Corriere della Sera - La Lettura
La politica fa ridere Un guaio per la satira
Spesso i personaggi pubblici inseguono battute veloci, tweet salaci, post spiritosi, selfie irriverenti. E spesso lì si fermano. Il collettivo chiamato Il Terzo Segreto
di Satira pubblica un libro per denunciare questo andazzo (e prendere di mira sovranismi e altri isterismi). Abbiamo invitato a confrontarsi sull’argomento un esponente del collettivo e due politologi, Luigi Curini e Gianfranco Pasquino
Il dibattito politico, pieno di sberleffi e invettive salaci, somiglia molto a uno spettacolo di satira. E per certi versi il libro La paranza dei buonisti (Longanesi) del collettivo Il Terzo Segreto di Satira — autori di video ironici su YouTube e in tv, poi del film Si muore tutti democristiani — è una denuncia di questo paradosso. Ci è sembrato quindi interessante chiamare un membro del gruppo, Andrea Fadenti, a confrontarsi a nome del collettivo con due politologi: Gianfranco Pasquino, professore emerito dell’ateneo di Bologna, e Luigi Curini, docente alla Statale di Milano.
GIANFRANCO PASQUINO — La satira ha spesso svolto un ruolo politico importante, soprattutto quando ha preso di mira un sistema piuttosto che singoli personaggi. Un esempio eccezionale sono i libri di George Orwell La fattoria degli animali e 1984, ma non dimentichiamo, tra gli italiani, Giovanni Guareschi. Come esempi recenti citerei Altan, ElleKappa, i fratelli Guzzanti e ovviamente Beppe Grillo. Oggi una classe dirigente mediocre si presta ad essere presa in giro e al tempo stesso finisce per entrare in competizione con i comici, polemizzando sui social a suon di battute. Non è buon segno per la politica e neanche per la satira.
LUIGI CURINI — La funzione dissacrante della satira verso il potere è un fenomeno già presente nell’antichità. Ed è salutare: quando viene a mancare, bisogna preoccuparsi; quando riappare, vuol dire che la situazione migliora. Diversa però è la questione dei comici che entrano in politica, da Grillo al presidente ucraino Volodymyr Zelensky e all’ex leader del Guatemala Jimmy Morales. Questa è una novità che dipende da vari fattori: il venire meno dell’identificazione nei partiti, la fluidità dell’elettorato, il crescente risentimento verso le élite. Tutto ciò mette i comici nella posizione ottimale per sbeffeggiare un ceto dirigente screditato e attirare consenso, contrapponendo il senso comune ai riti del potere, anche attraverso i nuovi media. Finisce così che gli stessi politici, sentendosi scavalcati, imitano gli umoristi con messaggi burleschi e spesso grezzi, attizzando il rancore della gente per raccoglierne i voti.
IL TERZO SEGRETO DI SATIRA — Noi del Terzo Segreto di Satira siamo tutti intorno ai 35 anni. E da quando abbiamo memoria ci ricordiamo di un leader, Silvio Berlusconi, che aveva già tempi comici e sapeva presentarsi in modo pop, divertente, accattivante. I politici invadono il territorio satirico perché hanno capito che la risata genera ascolto, aggancia il pubblico. Però non basta smuovere la gente con le caricature e il grottesco. La satira (in questo è diversa dalla pura comicità) e a maggior ragione la politica dovrebbero anche veicolare contenuti, stimolare una riflessione. Su questo i leader italiani ci sembrano assolutamente elusivi. Sempre pronti alla battuta sui social e in televisione, impegnati in campagne elettorali che somigliano ai tour delle rockstar, badano ormai prevalentemente agli effetti spettacolari. Ma ogni show è una forma di finzione. Che cosa c’è die
tro? Quale realtà nasconde? Ecco le domande che cerchiamo di porre nel libro. Voi avete ottenuto un grande successo su YouTube. Perché avete scritto un libro?
IL TERZO SEGRETO DI SATIRA — La parola scritta permette di ovviare ai problemi produttivi che un video comporta: non servono scenografie, attori, montaggio. Così è possibile andare a briglia sciolta con la fantasia, proponendo situazioni paradossali che sarebbe ben più difficile mostrare attraverso le immagini filmate. E poi l’idea di realizzare un «manuale del buonista» si sposa perfettamente con il formato cartaceo. Un vademecum a capitoli video non avrebbe funzionato altrettanto bene.
Entriamo nel merito del volume: non è un po’ vittimistico dipingere un’Italia in preda ai sovranisti più beceri, nella quale chi la pensa diversamente (i «buonisti») non potrà fare altro che mimetizzarsi?
GIANFRANCO PASQUINO — La satira è rivolta per sua natura contro l’andamento della situazione vigente, quindi contiene sempre aspetti di lamento. Quella migliore rimpiange i lati migliori del passato, ma riesce a prefigurare cambiamenti positivi nel futuro. Per farlo tuttavia ci vuole una buona dose di ottimismo e io, essendo poco fiducioso sulle sorti dell’Italia, non mi sento di criticare troppo gli autori del libro. Non credo che l’Italia sarà dominata dalla destra xenofoba, che però ha radici profonde, su cui bisogna riflettere. Del resto Bettino Craxi, della cui morte è appena trascorso il ventennale, veniva disegnato, ingiustamente a mio avviso, con gli stivaloni e la camicia nera. La vera sfida della satira però consiste nel dare frustate soprattutto ai gruppi dirigenti delle forze a cui ci si sente vicini, per spronarli a indicare prospettive nuove.
LUIGI CURINI — L’introduzione del libro sottolinea giustamente l’importanza dell’ascolto e della comprensione verso chi è in disaccordo, buone abitudini ignote ai sovranisti. Però poi il testo rischia di proporre pregiudizi uguali a quelli che deplora. Ne esce un’immagine del sovranista (non solo il politico, anche il semplice cittadino) che è un cumulo di luoghi comuni negativi. Così ci si condanna a non capire per troppa semplificazione, come quando si dice che Donald Trump e la Brexit hanno vinto raggirando la gente con le fake news. Per esempio il libro parla di «ventennio berlusconiano», mentre il leader di Forza Italia ha governato per circa metà del tempo e a dilagare è stato semmai l’antiberlusconismo. Allo stesso modo oggi si denuncia lo strapotere dei sovranisti, benché Lega e Fratelli d’Italia siano all’opposizione. Mi lascia perplesso anche il consiglio ai buonisti di mimetizzarsi in un ambiente ostile. La politica è conflitto di valori a testa alta, tanto più efficace in quanto comprende anche le ragioni dell’avversario, mentre cercare di evitare la competizione per via della presunta barbarie altrui mi pare una scelta perdente.
GIANFRANCO PASQUINO — In effetti i buonisti del libro sono troppo buonisti, poco aggressivi. In fondo i sovranisti in Italia sono stati al potere per poco più di un anno e non sono apparsi così imbattibili.
IL TERZO SEGRETO DI SATIRA — Il libro è il frutto di un percorso in cui nei nostri video, proprio perché in fondo stiamo da quella parte, abbiamo spesso bersagliato la sinistra, specie il Pd, e i suoi gravi difetti. Siamo pronti a criticare chi sta al governo come chi è all’opposizione. Il nostro manuale ovviamente è paradossale, non pretende di indicare davvero come comportarsi. Vuole semmai evidenziare che oggi il dibattito politico — specialmente a destra, ma non solo — è ridotto alla ripetizione di slogan semplicistici, che non danno alcuna vera indicazione su come affrontare i problemi. Noi siamo disposti ad ascoltare le ragioni di chi è contro l’immigrazione, ma se ci sentiamo dire solo «porti chiusi» o «gli stranieri vengono in Italia a rubare», come si fa a discutere? È proprio il buon senso (un concetto scivoloso, mi rendo conto) che viene meno. Allora a noi non interessa dare del fascista a Matteo Salvini. Non serve a niente e non è neanche vero che lui lo sia. Ma se è sbagliato alimentare il fuoco della rissa, e se il mimetismo suggerito nel libro è proponibile solo in chiave satirica, non resta che affidarsi, come facciamo nell’ultimo capitolo, alle nuove generazioni. Vent’anni fa sarebbe stato impensabile vedere tanti ragazzi in piazza contro i cambiamenti climatici. C’è una coscienza dei problemi che ci riguardano come umanità, al di là delle divisioni tra i popoli, che permette ancora di sperare.
GIANFRANCO PASQUINO — Eviterei l’espressione «buon senso» e anche la retorica. Per me la satira deve essere tagliente e occuparsi soprattutto delle parole, come faceva Orwell fustigando la «neolingua» del totalitarismo. Oggi purtroppo il conflitto non è più tra idee e programmi, ma tra formule verbali, spesso manipolate. Bisogna quindi mettere a nudo l’uso indecente delle parole, specie da parte della destra. Per essere chiari: i par
lamentari hanno seggi e i ministri hanno cariche, non «poltrone». E anche i giornalisti non dovrebbero chiamare «Germanicum» un’ipotesi di legge elettorale che in comune con il sistema tedesco ha solo la soglia di sbarramento. Se si recupera il contenuto delle parole è possibile ricostruire non il buon senso, ma il senso comune, e anche la dignità culturale della politica.
LUIGI CURINI — A dire il vero i giovani scendevano in piazza anche vent’anni fa, ma allora c’era una contrapposizione ideologica, mentre oggi domina una «polarizzazione affettiva», che non si basa su diverse narrazioni politiche, ma su appartenenze quasi tribali, da tifoserie di calcio. Non vale solo per l’Italia: pensate a Trump che rifiuta di stringere la mano a Nancy Pelosi, la quale reagisce strappando il testo del discorso presidenziale. Sono politici che parlano solo alla propria tribù, a una bolla di seguaci. Così trovare un terreno comune di confronto diventa difficile e la democrazia liberale ne soffre. Se la satira riuscisse a bucare le bolle di destra e sinistra, tra le quali non vedo grandi differenze, sarebbe già un bel passo avanti.
IL TERZO SEGRETO DI SATIRA — Forse noi a volte cadiamo nella retorica, ma se sui social c’è gente che arriva a minacciare Liliana Segre, vuol dire che qualcosa si è rotto. E non si tratta certo di porre un discrimine tra destra cattiva e sinistra buona. Il fatto è che la politica non si sforza più di spiegare questioni complesse per aiutare tutti a capirle, ma si abbassa a usare un linguaggio volgare per ottenere un consenso emotivo senza entrare nel merito dei problemi. Non vogliamo sentire slogan vuoti, non ci bastano il tweet polemico o il selfie a effetto. E crediamo ci siano molti elettori che, come noi, vorrebbero assistere a un dibattito più costruttivo.
GIANFRANCO PASQUINO — Purtroppo la maggioranza degli italiani, a destra e a sinistra, oggi chiede proprio semplificazioni estreme. La quota delle persone ricettive rispetto a un ragionamento pacato, che magari contraddica le loro opinioni, temo non superi il 10-15 per cento dei cittadini. Per i politici si tratta al tempo stesso di rassicurare la loro bolla e di attirare questi elettori più riflessivi. Quanto alla satira, dovrebbe prendere di mira non tanto i singoli leader, ma il sistema che ha prodotto una situazione del genere.
LUIGI CURINI — Secondo me però sarebbe un errore sottovalutare la fascia centrale degli elettori non schierati, che resta determinante per l’esito delle urne. Inoltre non condivido affatto i discorsi sulla gente ignorante che si fa suggestionare dalla propaganda ingannevole. Anche questi sono slogan banalizzanti. La realtà è più complessa: gli studi cognitivi dimostrano che anche l’elettore non istruito, la proverbiale «casalinga di Voghera», è pienamente capace di scelte razionali.
L’appello del Terzo Segreto di Satira alla ragionevolezza sembra vicino all’impostazione delle Sardine. È così?
IL TERZO SEGRETO DI SATIRA — Senz’altro è un punto di partenza che ci accomuna alle Sardine, ma è anche elementare. Esigere un dibattito meno urlato e più concreto mi sembra il minimo, che si stia a destra o a sinistra. Oppure finisce che alla satira si chiede serietà e alla politica no. È folle che i diversi schieramenti si preoccupino solo di galvanizzare le rispettive tifoserie, senza mai confrontarsi nel merito delle questioni. Anche i talk show televisivi dovrebbero promuovere una discussione sui contenuti, invece di alimentare il frastuono.
GIANFRANCO PASQUINO — Il problema deriva innanzitutto dal declino dei partiti, che non sono più capaci di formare l’opinione pubblica e ormai pare ci abbiano rinunciato. Hanno naturalmente influito i social, che permettono a chiunque di dire ogni cosa su qualsiasi tema quando vuole. Prevale così la logica dell’«uno vale uno» o del «questo lo dice lei», che annulla conoscenze e competenze. Anch’io, come Curini, credo che la «casalinga di Voghera» sia in grado di farsi un’idea, solo che adesso quella casalinga esce poco di casa, parla meno con altre persone, mentre passa ore e ore sui social, dove incontra solo gente che la pensa già come lei. Così aumentano gli individui ostili ai vaccini, quelli per cui l’uomo non è mai stato sulla Luna, perfino i negazionisti della Shoah e i terrapiattisti. Forse è anche contro di loro che la satira dovrebbe rivolgere i suoi strali.
LUIGI CURINI — Va detto però che le Sardine non si sottraggono affatto alla logica della polemica pregiudiziale. Il loro connotato principale è essere anti: non contro un certo tipo di politica, ma contro un determinato leader, Salvini. Vorrebbero porsi al di sopra delle parti e proprio per questo non hanno proposte, tranne quella, decisamente illiberale, di un «Daspo» per espellere dai social chi insulta. Ma per il resto emerge il loro vuoto programmatico, che rischia di portarle a sparire presto o a farsi strumentalizzare da chi si oppone al personaggio che hanno designato come avversario.
IL TERZO SEGRETO DI SATIRA — Accogliamo l’idea di mettere nel mirino della satira terrapiattisti e simili, ma questo ci riporta al rischio di una polemica antropologica, come quella che nel libro sottolinea l’ottusità dei sovranisti. Si finisce per dire: «Ma come potete essere così sprovveduti da credere che la Terra sia piatta?». Per quanto riguarda le Sardine, certamente sono antisalviniane. Ma è vero che il leader della Lega è l’esponente più in vista della propaganda gridata e rabbiosa che loro criticano. Allora diciamo: se la politica non vuole sentirsi dire che è rozza, smetta di comportarsi in modo rozzo.