Corriere della Sera - La Lettura
LA PREGHIERA NELLE CITTÀ DELLA BREXIT
Preghiamo ancora nell’Occidente secolarizzato. A modo nostro: con variazioni significative tra Paesi, ma anche all’interno dello stesso Paese. Una ricerca di Savanta ComRes commissionata da Premier Christian News, su un campione di duemila britannici adulti intervistati tra il 17 e il 20 gennaio, offre un quadro suggestivo. La percentuale assoluta di chi non prega mai in Gran Bretagna supera ormai la metà della popolazione, con un aumento di quasi 10 punti percentuali rispetto a soli tre anni fa. In un’analoga indagine del 2017, infatti, il 49% del campione interpellato dichiarava di non pregare mai, mentre oggi la percentuale è salita al 57%. Tra chi prega, solo uno su 10 dichiara di farlo tutti i giorni, contro i 5 su dieci negli Usa misurati dal Pew Research Center. Sull’altro versante, tra chi prega, e prega spesso, è più alta la percentuale tra le minoranze etniche, neri e asiatici. Queste popolazioni, e le Chiese pentecostali in cui esse tendono a riconoscersi, rappresentano una porzione sempre più significativa del cristianesimo britannico ma non lo esauriscono. Anche perché un britannico su tre tra coloro che si dicono cristiani, dichiara di non pregare mai. Pregano di più, invece, gli indù, e soprattutto i musulmani, anche per il peso di fattori strutturali come la natura precettiva della preghiera giornaliera, pilastro del culto islamico.
Su una scala più generale, la permanente dimensione sociale della preghiera non va sottovalutata. Anche se per la Brexit avrebbe pregato soltanto un britannico su 10, le campagne di preghiera mirata potrebbero non essere un fenomeno di natura superficiale. Sicuramente non superficiale è la differenza che si registra fra la provincia e la metropoli: a Londra la densità di preghiera appare sensibilmente maggiore. Se certamente incide la maggiore concentrazione nella capitale del Regno Unito di minoranze etniche, e di musulmani, la religiosità intensa e plurale delle città contemporanee va ben oltre la componente immigrata. Negli anni Sessanta, il successo del libro La città secolare di Harvey Cox ( traduzione di Anita Sorsaja, Vallecchi, 1968) segnalò quanto gli occidentali sentissero concentrato nelle loro città quel processo di secolarizzazione che emarginava, diminuiva e privatizzava Dio.
L’anno scorso il filosofo Paolo Costa ha intitolato
La città post-secolare la sua originale ricostruzione del dibattito sulla secolarizzazione pubblicata dall’editrice Queriniana. Rovesciando Cox, il filosofo milanese ha situato proprio nella città, cuore pulsante dell’Occidente, la permanenza della religione, e di una religione dalle mille facce. La preghiera dei londinesi rafforza questa tesi. Pregano ancora gli occidentali secolarizzati. Pregano persino, e proprio, le loro città.