passi nei quali racconta i due remoti anni vissuti in stanza con Mo Yan — che dopo aver vinto nel 2012 il premio Nobel «vende molto meglio» le sue opere di calligrafia — Yu si àncora forte a identità e dialogo, due poli: «Non c’è da preoccuparsi, la Cina non è in grado di cambiare l’Europa o l’America, né tantomeno il mondo occidentale» ma «neppure l’Occidente può fare nulla per cambiare la Cina». Un po’ come l’albero e il sole, reciprocamente.