Corriere della Sera - La Lettura
I germani reali necrofili E poi i teologi dell’Lsd
Tutto iniziò con un tonfo sordo. Tump. Kees Moeliker, ricercatore del Museo di storia naturale di Rotterdam, sollevò subito lo sguardo dalla scrivania. L’orologio segnava le 17.55 del 5 giugno 1995. Di sicuro un uccello, pensò. Il resto è storia.
Il fatto è che quella stessa primavera il museo aveva inaugurato una nuova ala, decorata da una facciata di vetro com’era dettato dal gusto architettonico dell’epoca: finestre panoramiche a tutta parete che, piuttosto stupidamente, quando verso sera il sole calava si trasformavano in specchi, con la conseguenza che innumerevoli uccelli trovavano la morte schiantandosi contro il vetro. Fu così che merli, per lo più, ma anche colombi, beccacce e altri finirono nelle collezioni ornitologiche del museo. Irritante ma inevitabile. In ogni modo, Moeliker intuì che il tonfo arrivava dal piano di sotto. Probabilmente un uccello grande. Si alzò e scese a controllare cosa fosse successo.
Il vetro della finestra aveva retto all’impatto, ma sulla ghiaia ai piedi della facciata c’era un germano reale riverso sul dorso, un maschio, stecchito. Evidentemente si era schiantato a tutta velocità e si era spezzato il collo. E, credetemi, sarebbe stata una sciocchezza, un fatto tutt’altro che degno di nota in una giornata come tante a Rotterdam, se non fosse che il cadavere fu attaccato da un altro maschio di germano reale, energicamente e non senza straordinaria violenza. Lo scienziato restò lì a guardare attonito quel germano rabbioso che aggrediva il suo simile senza vita. Gli beccava la testa con irruenza, e questo, che già poteva sembrare un po’ inquietante, fu solo l’inizio. Quando Kees Moliker, poco più di un’ora dopo, alle 19.12, finalmente intervenne andando in cortile a interrompere gli eventi, ottenne materiale sufficiente per un saggio destinato di lì a poc poco alla celebrità: The first case of homosexual necrophilia crophil in the mallard Anas platyrhynchos.
Andò così: già dopo due minuti il germano reale aveva iniziato in a copulare con il cadavere in maniera risoluta, soluta frenetica, quasi feroce, e a eccezione di due brevi brev pause il bizzarro spettacolo si protrasse per una un ventina di minuti, dando al ricercatore — uomo di ampie vedute — tutto il tempo necessario per pensarci su e andare a munirsi di macchina fotografica. Il saggio è accompagnato da immagini. E pubblicato su una rivista scientifica con tutti tut i crismi. Una cosa seria. Solo in un punto l’assurdo fa capolino nel suo stile altrimenti accademicamente corretto. È quando Moeliker, alle 19.25, lascia il museo (la cena è in tavola, si potrebbe pensare) dopo aver messo il germano reale morto in una cella frigorifero dell’edificio. Il colpevole, starnazzando mestamente, si aggira ancora sulla scena del crimine alla disperata ricerca della sua vittima.
Bene, possiamo fermarci qui. Volevo soltanto liberarmi una volta per tutte di questa storia che mi perseguita da un pezzo e che ha tinto di diffidenza il mio rapporto con le anatre che nuotano placide e apparentemente benevole nel lago sotto la mia finestra. Il resoconto dell’evento stilato dal voyeur olandese non è nulla di rivoluzionario, ed è anche una lettura piuttosto insipida, ma innegabilmente punta il riflettore sulla capacità dei ricercatori indipendenti, in certi momenti felici, di dedicarsi a quel genere di follie che di solito siamo abituati a ritenere appannaggio degli artisti. (Il documentato interesse di Ernst Billgren proprio per i germani reali potrebbe condurci a una divagazione che purtroppo, per ragioni di spazio, siamo costretti a tralasciare.) Questa è la prima cosa, la follia creativa. Ci tornerò su. L’altra ragione per cui ho accennato all’inattesa inclinazione dei germani reali per la necrofilia omosessuale è che il saggio citato ha ricevuto il cosiddetto Ig Nobel Prize, un’onorificenza di cui si parla, anche se solo en passant, in un libro uscito non molto tempo fa. Tra poco avrò occasione di tornare anche su questo.
Ma prima, qualche parola sull’assegnazione annuale di questo premio, il cui bizzarro nome è un gioco di parole con l’inglese ignoble, termine dal significato di immediata comprensione. Il tutto è organizzato dalla rivista americana «Annals of Improbable Research», con lo scopo dichiarato di premiare quegli studi che fanno sia sorridere che riflettere, preferibilmente in quest’ordine. All’inizio degli ormai tre lustri di storia del premio, nella motivazione delle scelte era presente una certa dose di critica sociale — come per esempio nel 1994, quando il premio per la matematica andò alla Southern Baptist Church of Alabama per l’originale e dettagliato calcolo del numero di abitanti del suddetto Stato che, in mancanza di penitenza e ravvedimento, sarebbe verosimilmente finito all’inferno —, ma negli ultimi tempi è salito sempre più in primo piano il suo valore di intrattenimento.
Il carattere di parodia accademica è comunque compensato dal fatto che gli studi premiati, in campi molto diversi tra loro, sono studi seri. La cerimonia, che si tiene a Harvard, potrà anche sembrare una goliardata, ma nella maggior parte dei casi gli studiosi hanno obiettivi rispettabilissimi, che paiono comici solo a distanza. Lo stesso anno in cui Kees Moeliker vinse il premio per la biologia (2003), per esempio, un’équipe di ricercatori inglesi ricevette quello per la medicina per uno studio che dimostra che i tassisti londinesi hanno in media un cervello più sviluppato del resto della popolazione, mentre il premio per la chimica andò a un giapponese per la sua approfondita analisi metallurgica di una statua di bronzo su cui i piccioni, per una qualche oscura ragione, evitavano di posarsi. E già parecchi anni fa il premio per la salute fu condiviso da due studiosi, un norvegese e un groenlandese, che avevano analizzato e descritto un caso insolito in cui una bambola gonfiabile aveva fatto da veicolo di contagio della gonorrea. La risata si blocca in gola.
La compresenza di elementi al contempo comici e penosi, talvolta terribili, è un tratto ricorrente anche in
Scienza inverosimile di Reto U. Schneider. L’autore, un giornalista scientifico svizzero, ha individuato un centinaio di casi singolari nella storia della scienza, dal Medioevo ai giorni nostri, andando a caccia di interrogativi bizzarri, metodi insoliti e risultati originali. Nella forma, il libro ricorda quei collage di brevi spezzoni trasmessi in tv dopo certi importanti tornei di calcio internazionali — con i più bei gol di palo, gli errori più divertenti e situazioni esilaranti d’ogni genere.
Il vantaggio delle esposizioni come questa è che creando una successione cronologica ci danno l’impressione di scorgere una certa continuità nella follia. Così, quando attorno al 1620 un dotto belga riuscì a far nascere dei topi dal frumento esponendolo per ventuno giorni al tanfo di una camicia sporca, tutto sommato l’esperimento non fu molto più sciocco di quanto si lasciò nella scia il behaviorismo, varato da John Watson e B. F. Skinner all’inizio del Novecento. Impossibile non pensare a quanto sia sciocca la contemporaneità. Con cosa si rendono ridicoli i ricercatori di oggi? Ma il buono Schneider è un generale cauto: invece di mettere alla berlina il dogmatismo del contemporaneo costruttivismo sociale, per esempio, o, perché no, le presunte dimostrazioni dell’esistenza di Dio dei neocreazionisti, preferisce concentrarsi su cose come il «protocollo standard per la pettinatura dei peli pubici», redatto nel 1997. Non mi ci soffermerò, limitandomi a osservare che il suo libro è stato eletto migliore pubblicazione di divulgazione scientifica in Germania.
Ovviamente Scienza inverosimile non è del tutto innocuo. Il celebre test con cui, nel 1961, Stanley Milgram affrontò il problema dell’ubbidienza cieca inducendo i partecipanti a infliggere scosse elettriche, così come il piuttosto simile «Stanford prison experiment» (1971), sono un memento inquietante della fragilità dell’animo umano. Allo stesso modo, un giovane medico e te
ologo di Harvard, Walther Pahnke, riuscì a condurre un esperimento (nel 1962) che oggi metterebbe in agitazione perlomeno numerosi letteralisti biblici: con l’aiuto del poi celeberrimo guru Timothy Leary, studiò come un gruppo di studenti di teologia affrontasse la predica del Venerdì santo sotto l’effetto della psilocibina, una sostanza contenuta nei funghi non dissimile dall’Lsd. Quando i partecipanti tornarono sulla terra e furono intervistati (subito dopo il trip non riuscirono a dire molto altro che «wow»), fornirono prove convincenti che le esperienze mistiche di natura religiosa non sono altro che chimica cerebrale.
Ovvio che anche le droghe, oltre al sesso e alla spiritualità nelle sue varie forme, sono un argomento di enorme gratificazione, e un libro come quello di Schneider non sarebbe completo senza una carrellata di esperimenti condotti, nel corso degli anni, con i ragni come cavie. Si cominciò nel 1948, quando il farmacologo tedesco Peter Witt iniziò a somministrare agli araneidi ogni droga possibile e immaginabile, dalla mescalina all’Lsd, dal Valium alla marijuana, per verificare come queste sostanze influissero sulla capacità del ragno di costruire una tela completa. Più tardi (nel 1955) si fece un passo oltre quando in un vecchio manicomio di Basilea si ipotizzò che la schizofrenia potesse essere indagata più o meno nello stesso modo, con l’aiuto dei ragni.
Tutto partì dall’osservazione che gli schizofrenici manifestavano sintomi simili alle persone sane sotto effetto dell’Lsd, dopodiché alcuni psichiatri ricchi d’inventiva pensarono che i ragni potessero rivelare se gli schizofrenici avessero costantemente in corpo una sostanza simile. L’ipotesi era ardita e l’esperimento elegante. Si raccolsero cinquanta litri di urina di quindici pazienti schizofrenici; quindi se ne produsse un concentrato che, in un modo o nell’altro, venne somministrato ai ragni. Infine non restava che aspettare e poi controllare la geometria delle tele, confrontandole con quelle tessute dai ragni del gruppo di controllo, cui era stata invece somministrata l’urina di pazienti sani.
I risultati tuttavia furono deludenti. Una sola cosa fu accertata: il concentrato d’urina ha un pessimo sapore per quanto generosamente lo si possa zuccherare. Nemmeno la Nasa, quando si dedicò a simili sperimentazioni, ebbe particolare successo; i due ragni crociati Arabella e Anita, mandati nello spazio nei giorni gloriosi del Programma Apollo (1973), sfortunatamente morirono dopo avere dimostrato di essere in grado di tessere splendide tele anche in assenza di gravità. Si dice che il loro sacrificio non fruttò ai ricercatori della Nasa null’altro che l’idea per uno schema di costruzione delle racchette da tennis mai tentato prima. È pur sempre qualcosa.
Con questo torniamo alla questione della follia. Schneider non lo dice mai apertamente, ma questo non impedisce, almeno a me, di riemergere dal suo libro ancora più convinto che tutte queste pazzie, proprio come nel caso della pittura e delle arti liberali, siano il terreno in cui germogliano le opere davvero geniali, per quanto rare. Tutti quegli studiosi con progetti di ricerca precisamente definiti e mirati assomigliano a sobri burocrati; nulla di male, ovviamente sono necessari anche loro. Ma è soprattutto nella ricerca di base che prende le mosse da una curiosità un po’ ondivaga — guardata con costante sospetto dai politici inclini ai tagli — che la fantasia creativa può sbocciare sul serio. Ciò comporta molti gol mancati, ma è così che funziona la scienza. E in più, di tanto in tanto capita di farsi una risata.
Scrive Schneider: «Gli esperimenti che richiedono molta autodisciplina rientrano in due categorie: quelli che frutteranno allo studioso l’ammirazione eterna del genere umano e quelli che lo relegheranno per sempre al ruolo dello zimbello. I veri eroi della scienza fanno parte del secondo gruppo». Queste parole aprono la storia del veterinario newyorchese Robert A. Lopez, un uomo che si appassionò a questo interrogativo: gli acari dell’orecchio possono trasmettersi dai gatti agli uomini? Un campo di ricerca inesplorato. Che fare? Be’, si può sempre contare su sé stessi, pensò, e dunque si ficcò un grammo di acari nell’orecchio sinistro. Non dovette aspettare molto per poter infine — mezzo sordo e dopo indicibili sofferenze — rispondere alla domanda con un sì. Giustamente, nel 1994 vinse l’Ig Nobel Prize per l’entomologia.
Solo Charles Darwin gioca nella stessa categoria. Quando verso la fine della sua vita volle scoprire se i lombrichi possedessero una qualche forma d’udito, si accomodò col suo fagotto accanto a un vaso di vermi. Poi soffiò nello strumento a pieni polmoni. Nessuna reazione. Ecco un vero scienziato.
( traduzione di
L’effetto dei funghi allucinogeni su un gruppo di studenti durante la predica del Venerdì santo, la necrofilia omosessuale del germano reale, il protocollo standard per la pettinatura dei peli pubici, il dettagliato calcolo degli abitanti dell’Alabama che finiranno all’inferno: la scienza s’è dedicata spesso a fenomeni bizzarri. Per quanto matematicamente ineccepibili