Corriere della Sera - La Lettura
L’industria dei generi nacque con Bessie
La moltiplicazione delle tipologie è una strategia commerciale tutt’altro che nuova. Le origini? Cent’anni fa
Perché ci sono i fan dell’heavy metal e quelli di Michael Bublé? Nonostante i nobili proclami, sappiamo bene che la musica non è mai stata «una», e nessuno confonde le canzoni d’osteria con i salmi liturgici. Ma da quando è stato inventato il disco, cioè la possibilità di inscatolare (e mercificare) il suono, questo tipo di distinzioni è diventato oggetto di business, quindi di manipolazione del gusto.
Tutto ciò è accaduto cent’anni fa negli Stati Uniti (là dove, già nel 1877, Edison aveva inventato il fonografo), nel momento in cui i produttori discografici (in particolare quelli della piccola etichetta OKeh) si accorsero che i poverissimi neri dei ghetti erano disposti a comprare le incisioni dei blues cantati dalle idolatrate regine dello spettacolo. L’insuperabile «imperatrice», fra di esse, fu Bessie Smith (1894-1937: qui sopra), che iniziò a incidere nel 1923. I suoi dischi erano etichettati race records, «dischi per la razza» (epiteto che allora non era per forza negativo, e che molti anni dopo fu sostituito da rhythm and blues).
Poco dopo, la OKeh inventò anche il genere hillbilly (il «ragazzo delle colline»: insomma, il country, anch’esso destinato ai sottoproletari, ma stavolta bianchi), grazie al quale furono recuperati anche i blues rurali cantati dagli uomini, inizialmente considerati troppo grezzi dal pubblico dei ghetti neri. E l’idea ha prosperato: fino ai «microgeneri» d’oggi.