Corriere della Sera - La Lettura

Il naziskin e la marocchina Notturne solitudini a Milano

- Di JESSICA CHIA

Milano rude e piena di contrasti. E opprimente nel cemento rovente dell’estate, quando il cielo viola promette pioggia. È in questo periodo dell’anno che la città assomiglia ai suoi abitanti, che vivono costanteme­nte nell’arsura. Lì dove inizia l’hinterland e le strade si gonfiano di rabbia, quattro vite sono destinate a incontrars­i e a cambiare i loro destini. Il romanzo dell’esordiente Silvia Bottani, Il giorno mangia la notte, narra le storie di due ragazzi (e dei loro genitori) graffiati dal dolore: sono Naima e Stefano, che provano a sopravvive­re in una periferia violenta, povera ed emarginata. Dov ’è difficile trovare un senso alla propria esistenza.

Il racconto si apre con la rapina di Fadila, marocchina che vive in Italia da quasi tutta la vita, e madre di Naima. Per rincorrere il suo aggressore, la donna viene investita da un’auto. Ammazzata per cento euro. A derubarla non è un ladruncolo di quartiere ma un ex pubblicita­rio di mezza età, consumato dal rancore (e dai debiti di gioco) per avere perso tutto: il rispetto sociale, la carriera, la moglie e il figlio, che lo disprezzan­o. Ora a Giorgio restano i fallimenti, conditi dall’alcol e dalla cocaina. È così che dopo una notte buttata nei Campari e nelle slot machine, un’extracomun­itaria sola, per strada, diventa la vittima giusta per placare l’arsura della sua rabbia. «Era una fame buia, la sua, che lo tormentava e non riusciva a saziare. La stessa fame che quella sera sentiva anche suo figlio Stefano, con una bottiglia di alcol in mano e l’accendino nell’altra, mentre aspettava nascosto dietro la roulotte degli zingari».

Stefano è un condensato di violenza.

Davanti a lui si prospettan­o una carriera da avvocato e una nel partito di estrema destra in cui è militante. Fervente neofascist­a, per il ragazzo la politica non è solo una passione, è qualcosa che lo definisce nell’identità. Le sue giornate si alternano tra la vita ordinata del praticanta­to in un prestigios­o studio legale e i pestaggi notturni ai danni di chi considera il «cancro» della città: stranieri, tossicodip­endenti, omosessual­i: «Solo insieme ai camerati si sentiva aderente a sé stesso (...), una forza che gli aveva permesso di raccoglier­e i cocci in cui si era infranto dopo il crollo miserabile del matrimonio dei suoi genitori e della vita di suo padre, trasforman­dosi da bambino a uomo. Quel punto era stato l’incontro con la politica». L’arsura di Stefano si annida nel credo politico, il senso della sua vita.

Quel senso, Naima, lo trova in palestra,

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