Corriere della Sera - La Lettura
Brunello: «Il tempo di attenzione si accorcia, questo fenomeno non va assecondato». Dego: «L’ascolto consapevole nasce a scuola »
biamo meno effetti speciali a disposizione. Il cappello del mago, per così dire, non ha più quelle doti di prestigio che erano una sua componente essenziale. Così come capita nell’insegnamento: continua a essere possibile sviluppare un rapporto «uno a uno», trasmettendo valori e idee in modo diretto personale; ma davanti a una classe la tecnologia ha messo fuori gioco lo stupore, che da sempre è uno strumento potente nelle mani degli insegnanti, e bisogna confrontarsi con ragazzi che hanno già in tasca, in mano, ciò che tu pensavi di far scoprire.
— Nel mio mestiere di direttore, uno dei cambiamenti che osservo è che, ad esempio, la modalità di scelta dei solisti o dei cantanti è cambiata: una volta li si ascoltava attraverso audizioni; ora su YouTube. Il che velocizza alcune operazioni e abbatte i costi, è chiaro; ma porta con sé il rischio di farsi un’idea sbagliata, in positivo o in negativo, della persona filmata: la realtà spesso è un’altra cosa.
— Il mondo digitale spinge verso la frammentazione, e verso l’impazienza: la facilità di accesso e l’immediatezza inducono un’ansia di consumare sempre più rapidamente un brano di musica. Non ci mettiamo ad ascoltare l’aria di una
Cantata di Bach per intero perché, mentre lo facciamo, ci viene proposto di accedere istantaneamente ad altre dodici versioni dello stesso brano, e alle interpretazioni che l’artista in riproduzione ha dato di musiche di Händel, di Rameau o dei Beatles. Così, alla fine, ci dimentichiamo persino quale fosse il brano che avevamo pensato di ascoltare! E questo modo di affrontare la musica è diametralmente opposto alle necessità della musica classica, dove ci si confronta con opere complete, con costruzioni sofisticate, che necessitano di attenzione per essere apprezzate. Che si tratti di un’immensa sinfonia o di un Lied di due minuti, il linguaggio della musica scritta esige una attitudine molto diversa da quella che propongono i media digitali. Attenzione, però: quegli stessi mezzi possono servire per trasmettere la complessità, la varietà, la molteplicità del mondo della musica classica, con lo scopo di creare — in una società come la nostra, cosciente dell’importanza dell’educazione — un diverso stato di fatto, anche grazie alla complicità con un nuovo pubblico, più giovane, che è nato e cresciuto nel mondo digitale.
È vero. E devo dire che l’accorciarsi del tempo di attenzione è un fenomeno che noto ormai da molti anni. Ma penso che non lo si debba assecondare; al contrario, credo che si debba reagire in maniera opposta: anziché fare ascoltare un solo movimento di una Suite per violoncello solo di
Bach, ad esempio, bisogna scegliere di proporle tutte e sei insieme, una dopo l’altra. Io adesso ho deciso di fare così: o le suono tutte oppure non suono nulla.
Io per fortuna non percepisco un cambiamento nella durata del tempo di attenzione durante un concerto o un’opera. E non mi sento tanto influenzato dal mondo digitale, nemmeno nella mia maturazione artistica. È chiaro che vivo in questo mondo ma sono i suoi cicli lunghi che in questo momento mi interessano: continuare a chiedermi, come si è tradizionalmente fatto, se interpretare Brahms come autore classico, con un senso del tempo più continuo, oppure come un romantico, dirigendo in modo più flessibile; accettare la filologia e le prassi esecutive d’epoca in modo rigoroso oppure, come faccio adesso, darle per digerite e guardare oltre. Cose di questo genere.
— Il mondo digitale ha avuto sulla musica classica esattamente lo stesso impatto che registriamo negli altri aspetti della nostra vita: siamo stati sommersi da una mostruosa quantità di informazioni, di gran lunga superiore alle nostre capacità di elaborazione. È un’abbondanza che crea una certa apatia, un’impotenza di fronte all’enormità della scelta, e quindi genera una sorta di rinuncia a compiere qualsiasi azione. Così la musica classica è stata sommersa nella melma di milioni di tracce di musica di ogni altro genere. Poco a poco, però, stiamo cominciando a orientarci in questa nuova situazione, reimparando ad apprezzare la qualità sopra la quantità e cercando ciò che è particolare, autentico, vero. La rivoluzione digitale sta così rivelandoci il suo lato più interessante: offrire, a chi sa guardare e ascoltare, la possibilità di tracciare confronti nuovi, di scoprire significati nascosti, di rivelare generalizzazioni che prima ci sfuggivano. Il che rappresenta, senza dubbio, una ricchezza.
Andrei persino oltre: vale il discorso inverso. Se da un lato la Rete ci mette a disposizione informazioni e sorprese che allargano le nostre prospettive, dall’altro la nostra abitudine a maneggiare suoni e partiture complesse ci permette di godere in modo più intenso della vita digitale. Una matrice umanistica, nello zapping della connessione perenne, ha il suo valore: mi verrebbe quasi da dire che chi ha familiarità con la musica di Beethoven, di Stravinskij o di John Adams si orienta meglio tra i risultati di Google. E si diverte di più. Ma è una cosa che forse capiremo soltanto in futuro.
Nicola Campogrande