Corriere della Sera - La Lettura
La brama ti divora, è così che s’impazzisce
Ilaria Palomba chiama in causa la psicoanalisi di Jung per descrivere una relazione malata
Le relazioni totalizzanti e inattese possono illuminare, quanto bruciare, le persone coinvolte. Accadono entrambe alla trentenne Bianca quando incontra Carlo Brama, cinquantenne professore universitario di filosofia con cui nasce un rapporto che, per lui, scatena «l’occulto». Sesso, gelosia, violenza, ma anche cultura, emulazione competitiva, psicofarmaci e droghe hanno tutti un loro ruolo destabilizzante in Brama, titolo del nuovo romanzo di Ilaria Palomba che rinvia al personaggio, ma soprattutto al tema della «brama» per lo psicanalista Carl Gustav Jung, citato in esergo e presenza costante nelle pagine con il suo Libro rosso. La brama è quella che se non cerchi di soddisfare da solo, conoscendo e realizzando te stesso, rimane insoddisfatta e, parola di Jung, «vuole di più, vuole ciò che vi è di più prelibato, vuole te».
Il desiderio mangia chi desidera, lo consuma, e la vita di Bianca, protagonista e narratrice, ne è già stata scavata. Tentativi di suicidio, cambi di terapia farmacologica e abusi contro sé stessa tornano continuamente tra le vicende, ricordate fin dall’adolescenza, a segnare una disarmonia con la realtà difficile da vivere e solo in parte esplorabile, perché «a un certo punto qualcosa si spezza» e «smetti di lavarti, di uscire, di rispondere al telefono. Stai lì, nella frattura». Una sensazione che Bianca prova tenendo un laboratorio di poesia nei centri diurni di psichiatria (esperienza di insegnamento comune all’autrice) davanti ai pazienti: «Storie di solitudini, identità svuotate, significazioni frantumate. È così che s’impazzisce».
La protagonista, nei 48 brevi capitoli, racconta la sua lotta per non precipitare fuori dalla vita. È un percorso a ostacoli poiché l’incontro con Carlo
Brama, colto maschio di mezz’età con un debole per le ventenni, cinico e insicuro, non è con un alleato ma con un altro borderline. Lei si vuole annullare in lui, accettando giochi sessuali con corde e coltelli, ma lui in fondo la rifiuta, ne critica le aspirazioni letterarie, le presenta ex conquiste e future prede. Oltre al rapporto malato che la spinge a gesti pericolosi che spaventano Carlo, Bianca ha poi legami complicati con i genitori e con un’amica il cui compagno si è suicidato: non v’è requie.
Palomba si muove tra disagio mentale ed estremo fin dall’esordio autobiografico Fatti male (Gaffi, 2012) ma qui alza la posta sul fronte letterario. Il disegno della trama, catartica nel finale a sorpresa, è spinto stilisticamente da un periodare breve che gioca sul contrasto rapido narrazione-espressione, dal quotidiano all’assoluto anche in una sola frase: «Ascolto Wim Mertens e mi lascio accoltellare, la violenza della bellezza è tutto». Rendere quella violenza, talvolta mistica, è quasi impossibile, immaginare storie che abbraccino chi ne soffre è un’altra sfida. Palomba vince quest’ultima con un tono diretto e frontale, dal ritmo serrato, che dà forma a quella «rabbia» che, irrisolta, affonderebbe il romanzo e la sua protagonista.