Corriere della Sera - La Lettura
IL SISTEMA A PUNTI VARATO IN CINA
Sulla strada, davanti all’ufficio del «Corriere» a Pechino, c’è un grande schermo ad alta definizione; ferma le immagini dei pedoni che attraversano col rosso. Un piccolo segnale nel piano della capitale per rinsaldare «i comportamenti etici» dei suoi cittadini e scoraggiare «gli atti antisociali». La municipalità di Pechino ha annunciato che entro il 2021 sarà in grado di classificare tutti i suoi 21 milioni di abitanti in base a un sistema a punti di affidabilità personale. Verranno assegnati o tolti punti valutando comportamenti virtuosi o colpevoli. Quanti punti si avranno alla nascita non si sa ancora. I meritevoli, dicono le autorità, potranno muoversi in un «canale verde», i reprobi finiranno in una lista nera e «non saranno in grado di muovere un passo».
Tutte le amministrazioni della Cina stanno lavorando al progetto di credito sociale, annuncia orgogliosa la stampa. Programmi-pilota sono stati lanciati in città che usano i big data per valutare i cittadini. Centralizzare e incrociare i dati è possibile in una società dove tutti, dai 16 anni in poi, debbono avere una carta d’identità elettronica e passarla in un lettore anche per entrare in piazza Tienanmen da turisti, in una società che usa gli smartphone per i pagamenti anche di pochi yuan, in un Paese con già almeno 200 milioni di telecamere di videosorveglianza. Sociologi occidentali ferrati in sinologia spiegano che in mandarino la parola privacy non esiste. Il più vicino equivalente, si yen, significherebbe «isolamento» e implica segretezza sospetta. In casa non si chiudono le porte; nella Grande Cina il Partito-Stato non apprezza l’individualismo in politica, il Politburo è un circolo (chiuso ma circolo).
Sarà a fin di bene, sarà differenza culturale e psicologica ma il sistema del credito sociale alimentato dall’intelligenza artificiale a noi occidentali ricorda l’incubo della società orwelliana. Comunque, non attraverso col rosso.