Corriere della Sera - La Lettura
Lo scimpanzé nudo
Paralleli Da qualche tempo gira sul web la fotografia di un esemplare senza pelo ospitato nello zoo inglese di Twycross, famoso per l’attenzione che rivolge ai primati. Quella scimmia superiore dice molto di noi e della nostra evoluzione
Poco meno che trentenne, di ritorno dai suoi viaggi intorno al mondo con il brigantino Beagle, Charles Darwin osservò per la prima volta un orango ospitato allo zoo di Londra e ne rimase molto colpito. Si trattava di un esemplare femmina di nome Jenny, e Darwin si soffermò varie volte a osservarla. Ne scrisse in diverse occasioni. Per esempio sul suo taccuino nota in una circostanza: «Lasciate che la gente vada a visitare l’Orango addomesticato, ad ascoltare i suoi versi espressivi, a vedere la sua intelligenza quando le si rivolge la parola, come se capisse ogni parola che le si dice; lasciate che la gente veda il suo affetto per le persone che conosce o veda la sua passione, la rabbia, i musi lunghi e la sua disperazione!».
Non c’è nessuno che rimanga assolutamente insensibile all’osservazione dal vivo di una scimmia superiore, soprattutto per la sua imbarazzante somiglianza con noi uomini, sia dal punto di vista delle fattezze che da quello del comportamento. Decisamente impressionante è a questo proposito una foto che gira per la rete da qualche giorno. Vi si può vedere uno scimpanzé che viene verso di noi poggiandosi sulle nocche delle mani e mostrandoci le spalle e le braccia con tutta la loro poderosa muscolatura. L’osservazione è in questo caso particolarmente semplice perché si ha a che fare con una scimmia decisamente nuda: si tratta infatti di un animale affetto da una forma pervasiva di alopecia, la malattia che riduce o spazza via completamente i capelli e il pelame dalla superficie del corpo. È uno degli esemplari ospitati nello zoo di Twycross, paese della contea del Leicestershire, in Inghilterra, famoso per l’attenzione che rivolge proprio ai primati.
Non capita spesso di osservare un animale così interessante e questo ci causa anche un po’ di turbamento. Non sono un esperto di anatomia umana e ancora meno un assiduo frequentatore di palestre, ma la somiglianza di questa immagine con quella del torace di un uomo muscoloso è impressionante, clamorosa e memorabile. In tutti i casi osservati la somiglianza sembra addirittura sfacciata, anche per me che non ho mai avuto alcun dubbio sulla nostra comune discendenza con gli scimmioni. Tutto ciò solo per un po’ di pelo mancante. Sembra quasi che la rimozione del pelo riveli un’altra creatura, viva e prorompente, nascosta dentro la prima. Per la parte che si vede meglio, le differenze somatiche sono invece concentrate nella testa e nelle «mani».
È ovvio infatti che noi e loro si sia anche molto diversi. L’origine delle differenze fra noi e gli scimpanzé risiede ovviamente nei geni, nella loro regolata espressione, nella connessione delle parti nel tutto e in particolare nel funzionamento dei nervi e del cervello.
Ma non è di questo che voglio parlare qui, quanto appunto di una questione di pelo. Il corpo degli scimpanzé è ricoperto di peli, mentre il nostro no. Noi somigliamo in realtà un poco a una loro forma embrionale, come se fossimo embrioni di scimmia cacciati fuori dall’utero e spinti nel mondo un po’ precipitosamente; e comunque prima del tempo. L’interessante è che questa non è soltanto una suggestiva similitudine. Qualcosa di analogo avviene effettivamente. E un meccanismo simile opera con una certa frequenza nelle specie animali più diverse. Il fenomeno ha anche un nome: si parla di neotenìa e a volte anche di fetalizzazione, intendendo con questi termini il mantenimento nello stadio adulto di caratteristiche larvali, embrionali o anche solo giovanili. Si tratta insomma di maniere diverse e più o meno «fantasiose» di contribuire a un cambiamento evolutivo di lunga gittata.
Perché qualcosa del genere è capitato anche ai nostri antenati? La spiegazione più accettata chiama in causa le dimensioni del cranio del neonato. Il cranio di un neonato umano occupa un grosso volume e ancora più ne occuperebbe se il nostro cervello non rallentasse il suo sviluppo alla fine della gestazione. Ciò risulterebbe praticamente incompatibile con la sopravvivenza della specie. Per scongiurare tale pericolo si sono messi in moto nella nostra specie almeno due fenomeni concomitanti: il rallentamento dello sviluppo del cervello verso la fine del periodo di gestazione e una nascita in qualche modo prematura. Il rallentamento dello sviluppo del cervello — alla nascita il nostro cervello non si è ancora sviluppato completamente, ma continua il suo sviluppo e la sua maturazione ancora per mesi e anni dopo la nascita — ha un gran numero di conseguenze di rilievo, sul piano conoscitivo come su quello affettivo.
Dal punto di vista dell’acquisizione e del mantenimento delle conoscenze, c’è da notare che le cose apprese in questo periodo molto precoce della nostra vita si trovano immagazzinate nel nostro cervello in maniera del tutto particolare: non vi sono «conservate» come le altre, qualunque cosa questo voglia dire, ma «stampate». Quasi indelebilmente.
Non si ha a che fare infatti con un organo completamente sviluppato che in qualche modo conserva alcuni suoi contenuti, ma con una struttura ancora relativamente plastica che apprende e si sviluppa nello stesso tempo, inglobando in sé stessa una parte cospicua delle conoscenze che via via apprende. Di conseguenza, quando poi il nostro cervello sarà completamente sviluppato e funzionerà come un normale ricettacolo di nuove conoscenze, conterrà già in sé una fetta non trascurabile di conoscenze.
Un altro modo per dire la stessa cosa è che il nostro cervello finisce di svilupparsi a occhi e orecchi ben aperti. Tutto questo potrà servire per esempio per permetterci una forma affatto peculiare di evoluzione culturale.
Tutto si paga, naturalmente. Il possesso di un cervello piuttosto grande e il concomitante processo di fetalizzazione fanno sì che i nostri bambini non se la cavino tanto bene da soli prima di una certa età e che quindi debbano essere accuditi e protetti per un periodo di tempo tutt’altro che trascurabile. Anche questo non è senza conseguenze. Molti aspetti della nostra affettività rimangono per esempio profondamente influenzati dalla lunghezza protratta del nostro periodo infantile.
E non è ancora tutto. Abbiamo già visto che tra le conseguenze della fetalizzazio
ne che ha interessato i nostri antenati c’è anche il fatto che il nostro corpo non è coperto di peli. Per questo motivo noi possiamo sudare praticamente con tutto il corpo, a differenza di tutti gli animali pelosi, che non lo possono fare. Ma sudare rende assai più sopportabile affrontare uno sforzo particolarmente prolungato, come a esempio una lunga corsa. Proprio per questo motivo nella corsa di resistenza gli esseri umani appaiono particolarmente bene attrezzati e capaci di prevalere su molte possibili grandi prede animali. Ciò è stato determinante in un periodo in cui le grandi battute di caccia hanno rappresentato un fondamentale strumento di sopravvivenza. È inutile far notare che per raggiungere un obiettivo del genere gli uomini hanno potuto contare pure sulla loro naturale inclinazione per la socialità e l’organizzazione, per la progettualità, la facilità di concettualizzare e la comunicazione verbale. Come si vede, le diverse novità evolutive si rafforzano a vicenda, nel quadro del concetto che ogni fenomeno biologico è potentemente sovradeterminato.
Una curiosità finale, stuzzicante anche se non del tutto a prova di bomba: secondo alcuni il nostro sviluppo ci riserverebbe anche un secondo scomposto tentativo di sviluppare una sorta di peluria corporea. Ciò si verificherebbe nell’età dell’adolescenza e la comparsa dei fastidiosi brufoli sulla pelle ne costituirebbe un inconfondibile segnale.