Corriere della Sera - La Lettura
«Facciamo un giardino » Il teatro del paesaggio
Fare teatro fuori dal teatro. Fare teatro intorno al tema del paesaggio, individuato come vettore per uscire dalla centralità umana e riconnettersi con una dimensione oltreumana, integrando natura, ecologia, spazio aperto, respiro. Si intitola Camp/Fare campo il progetto teatrale di Leonardo Delogu e Valerio Sirna che nasce all’interno di Oceano Indiano, più ampio progetto produttivo e abitativo, ideato da Francesca Corona per il Teatro India di Roma.
«Abiteremo gli spazi interni e soprattutto esterni, circostanti al Teatro India — spiega Delogu, 38 anni — procedendo con un andamento progressivo, disteso su due anni, 2020-2021, attraversabile in varie forme da chiunque vorrà accostarsi al nostro lavoro collettivo». Aggiunge Sirna, 32 anni: «Il nostro linguaggio cerca negli spazi aperti la propria cifra di indagine, che ruota attorno alla parola camp ».
Un lungo, tortuoso percorso, tra nomadismo e stanzialità, che inizia il 24 febbraio con un laboratorio e si sviluppa in quattro fasi: «Si inizia dal “camminare”, cioè il nomadismo — riprende Delogu — perché è lo strumento principale per creare una relazione con i territori». Ovvero? «Creeremo dei gruppi — risponde — per procedere con camminate urbane nei luoghi più significativi: quando si cammina in compagnia si fanno cose che non faresti mai da solo e si è ben disposti a scoprire luoghi, anfratti, angoli nascosti dove non ci si spingerebbe mai. Il Teatro India, nato dalla fabbrica dell’ex Mira Lanza, si trova sulle sponde del Tevere, un panorama affascinante in una zona periferica ai margini della città. Accanto alle strade, ai palazzi e a costruzioni di altro genere, come il gazometro dell’Italgas, si aprono dei vuoti, che sono bacino di biodiversità, con la crescita spontanea di erba, piante selvatiche, alberi... Al di fuori della dinamica del controllo umano, cittadino, là dove la natura è libera di esprimersi come vuole, inseriamo lo strumento del teatro». Interviene Sirna: «Con l’aiuto di testi, musica, performance coreografiche, modifichiamo i punti di vista, sonorizzando, movimentando lo spazio, alterandone la percezione. Non proponiamo una rappresentazione tradizionale, ovviamente, ma una riflessione sull’esperienza di un teatro di paesaggio».
La seconda fase è l’«accampamento». «È il momento della stanzialità — riprende Delogu —. Un campo largo, sufficientemente ampio, capace di tenere insieme la dimensione abitativa con quella della condivisione, dell’incontro, quindi dello studio, della pratica performativa. Una trentina di tende, tavoli, cucina... il pubblico en
Qual è il nesso tra l’Oceano e il Teatro India? Risponde Francesca Corona: «Idealmente, è la vasta distesa “marina” che circonda l’India, così come il vero oceano circonda il subcontinente indiano. L’intenzione è quella di dare vita a un teatro-oceano, con una programmazione dal respiro triennale, riposizionandolo all’interno del contesto romano e italiano non solo come luogo dove assistere a spettacoli, ma come punto di riferimento per viverlo, abitarlo. Insomma — aggiunge la responsabile artistica — vogliamo trasformare un Teatro Stabile pubblico in un posto davvero pubblico, aperto all’esterno, rendendolo accessibile in tutte le sue possibili manifestazioni».
Dunque un modo per ripensare al ruolo dell’arte scenica in una città dispersiva e distratta come Roma? «Esattamente. Un ruolo che non deve ridursi soltanto al compito dell’intrattenimento. Le persone che vengono all’India devono sentirsi a casa, protette, accolte. È necessario un dialogo intenso tra interno ed esterno, proprio per trasmettere i valori fondanti del teatro: lo stare insieme, sviluppando negli spettatori capacità immaginative e di comunicazione interpersonale».
Conclude Delogu: «Oggigiorno siamo apparentemente tutti molto comunicativi, molto connessi grazie alle tecnologie e ai social... in verità si tratta di una comunicazione virtuale e non reale. Con il nostro “teatro di paesaggio” proponiamo una relazione concreta tra le persone: qui e ora».