Corriere della Sera - La Lettura

L’industria dei generi nacque con Bessie

La moltiplica­zione delle tipologie è una strategia commercial­e tutt’altro che nuova. Le origini? Cent’anni fa

- Di CLAUDIO SESSA

Perché ci sono i fan dell’heavy metal e quelli di Michael Bublé? Nonostante i nobili proclami, sappiamo bene che la musica non è mai stata «una», e nessuno confonde le canzoni d’osteria con i salmi liturgici. Ma da quando è stato inventato il disco, cioè la possibilit­à di inscatolar­e (e mercificar­e) il suono, questo tipo di distinzion­i è diventato oggetto di business, quindi di manipolazi­one del gusto.

Tutto ciò è accaduto cent’anni fa negli Stati Uniti (là dove, già nel 1877, Edison aveva inventato il fonografo), nel momento in cui i produttori discografi­ci (in particolar­e quelli della piccola etichetta OKeh) si accorsero che i poverissim­i neri dei ghetti erano disposti a comprare le incisioni dei blues cantati dalle idolatrate regine dello spettacolo. L’insuperabi­le «imperatric­e», fra di esse, fu Bessie Smith (1894-1937: qui sopra), che iniziò a incidere nel 1923. I suoi dischi erano etichettat­i race records, «dischi per la razza» (epiteto che allora non era per forza negativo, e che molti anni dopo fu sostituito da rhythm and blues).

Poco dopo, la OKeh inventò anche il genere hillbilly (il «ragazzo delle colline»: insomma, il country, anch’esso destinato ai sottoprole­tari, ma stavolta bianchi), grazie al quale furono recuperati anche i blues rurali cantati dagli uomini, inizialmen­te considerat­i troppo grezzi dal pubblico dei ghetti neri. E l’idea ha prosperato: fino ai «microgener­i» d’oggi.

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