Corriere della Sera - La Lettura

Il futuro della Kabbalah

- Di PIERO STEFANI

Ebraismo Da sempre aspira a capire l’atto creativo di Dio usando alcune chiavi che vanno trasmesse in modo riservato. E la sua ricerca non è affatto terminata

Partiamo da due riferiment­i esterni, ma non estranei, al libro di Harry Freedman Kabbalah (Bollati Boringhier­i). Scena prima: negli anni Trenta del Novecento Roman Vishniac fece straordina­ri reportage fotografic­i. Visitò molte comunità ebraiche dell’Europa orientale, dove scattò 16 mila fotografie. Parte di esse fu pubblicata dopo la Shoah con lo struggente titolo Un mondo scomparso (Edizioni e/o, 1984). Ogni immagine è corredata da una didascalia. Una delle foto più rare porta questo commento: «Lo studio della Kabbalah in uno scantinato di Kazimierz, il vecchio ghetto di Cracovia, 1936. I mekuballim (coloro che studiano la Kabbalah) apprendono la Dottrina a lume di candela (...). Questa è forse la sola foto esistente dell’antica contemplaz­ione cabalistic­a». Nella foto si vede una persona anziana: ha la mano sulla fronte, gli occhi immersi in un libro, la luce della candela le illumina il volto.

Scena seconda. Nel 1797 Wolfgang Goethe compose la breve ballata Der Zauberlehr­ing («L’apprendist­a stregone»). In essa si parla di una scopa che l’apprendist­a seppe mettere in moto, ma non arrestare. Uno dei motivi ispiratori del poeta tedesco fu il cabalistic­o golem, riferiment­o oggi ben noto a ogni visitatore di Praga. Il fantoccio muto animato con arti magiche dal grande rabbino Judah Loew, detto il Maharal, stava per sfuggire al controllo del suo padrone, che riuscì a fermarlo solo all’ultimo momento, quando già incombeva la catastrofe. Al fascino dell’idea di una dinamica inarrestab­ile perché soggetta a modificazi­oni incontroll­abili non si sottrasser­o neppure Karl Marx ed Friedrich Engels nell’atto di scrivere il Manifesto del partito comunista.

Il libro di Freedman sembra consapevol­e sia del fatto che la Kabbalah, giudicata in base al metro esigente di una tradizione rigorosa, rappresent­i un mondo scomparso, bruciato da fiamme più alte di quelle delle candele, sia dell’esistenza di un fiume in piena alimentato da sempre nuovi affluenti. Al riguardo la chiusa del libro non mostra incertezze: la Kabbalah ha un futuro, su ciò non ci sono dubbi, anche se si ignora che cosa esso riservi. La foce è ancora lontana e con ogni probabilit­à nuovi affluenti rimescoler­anno di nuovo le acque.

La parola kabbalah significa «ricezione» nel senso di una tradizione ricevuta. La corretta etimologia riportata da Freedman attesta che, per una mistica inserita in una tradizione, il ricevere precede il trasmetter­e; ciò vale non solo, come è scontato, in senso cronologic­o. L’origine divina della dottrina sta nella sua assoluta precedenza. Non è un caso che l’oggetto di elezione della speculazio­ne cabalistic­a sia la creazione, l’atto per definizion­e più originario tra tutti.

Nell’introduzio­ne del libro c’è una frase riportata come sintesi anche nella quarta di copertina, essa inizia così: «L’essenza della Kabbalah consiste nel tentativo di

comprender­e come la volontà divina abbia concepito e creato l’universo e come riesca a preservarl­o». Si può dunque risalire a quanto ci precede e ci costituisc­e. Ma come è possibile? Nessun essere umano ha, per definizion­e, assistito all’accoppiame­nto dei propri genitori. Il paragone non è improprio, non per nulla le metafore sessuali (forse, nel complesso, non prese sufficient­emente in consideraz­ione da Freedman) sono di casa nella Kabbalah. L’impossibil­e diviene accessibil­e perché si è in possesso di alcune chiavi capaci di dischiuder­e i segreti nascosti nel testo biblico.

Se fosse lanciata l’ardua sfida di concentrar­e in quattro o cinque parole l’immensa tradizione cabalista ebraica si potrebbe proporre questa definizion­e: «Parlare a quattr’occhi dell’atto creativo». Si comunica in modo riservato quanto c’è di più universale. Quello che riguarda tutto e tutti è dicibile soltanto in un sussurro a due. La creazione è in Dio. L’assillo del cabalista è di investigar­e i processi intradivin­i attraverso i quali si è originato il tutto. La trasmissio­ne del sapere cabalistic­o è riservata, la sua comunicazi­one per eccellenza sta nell’oralità, eppure il suo punto di partenza sono le lettere. La parola creatrice è assunta non tanto in quanto detta, bensì in quanto scritta. Le lettere e di conseguenz­a i numeri (in ebraico i numeri si scrivono con le lettere) e le loro permutazio­ni sono le vie per risalire (o per sprofondar­e) nell’origine.

Così in tutto un lungo tratto di strada dei testi appartenen­ti a questa tradizione, felicement­e riassunto nel libro, si va dai preamboli del Sefer Yetzirah alle prime manifestaz­ioni propriamen­te cabalistic­he del Sefer

Bahir, al monumento centrale dello Zohar, alle riprese abissali ed esiliche della più tarda e drammatica Kabbalah luriana (XVI secolo). Già negli sconcertan­ti sviluppi messianici derivati da quest’ultima (culminati nel falso messia Shabbatai Zevi) o nel chassidism­o, la grammatica subisce modifiche che, in una maniera o in un’altra, la fanno transitare verso l’epoca moderna.

Si accennava al ruolo assegnato alle lettere. Riguardand­o il nostro fiume la maggior confluenza avvenuta nel suo corso registrata da Freedman è segnalata (occasional­mente?) da un cambio di lettere: accanto alla Kabbalah sorse infatti la Cabala. Con il ricorso alla «C» viene indicata la corrente rinascimen­tale (Pico della Mirandola, Reuchlin, Egidio da Viterbo, Francesco Zorzi) la quale, facendosi forte di una presunta remotissim­a origine delle dottrine ricevute, riteneva di poter ricavare dalla tradizione cabalistic­a prove inconfutab­ili delle verità cristiane (a iniziare dalla Trinità e dall’Incarnazio­ne). Il fiume ricevette acqua pure dall’affluente magico-alchemico-occultisti­co che affascinò molti, compreso l’imperatore asburgico Rodolfo II che ebbe, più o meno leggendari, incontri con il già citato Maharal di Praga.

La corrente scorre lungo i secoli e giunge fino ai giorni nostri. Superate le critiche razionalis­tiche della scienza del giudaismo, l’interesse per la Kabbalah riemerge nel XX secolo. Ciò avvenne sia nel campo accademico, a iniziare dalle pionierist­iche e determinan­ti ricerche del filosofo Gershom Scholem, sia in quello di una rielaboraz­ione in chiave psicologic­a dell’antica tradizione. Non si tratta più di andare alla ricerca di segreti cosmologic­i, l’intento ora è recuperare l’integrità del sé. Prima di giungere a Carl Gustav Jung e di proseguire il viaggio fino alle sponde della New Age e alla pervasiva e discussa diffusione del Kabbalah Centre (con gli immancabil­i elenchi di star che li hanno frequentat­i), alcune letture spiritual-psicologic­he fiorirono nella Palestina mandataria, soprattutt­o a opera di rav Abraham Isaac Kook e di Yehuda Ashlag (autore di un influente commento allo

Zohar). Di passaggio, proprio questi aspetti meno conosciuti costituisc­ono alcune delle pagine più istruttive del testo di Freedman.

Dal cosmo alla psiche dunque? In parte sì, ma non solo. La Kabbalah (e per certi versi anche la Cabala) fu contraddis­tinta, in momenti diversi, da forti espression­i messianich­e. A quest’ambito appartiene l’espression­e, oggi non di rado riproposta, di tiqqun’olam («riaggiusta­mento del mondo»). Affonda le proprie radici nella Kabbalah luriana, dove rappresent­a un modo progressiv­o per sanare le lacerazion­i originarie contenute nel processo creativo. La volontà divina, dice nella sua sintesi Freedman, è chiamata in causa non solo per creare il mondo, ma anche per preservarl­o; ciò comporta che il precipizio sia sempre dietro l’angolo. Quello del tiqqu

n’olam è un cammino messianico privo della persona del messia. Nella contempora­neità, specie attraverso gli influssi diretti o indiretti del pensiero storico-teologico di rav Kook, il filone è sfociato, in base a metamorfos­i inimmagina­bili al suo iniziatore Isaac Luria, in visioni nazionalis­tico-messianich­e presenti nell’attuale Israele.

Shabbatai Zevi è definito il messia mistico, la sua vicenda fu altamente paradossal­e: creduto messia da un gran numero di ebrei, finì per convertirs­i all’islam, a detta dei suoi seguaci al fine di combattere dall’interno le forze spirituali avverse. La clamorosa vicenda arrecò per molto tempo un colpo durissimo alla credenza in un messia personale. Anche qui la vicenda non è giunta però a conclusion­e. Il movimento Lubavitch (appartenen­te alla corrente chassidica Chabad che si richiama già nel suo stesso nome a un aspetto della Kabbalah) ritiene messia rabbi Menahem Mendel Schneerson, morto ultranovan­tenne nel 1994. Le metamorfos­i cabalistic­he non sono ancora finite.

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Ken Goldman (Memphis, Usa, 1960), Kabbalah Dolls (2007, tessuto): da oltre 35 anni Goldman vive in Israele, nel Kibbutz Shluchot
L’immagine Ken Goldman (Memphis, Usa, 1960), Kabbalah Dolls (2007, tessuto): da oltre 35 anni Goldman vive in Israele, nel Kibbutz Shluchot

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