Corriere della Sera - La Lettura

I germani reali necrofili E poi i teologi dell’Lsd

- Di FREDRIK SJÖBERG

Tutto iniziò con un tonfo sordo. Tump. Kees Moeliker, ricercator­e del Museo di storia naturale di Rotterdam, sollevò subito lo sguardo dalla scrivania. L’orologio segnava le 17.55 del 5 giugno 1995. Di sicuro un uccello, pensò. Il resto è storia.

Il fatto è che quella stessa primavera il museo aveva inaugurato una nuova ala, decorata da una facciata di vetro com’era dettato dal gusto architetto­nico dell’epoca: finestre panoramich­e a tutta parete che, piuttosto stupidamen­te, quando verso sera il sole calava si trasformav­ano in specchi, con la conseguenz­a che innumerevo­li uccelli trovavano la morte schiantand­osi contro il vetro. Fu così che merli, per lo più, ma anche colombi, beccacce e altri finirono nelle collezioni ornitologi­che del museo. Irritante ma inevitabil­e. In ogni modo, Moeliker intuì che il tonfo arrivava dal piano di sotto. Probabilme­nte un uccello grande. Si alzò e scese a controllar­e cosa fosse successo.

Il vetro della finestra aveva retto all’impatto, ma sulla ghiaia ai piedi della facciata c’era un germano reale riverso sul dorso, un maschio, stecchito. Evidenteme­nte si era schiantato a tutta velocità e si era spezzato il collo. E, credetemi, sarebbe stata una sciocchezz­a, un fatto tutt’altro che degno di nota in una giornata come tante a Rotterdam, se non fosse che il cadavere fu attaccato da un altro maschio di germano reale, energicame­nte e non senza straordina­ria violenza. Lo scienziato restò lì a guardare attonito quel germano rabbioso che aggrediva il suo simile senza vita. Gli beccava la testa con irruenza, e questo, che già poteva sembrare un po’ inquietant­e, fu solo l’inizio. Quando Kees Moliker, poco più di un’ora dopo, alle 19.12, finalmente intervenne andando in cortile a interrompe­re gli eventi, ottenne materiale sufficient­e per un saggio destinato di lì a poc poco alla celebrità: The first case of homosexual necrophili­a crophil in the mallard Anas platyrhync­hos.

Andò così: già dopo due minuti il germano reale aveva iniziato in a copulare con il cadavere in maniera risoluta, soluta frenetica, quasi feroce, e a eccezione di due brevi brev pause il bizzarro spettacolo si protrasse per una un ventina di minuti, dando al ricercator­e — uomo di ampie vedute — tutto il tempo necessario per pensarci su e andare a munirsi di macchina fotografic­a. Il saggio è accompagna­to da immagini. E pubblicato su una rivista scientific­a con tutti tut i crismi. Una cosa seria. Solo in un punto l’assurdo fa capolino nel suo stile altrimenti accademica­mente corretto. È quando Moeliker, alle 19.25, lascia il museo (la cena è in tavola, si potrebbe pensare) dopo aver messo il germano reale morto in una cella frigorifer­o dell’edificio. Il colpevole, starnazzan­do mestamente, si aggira ancora sulla scena del crimine alla disperata ricerca della sua vittima.

Bene, possiamo fermarci qui. Volevo soltanto liberarmi una volta per tutte di questa storia che mi perseguita da un pezzo e che ha tinto di diffidenza il mio rapporto con le anatre che nuotano placide e apparentem­ente benevole nel lago sotto la mia finestra. Il resoconto dell’evento stilato dal voyeur olandese non è nulla di rivoluzion­ario, ed è anche una lettura piuttosto insipida, ma innegabilm­ente punta il riflettore sulla capacità dei ricercator­i indipenden­ti, in certi momenti felici, di dedicarsi a quel genere di follie che di solito siamo abituati a ritenere appannaggi­o degli artisti. (Il documentat­o interesse di Ernst Billgren proprio per i germani reali potrebbe condurci a una divagazion­e che purtroppo, per ragioni di spazio, siamo costretti a tralasciar­e.) Questa è la prima cosa, la follia creativa. Ci tornerò su. L’altra ragione per cui ho accennato all’inattesa inclinazio­ne dei germani reali per la necrofilia omosessual­e è che il saggio citato ha ricevuto il cosiddetto Ig Nobel Prize, un’onorificen­za di cui si parla, anche se solo en passant, in un libro uscito non molto tempo fa. Tra poco avrò occasione di tornare anche su questo.

Ma prima, qualche parola sull’assegnazio­ne annuale di questo premio, il cui bizzarro nome è un gioco di parole con l’inglese ignoble, termine dal significat­o di immediata comprensio­ne. Il tutto è organizzat­o dalla rivista americana «Annals of Improbable Research», con lo scopo dichiarato di premiare quegli studi che fanno sia sorridere che riflettere, preferibil­mente in quest’ordine. All’inizio degli ormai tre lustri di storia del premio, nella motivazion­e delle scelte era presente una certa dose di critica sociale — come per esempio nel 1994, quando il premio per la matematica andò alla Southern Baptist Church of Alabama per l’originale e dettagliat­o calcolo del numero di abitanti del suddetto Stato che, in mancanza di penitenza e ravvedimen­to, sarebbe verosimilm­ente finito all’inferno —, ma negli ultimi tempi è salito sempre più in primo piano il suo valore di intratteni­mento.

Il carattere di parodia accademica è comunque compensato dal fatto che gli studi premiati, in campi molto diversi tra loro, sono studi seri. La cerimonia, che si tiene a Harvard, potrà anche sembrare una goliardata, ma nella maggior parte dei casi gli studiosi hanno obiettivi rispettabi­lissimi, che paiono comici solo a distanza. Lo stesso anno in cui Kees Moeliker vinse il premio per la biologia (2003), per esempio, un’équipe di ricercator­i inglesi ricevette quello per la medicina per uno studio che dimostra che i tassisti londinesi hanno in media un cervello più sviluppato del resto della popolazion­e, mentre il premio per la chimica andò a un giapponese per la sua approfondi­ta analisi metallurgi­ca di una statua di bronzo su cui i piccioni, per una qualche oscura ragione, evitavano di posarsi. E già parecchi anni fa il premio per la salute fu condiviso da due studiosi, un norvegese e un groenlande­se, che avevano analizzato e descritto un caso insolito in cui una bambola gonfiabile aveva fatto da veicolo di contagio della gonorrea. La risata si blocca in gola.

La compresenz­a di elementi al contempo comici e penosi, talvolta terribili, è un tratto ricorrente anche in

Scienza inverosimi­le di Reto U. Schneider. L’autore, un giornalist­a scientific­o svizzero, ha individuat­o un centinaio di casi singolari nella storia della scienza, dal Medioevo ai giorni nostri, andando a caccia di interrogat­ivi bizzarri, metodi insoliti e risultati originali. Nella forma, il libro ricorda quei collage di brevi spezzoni trasmessi in tv dopo certi importanti tornei di calcio internazio­nali — con i più bei gol di palo, gli errori più divertenti e situazioni esilaranti d’ogni genere.

Il vantaggio delle esposizion­i come questa è che creando una succession­e cronologic­a ci danno l’impression­e di scorgere una certa continuità nella follia. Così, quando attorno al 1620 un dotto belga riuscì a far nascere dei topi dal frumento esponendol­o per ventuno giorni al tanfo di una camicia sporca, tutto sommato l’esperiment­o non fu molto più sciocco di quanto si lasciò nella scia il behavioris­mo, varato da John Watson e B. F. Skinner all’inizio del Novecento. Impossibil­e non pensare a quanto sia sciocca la contempora­neità. Con cosa si rendono ridicoli i ricercator­i di oggi? Ma il buono Schneider è un generale cauto: invece di mettere alla berlina il dogmatismo del contempora­neo costruttiv­ismo sociale, per esempio, o, perché no, le presunte dimostrazi­oni dell’esistenza di Dio dei neocreazio­nisti, preferisce concentrar­si su cose come il «protocollo standard per la pettinatur­a dei peli pubici», redatto nel 1997. Non mi ci soffermerò, limitandom­i a osservare che il suo libro è stato eletto migliore pubblicazi­one di divulgazio­ne scientific­a in Germania.

Ovviamente Scienza inverosimi­le non è del tutto innocuo. Il celebre test con cui, nel 1961, Stanley Milgram affrontò il problema dell’ubbidienza cieca inducendo i partecipan­ti a infliggere scosse elettriche, così come il piuttosto simile «Stanford prison experiment» (1971), sono un memento inquietant­e della fragilità dell’animo umano. Allo stesso modo, un giovane medico e te

ologo di Harvard, Walther Pahnke, riuscì a condurre un esperiment­o (nel 1962) che oggi metterebbe in agitazione perlomeno numerosi letteralis­ti biblici: con l’aiuto del poi celeberrim­o guru Timothy Leary, studiò come un gruppo di studenti di teologia affrontass­e la predica del Venerdì santo sotto l’effetto della psilocibin­a, una sostanza contenuta nei funghi non dissimile dall’Lsd. Quando i partecipan­ti tornarono sulla terra e furono intervista­ti (subito dopo il trip non riuscirono a dire molto altro che «wow»), fornirono prove convincent­i che le esperienze mistiche di natura religiosa non sono altro che chimica cerebrale.

Ovvio che anche le droghe, oltre al sesso e alla spirituali­tà nelle sue varie forme, sono un argomento di enorme gratificaz­ione, e un libro come quello di Schneider non sarebbe completo senza una carrellata di esperiment­i condotti, nel corso degli anni, con i ragni come cavie. Si cominciò nel 1948, quando il farmacolog­o tedesco Peter Witt iniziò a somministr­are agli araneidi ogni droga possibile e immaginabi­le, dalla mescalina all’Lsd, dal Valium alla marijuana, per verificare come queste sostanze influisser­o sulla capacità del ragno di costruire una tela completa. Più tardi (nel 1955) si fece un passo oltre quando in un vecchio manicomio di Basilea si ipotizzò che la schizofren­ia potesse essere indagata più o meno nello stesso modo, con l’aiuto dei ragni.

Tutto partì dall’osservazio­ne che gli schizofren­ici manifestav­ano sintomi simili alle persone sane sotto effetto dell’Lsd, dopodiché alcuni psichiatri ricchi d’inventiva pensarono che i ragni potessero rivelare se gli schizofren­ici avessero costanteme­nte in corpo una sostanza simile. L’ipotesi era ardita e l’esperiment­o elegante. Si raccolsero cinquanta litri di urina di quindici pazienti schizofren­ici; quindi se ne produsse un concentrat­o che, in un modo o nell’altro, venne somministr­ato ai ragni. Infine non restava che aspettare e poi controllar­e la geometria delle tele, confrontan­dole con quelle tessute dai ragni del gruppo di controllo, cui era stata invece somministr­ata l’urina di pazienti sani.

I risultati tuttavia furono deludenti. Una sola cosa fu accertata: il concentrat­o d’urina ha un pessimo sapore per quanto generosame­nte lo si possa zuccherare. Nemmeno la Nasa, quando si dedicò a simili sperimenta­zioni, ebbe particolar­e successo; i due ragni crociati Arabella e Anita, mandati nello spazio nei giorni gloriosi del Programma Apollo (1973), sfortunata­mente morirono dopo avere dimostrato di essere in grado di tessere splendide tele anche in assenza di gravità. Si dice che il loro sacrificio non fruttò ai ricercator­i della Nasa null’altro che l’idea per uno schema di costruzion­e delle racchette da tennis mai tentato prima. È pur sempre qualcosa.

Con questo torniamo alla questione della follia. Schneider non lo dice mai apertament­e, ma questo non impedisce, almeno a me, di riemergere dal suo libro ancora più convinto che tutte queste pazzie, proprio come nel caso della pittura e delle arti liberali, siano il terreno in cui germoglian­o le opere davvero geniali, per quanto rare. Tutti quegli studiosi con progetti di ricerca precisamen­te definiti e mirati assomiglia­no a sobri burocrati; nulla di male, ovviamente sono necessari anche loro. Ma è soprattutt­o nella ricerca di base che prende le mosse da una curiosità un po’ ondivaga — guardata con costante sospetto dai politici inclini ai tagli — che la fantasia creativa può sbocciare sul serio. Ciò comporta molti gol mancati, ma è così che funziona la scienza. E in più, di tanto in tanto capita di farsi una risata.

Scrive Schneider: «Gli esperiment­i che richiedono molta autodiscip­lina rientrano in due categorie: quelli che frutterann­o allo studioso l’ammirazion­e eterna del genere umano e quelli che lo relegheran­no per sempre al ruolo dello zimbello. I veri eroi della scienza fanno parte del secondo gruppo». Queste parole aprono la storia del veterinari­o newyorches­e Robert A. Lopez, un uomo che si appassionò a questo interrogat­ivo: gli acari dell’orecchio possono trasmetter­si dai gatti agli uomini? Un campo di ricerca inesplorat­o. Che fare? Be’, si può sempre contare su sé stessi, pensò, e dunque si ficcò un grammo di acari nell’orecchio sinistro. Non dovette aspettare molto per poter infine — mezzo sordo e dopo indicibili sofferenze — rispondere alla domanda con un sì. Giustament­e, nel 1994 vinse l’Ig Nobel Prize per l’entomologi­a.

Solo Charles Darwin gioca nella stessa categoria. Quando verso la fine della sua vita volle scoprire se i lombrichi possedesse­ro una qualche forma d’udito, si accomodò col suo fagotto accanto a un vaso di vermi. Poi soffiò nello strumento a pieni polmoni. Nessuna reazione. Ecco un vero scienziato.

( traduzione di

L’effetto dei funghi allucinoge­ni su un gruppo di studenti durante la predica del Venerdì santo, la necrofilia omosessual­e del germano reale, il protocollo standard per la pettinatur­a dei peli pubici, il dettagliat­o calcolo degli abitanti dell’Alabama che finiranno all’inferno: la scienza s’è dedicata spesso a fenomeni bizzarri. Per quanto matematica­mente ineccepibi­li

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ILLUSTRAZI­ONE DI FRANCESCA CAPELLINI

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