Corriere della Sera - La Lettura

Tollerante e poco inglese Guida alla nostra Londra

«La mia Londra» di Simonetta Agnello Hornby viene rivista, arricchita da un’appendice scritta dal figlio George Hornby e diventa «La nostra Londra». Viaggio in una delle capitali del mondo: «È imperiale. Tutti i treni e le strade portano qui»

- Conversazi­one con SIMONETTA AGNELLO HORNBY e GEORGE HORNBY a cura di LUIGI IPPOLITO

Già qualche anno fa Simonetta Agnello Hornby ci aveva accompagna­to attraverso la sua L ondra: pas s e g g i a te del l a memoria t r a Dulwich e Westminste­r, che riannodano i fili di un’esperienza umana e profession­ale che l’ha vista passare dagli studi legali della City alle tensioni del quartiere multietnic­o di Brixton. Ora quel libro si arricchisc­e di un nuovo punto di vista, quello di suo figlio George: e diventa una sorta di inno a due voci alla capitale britannica. Con un’ottica particolar­e: perché George, che si era già affacciato in Nessuno può volare, è affetto da sclerosi multipla. E il suo sguardo aperto e disincanta­to ci porta alla scoperta di luoghi mutati o finalmente diventati accessibil­i, dal tempio di Mitra fino ai pub storici di Herne Hill. Un percorso doppio che ha come guida ideale lo scrittore inglese del Settecento Samuel Johnson: quello che aveva detto che «chi è stanco di Londra è stanco della vita».

Simonetta, qual è la sua passeggiat­a ideale?

SIMONETTA — Ho sempre amato dove vivo, ad Ashley Gardens (poco lontano da Victoria Station, ndr): andare da casa mia al Reform club, il mio circolo, è una delle passeggiat­e più belle che uno possa fare. Esco da questi palazzoni della fine dell’Ottocento, che erano dei conventi cattolici; lì accanto c’è la cattedrale cattolica: che a me piace, anche se ha uno stile un po’ cafoncello. Da una stradina arrivo a Green Park, di lì vado al Palazzo Reale e quindi mi infilo in St James Park, che è un parco meraviglio­so e rappresent­a tanto degli inglesi: prima era un bordello, poi ci facevano giochi, poi diventò questo bel parco, con gli animali, i laghetti, la gente che passa. Infine arrivo al club ed entro in un’altra Inghilterr­a». Dove resiste quella di una volta.

SIMONETTA — Ma anche lì hanno cambiato tutto. Anche questa è una notizia.

SIMONETTA — Un segno dei tempi. Vado nella coffee room, dove si mangia...

GEORGE — ...perché nella coffee room si mangia e

nella morning room si va di pomeriggio…

SIMONETTA — ... e il cameriere non può essere altro che un palermitan­o! Vedi come tutto si evolve... George, ci racconti i suoi luoghi preferiti.

GEORGE — L’altro giorno ho fatto la passeggiat­a dalla cattedrale di St Paul alla Tate Modern, attraverso il Millennium Bridge: un percorso molto bello, perché vai dal Seicento alla modernità assoluta. Vedi un po’ riassunti i cambiament­i londinesi. Quanto è accessibil­e la capitale britannica per chi è affetto da disabilità?

GEORGE — Londra è molto accessibil­e, soprattutt­o al confronto con il resto dell’Inghilterr­a. E questo grazie all’Olimpiade del 2012, quando hanno investito parecchio per rendere i trasporti aperti a tutti. È dal momento che i disabili cominciano a viaggiare che anche i locali, dai bar ai ristoranti, capiscono che devono attrezzars­i. Tutto parte dai trasporti: e questo è un problema in Italia, dove sono poco accessibil­i.

È stato appena pubblicato un sondaggio secondo cui Londra è il luogo della Gran Bretagna meno amato dal resto degli inglesi.

GEORGE — C’è un’invidia verso le capitali in generale. Londra è una città apprezzata da chi ci vive».

È anche vista come una piovra che succhia le energie del resto della nazione.

GEORGE — Se non ci vivi dentro è un’idea molto faci

le da avere. Tutti i treni e le autostrade finiscono a Londra: è una città imperiale, la sua impronta è di quell’epoca.

SIMONETTA — C’è sempre invidia verso chi ha fatto fortuna. La “piccola Inghilterr­a” prima aveva le colonie su cui rifarsi, ora non hanno più niente. Londra è cresciuta enormement­e, è diventata una città cosmopolit­a, non è più soltanto inglese. Potremmo dire che non lo è affatto.

SIMONETTA — Tuttora resta inglese...

GEORGE — A confronto con le altre città potrebbe sembrare non inglese.

I suoi abitanti infatti si identifica­no come londinesi, prima ancora che britannici, mentre pochissimi si dichiarano inglesi.

GEORGE — Avevo un barbiere cipriota, arrivato negli anni Sessanta-Settanta. Lui diceva: «Brixton è il mio Paese, Elisabetta è la mia regina». Passava completame­nte sopra lo Stato. Anch’io nel libro ho scritto che se mi si chiede se sono italiano o inglese, replico: «Londinese».

SIMONETTA — E siciliano non ce l’hai messo? Io sono mezza inglese, però sono siciliana, prima di ogni altra cosa. Il senso di Londra è proprio in queste identità multiple.

SIMONETTA — Io però morirò a Londra, il che significa tanto.

GEORGE — ( un po’ allarmato) Abbiamo fissato date? SIMONETTA — Questo lo decido io. Però morirò a Londra. A Palermo non ho neppure casa.

Le vostre due Londre sono diverse ma complement­ari. Quella di George più intrisa di storia, quella di Simonetta la città di una londinese di adozione.

SIMONETTA — La mia è una Londra emotiva. Arrivai qui a 17 anni, per la follia di mia madre e mio padre.

GEORGE — La mamma ha scritto un libro sulle esperienze in questa città nell’arco di quarant’anni. La mia parte è anche una città vissuta, ma negli ultimi anni: mi sono concentrat­o sugli aspetti della città che sono cambiati. E ho cercato di parlare del carattere del londinese: c’è un bel po’ di storia, ma cerco sempre di afferrare un personaggi­o per raccontare da dove viene questa città in cui viviamo. Perché non è così evidente: tu arrivi a Londra e ti trovi in una metropoli di quasi dieci milioni di persone dove la metà ha un accento che non riconosci. un’aliena. Simonetta ha scritto infatti che all’arrivo si sentiva diani SIMONETTA allora, e tutte — Sì, le ma loro fra donne gli inglesi: andavano c’erano in giro pochi vesti- inte con GEORGE il sari. — Tu stentavi a capire pure i cockney (l’accento SIMONETTA popolare dell’East — Ancora End, adesso ndr). i cockney non li capisco... Scrive Ma Londra anche che ha accolto non si tutti: è mai purché sentita lavorasser­o. sola, sottolinea­ndo SIMONETTA la capacità — Una di Londra capacità di straordina­ria. accogliere. spingere. GEORGE — Non è tanto accogliere, quanto non reSIMONETT­A GEORGE — L’inglese — Sì, è una è tipicament­e differenza importante. visto come freddo. Allora gli italiani pensano: questi non ci vogliono. L’inglese invece fa la differenza fra non accogliere e però tollerare. La tolleranza londinese è meraviglio­sa.

Però è importante la necessità di adeguarsi, anche nel linguaggio. Simonetta descrive come ha dovuto imparare il gergo della City per integrarsi. SIMONETTA — C’è anche il sarcasmo. L’inglese ti accetta e non ti accetta. L’italiano ti accetta: e se ti accetta, è finita lì.

Ci sono ambienti che sono come club chiusi, di cui devi conoscere le regole non scritte e non dette. Quanto è ancora vero oggi? GEORGE — Molto meno di prima. Le scuole private, le università d’élite: questo aspetto c’è molto meno.

Londra si è democratiz­zata? SIMONETTA — Si è democratiz­zata l’Inghilterr­a: basta vedere con chi si sposano nella famiglia reale!

GEORGE — Ora conta la ricchezza, che è più permeabile della classe sociale.

SIMONETTA — Londra è peggiorata, da questo punto di vista. Lei scrive che Londra non è né classista né razzista. SIMONETTA — Ed è vero. Però il classismo è dovunque e il razzismo è dovunque: anche se la città non lo è. GEORGE — Ora c’è il classismo economico dove prima c’era il classismo sociale.

SIMONETTA — Il poveraccio ricco è trattato bene dovunque. Prima quello di origine umile, anche se ricco, non era accolto dovunque. Simonetta, lei si sofferma molto sulla Brixton multietnic­a. È il connotato di tutta la Londra odierna. SIMONETTA — Il segreto del continuo successo di Londra sta nell’accogliere gente che viene da fuori, dagli ugonotti agli ebrei. Forse noi siciliani non ci avrebbero accolti così. Stiamo disprezzan­do i siciliani? SIMONETTA — No, ma noi non avevamo la capacità di portare un’industria, un’attività. Qui appena uno arriva e ha la capacità di fare qualcosa che porta denari, Londra dice: meraviglio­so!

GEORGE — Londra è costruita sulla tolleranza.

SIMONETTA — Sull’accoglienz­a.

GEORGE — Per accogliere devi fare un atto positivo, la tolleranza è lasciare vivere. Per questo la mia parte del libro si chiama «Minestrone londinese»: perché nel minestrone tu vedi ancora i pezzettini dei vari componenti, non è come la vellutata francese, dove tutto viene tritato e diventa una pasta unica... Ma dopo la Brexit avete riscontrat­o una chiusura o Londra ne è rimasta immune?

GEORGE — Immune sicurament­e no. La cosa che ho notato di più è come si sono sentiti gli stranieri che vivono a Londra: si sono sentiti respinti.

SIMONETTA — C’è chiusura, c’è rabbia contro l’Europa. Ci sono tensioni in strada. Gli inglesi ti guardano: e non sanno perché ci sei e se dovresti esserci.

GEORGE — Gli stranieri avvertono che ora si devono guardare le spalle. Prima c’era questa libertà di sentirsi a casa e fare parte di una comunità. Non è più così ovvio, la gente è molto insicura. E hanno ragione. Io ho fatto il passaporto italiano proprio per questo.

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