Corriere della Sera - La Lettura
La paura della Natura
È come se l’ambiente si ribellasse a chi per tanto tempo l’ha maltrattato: è uno dei filoni della narrativa più recente, l’altra faccia dei «#Fridayforfuture»: sono thriller e sono (naturalmente) angosciosi. Accanto a questo si organizzano convegni e si mettono in scena performance teatrali — nelle due pagine successive — sul rapporto tra umanità e suolo, tra umanità e paesaggio
«Cosa potrà mai esserci là?». Là è l’Isola delle Streghe, luogo dell’avventura proibita di un gruppo di bambini — Elena, Lisa, Matteo e le sorelline Maria e Rosa —, ognuno deciso a dimostrare a sé e agli altri il proprio coraggio — «Che razza di fifoni» li esorta Lisa, la più spavalda —, tutti parimenti terrorizzati da quell’isola immersa nella foschia, piena di ombre; così rigogliosa di piante e foglie che a ogni passo sembra vogliano carezzarti e abbracciarti; popolata di rami e radici pronti a stringerti e trattenerti.
Là è l’isola, ma anche il lago che l’accoglie, i boschi che circondano lo specchio d’acqua e i monti attorno: si trovano in un Trentino selvaggio e primitivo. Là, nel libro Voci nella nebbia (Mondadori), thriller d’esordio di A. E. Pavani, è il luogo dove la natura torna a dettare legge e dove sa, può e, forse, vuole essere anche crudele.
Dall’esplorazione dell’isola, ragazzata degna di Pippi Calzelunghe, torneranno solo in quattro. Una perdita dell’innocenza da cui ogni partecipante resterà segnato a vita. Nei ricordi confusi dei bambini ricorrono tre istantanee, per tutti simili: la prima è lo strano oggetto che sull’isola disabitata sembrava aspettarli, uno scaccia-spiriti fatto di fotografie di occhi in primo piano; il secondo, un uomo incappucciato che mette in fuga i piccoli intrusi; e il terzo, il corpo di una donna morta in cui letteralmente inciampano nella fuga. È proprio fuggendo precipitosamente che una bimba, Maria, cade in acqua e scompare inghiottita dalla nebbia e dalle acque del lago. Le ricerche degli adulti non danno esito e i racconti dei piccoli vengono sbrigativamente accantonati come fantasie: la scomparsa della bambina una fatalità, un tragico incidente.
Passano vent’anni, Lisa è ora una detective della squadra omicidi a Londra; sta indagando sul caso di un killer soprannominato il «fotografo» perché ha immortalato lo sguardo ravvicinato della sua vittima: un dettaglio che per l’investigatrice, che si sta riprendendo da una misteriosa aggressione, sembra essere direttamente collegato a quella tragica e lontana avventura sul lago trentino, un luogo che per qualche ragione che neppure lei riesce a spiegarsi continua ad attrarla.
Decide di trascorrere là la convalescenza, per provare a fare luce una volta per tutte sul passato. Per capire se la natura fu, allora, indifferente, consapevole, o addirittura colpevole di quello che accadde.
E così la natura torna a fare paura come se, scavando nel passato, Lisa risvegliasse lo spirito di un luogo, qualcosa (qualcuno) di ostile a chiunque, da fuori, voglia penetrarne i segreti.
In parallelo alla vicenda contemporanea l’autrice narra una storia legata all’isola, che risale al XVII secolo, a quando le streghe erano donne che conoscevano il potere di piante, frutti, radici; comandavano forze invisibili; leggevano il libro della natura.
In paese Lisa cerca notizie sui suoi compagni di avventura: trova Rosa, che nel gruppo era l’unica che «là» non ci voleva andare: forse perché lei è da sempre diversa, è una «ragazza speciale», soffre della sindrome di Asperger, una forma lieve di autismo.
La potente vicenda avrà una spiegazione logica, razionale, ed è quella a cui si attacca il maresciallo capo Roberto De Santis, che affianca, quasi protegge, la collega inglese, che in più di un’occasione rischia di mettersi nei guai avventurandosi da sola in un territorio infido e sconosciuto per inseguire verità nascoste nel profondo.
L’autrice è brava a dare corpo a paure ataviche, che innescano comportamenti irrazionali: i cani che durante le ricerche della bambina si rifiutano di scendere sull’isola, come sentissero là oscure presenze; le rovinose cadute lungo i sentieri di alcuni personaggi, come se il paesaggio stesso fosse complice e la terra cedesse apposta sotto i piedi in una trappola; la nebbia, che agisce da personaggio, circonda l’isola e confonde i confini tra realtà e suggestione...
Pavani — che vive in Valpolicella, nel Veronese, e si dichiara una profonda amante della natura — con Voci nella nebbia va nella direzione di un thriller in cui la storia dialoga con la natura e se ne lascia permeare, scrivendo un romanzo in cui i paesaggi al pari dei personaggi respirano, agiscono, soffrono. E, se feriti, reagiscono.
In un’epoca in cui ragazzini e ragazzine riempiono le piazze per protestare contro il comportamento irresponsabile degli adulti verso l’ambiente e per manifestare le loro preoccupazioni sulle sorti del pianeta, un gruppo di bambini che va all’arrembaggio su un’isola dove la natura comanda è, a prescindere da come andrà a finire, una scelta di campo, una dichiarazione d’intenti: simboleggia l’altra faccia del #Fridayforfuture, quella «cattiva» in cui la natura si ribella a chi l’ha maltrattata.
L’autrice si inserisce in una sorta di via green e wild al thriller, un sentiero che sta diventando una strada battuta: storie di luoghi «verdi» e «selvaggi» sono quelle narrate da Ilaria Tuti in Fiori sopra l’inferno (2018), in cui l’empatia tra gli ambienti e i personaggi che li animano è profonda, e poi in Ninfa dormiente (2019), dove il legame è quasi simbiotico e gli abitanti sono sacerdoti che tramandano in segreto il culto di Madre Natura. Il teatro naturale è la Val Resia, in Friuli-Venezia Giulia.
Indagini e vicende di sangue dove, dietro l’urlo di paura dell’uomo si sente l’eco di un grido d’allarme del paesaggio, sono quelle di Luca D’Andrea, dal primo giallo La sostanza del male (2016) al nuovo L’animale più pericoloso (2020), ambientate in un Alto Adige emozionante quanto inquietante e minaccioso.
Migliaia di chilometri più a Nord, lo stesso mood si ritrova nel romanzo di Stina Jackson, autrice nata e cresciuta a Skellefteå, in Svezia (ora vive a Denver, in Colorado): in Giaccio e argento (2019), libro dell’anno nel suo Paese natale e bestseller internazionale, laghi, radure, foreste del Norrland svedese nutrono i sogni di adolescenti ribelli e alimentano gli incubi e le paure di genitori in cerca di sé stessi prima che dei loro figli perduti. Anche in questo caso il paesaggio — un mondo estremo di luce accecante, penombre e buio totale — è generatore di forti suggestioni, angosce e timori.
Infine, in Le colpe degli altri, thriller d’esordio di Linda Tugnoli, in libreria dal 20 febbraio, l’ambientazione — un paesino quasi disabitato nascosto in un’impervia valle tra Piemonte e Valle d’Aosta — ha un ruolo primario al pari del protagonista, un uomo solitario che di mestiere fa il giardiniere, esperto della flora locale. Ascolta, osserva, interpreta i segnali che arrivano da piante, foglie, fiori: grazie a questo dialogo muto riuscirà a risolvere il mistero di una ragazza trovata morta in un giardino abbandonato con indosso un abito da sera d’altri tempi e una rosa in mano...
Ma forse la natura non è così «cattiva», fa paura all’uomo perché dell’uomo ha paura. Spesso non a torto.