Corriere della Sera - La Lettura
Fiori e sagome astratte Cosa sognano i bambini
«Non sono un indovino e non posso certo anticipare il futuro — precisa il curatore della mostra Udo Kittelmann — ma forse il coronavirus ci renderà più saggi. D’altra parte alle pestilenze sono seguiti momenti di grande splendore e vitalità per l’arte e la cultura in genere. In concreto, però, l’attuale paura del virus ci mostra quanto siamo fragili ma ci dà un’opportunità per far esplodere la nostra fantasia e per cambiare la società in un colpo solo».
Le ombre del presente arrivano attutite oltre le pareti asettiche (ma non fredde) della Galleria Nord della Fondazione Prada di Milano. Dove, piuttosto, non sarebbe da stupirsi se all’improvviso da un vecchio giradischi iniziassero a uscire le note del Yumeji’s Theme di Shigeru Umebayashi o di Quizas, Quizas, Quizas di Nat King Cole, colonna sonora di quel In the Mood for Love che nel 2000 diventò il manifesto di un’esasperata raffinatezza made in Cina e di un tempo ignoto dove tutto è sotterraneo, tutto sembra svanire in un vuoto di memoria, di una vicenda universale affogata in un trionfo di colori acidi. Perché questa idea di un universo di sentimenti sfuggenti, di figure evanescenti, di ricordi chiusi nel profondo dell’anima pare accomunare il sino-hongkonghese Wong Kar-Wai, regista di In the Mood for Love, e Liu Ye (Pechino, 1964), artista che negli spazi dell’ex complesso industriale trasformato da Rem Koolhaas in tempio del contemporaneo propone con Storytelling il suo personalissimo e toccante album di memorie.
In questo archivio illustrato (ricco di blu, di verdi e soprattutto di rossi) si accavallano le ombre e le sagome di Chet Baker, di Ruan Lingyu (star del cinema nella Shanghai anni Venti), di Catherine Deneuve, della coniglietta Miffy (inventata nel 1955 dall’illustratore olandese Dick Bruna), del Bauhaus e persino del Pinocchio di Collodi. «Da bambino — spiega Liu Ye a “la Lettura” — ho letto la versione cinese di Pinocchio, ma ero così attratto dalla storia che non mi resi neppure conto che era scritta da un italiano. L’arte non ha limiti, né confini. Io stesso mi definirei prima di tutto un pittore e non un pittore cinese, perché sono importanti tutte le culture che amo essere mie, non solo quella cinese. Così ammiro molto il russo di nascita Nabokov che ha scritto Lolita, una storia che accade negli Stati Uniti, in inglese».
Allo stesso modo Liu Ye ammira quei «cento dipinti floreali» realizzati da mani anonime all’epoca della dinastia Song (960-1279), un’epoca d’oro per la cultura e l’arte cinese, tanto da metterli in primo piano in uno dei dipinti più significativi della mostra, Daydream (1997), mentre alle spalle del bambino che sogna (altro dei temi più ricorrenti nei lavori di Liu Ye) compare per contrasto un piccolo quadro astratto che cita Mondrian. «Sono stato profondamente influenzato dalla pittura metafisica italiana. Giorgio de Chirico e Giorgio Morandi sono artisti che apprezzo infinitame n t e — a g g i u n g e L i u Ye , n a t o a