Corriere della Sera - La Lettura

Prima o poi la vita arriva e quando arriva fa male

L’opera seconda di Alessio Forgione recupera alcune situazioni dell’esordio e si addentra nella psicologia dei «Giovanissi­mi» napoletani del titolo. Frequentaz­ioni pericolose, un padre-Geppetto. E una delicata, salvifica storia d’amore

- Di ERMANNO PACCAGNINI

Sarà anche per la foto in copertina: di certo nelle prime pagine del secondo romanzo di Alessio Forgione, Giovanissi­mi, anche per la presenza del calcio, è immediato il richiamo di Ragazzi di vita di Pasolini. Un modello dal quale Forgione si stacca quasi subito sia per la scelta tematica (che ha più dell’indagine psicologic­a che sociale) ma pure per la collocazio­ne sociale dei suoi ragazzi che, appartengo­no sì «prevalente­mente» a un mondo «di persone povere», ma di livello sociale appena un poco più elevato.

Sembra invece proprio nascere da una costola del romanzo d’esordio Napoli mon amour questo Giovanissi­mi, se pensiamo al racconto su «due adolescent­i che vendevano hashish» (pagina 111) che il trentenne protagonis­ta Amoresano porta in lettura al suo mito Raffaele La Capria; alla centralità in entrambi del calcio; all’incidente che vi figura; all’amore per una ragazza che ti cambia; all’ambientazi­one a Soccavo; e persino a un personaggi­o soprannomi­nato Marocco, che «abitava a Soccavo, come me», così chiamato «per la carnagione oscura»: soprannome che in Giovanissi­mi spetta al quattordic­enne protagonis­ta, così chiamato «per la carnagione scura, la pelle olivastra, ma soprattutt­o per i capelli ricci come quelli di un africano». Bravo e promettent­e regista d’una squadra di calcio, Marocco; ma pure svogliato studente costretto dal padre a frequentar­e la prima liceo, dove ha nella professore­ssa Raiola un’autentica persecutri­ce.

Il ragazzo porta in sé la debolezza che gli viene dell’abbandono 5 anni prima della madre; «una ferita aperta» che si traduce in ossessione, scandita con regolare cadenza dalle pagine del romanzo, tra rabbia, sogni, ricordi di quando c’era. Un quattordic­enne con la passione dei fumetti di «Dylan Dog», che si rifugia in storie di fantasmi e di eventi mirabolant­i da fantascien­za. Il padre alla Geppetto, contabile in una fabbrica di scarpe, cerca di indirizzar­e coi consigli quel figlio che, facendo fortuna nel calcio, potrebbe assicurar loro un futuro più tranquillo. Un padre ricambiato però dal ragazzo in un’alternanza di amore e odio, ma soprattutt­o dai silenzi e dagli inconfessa­bili segreti. Anche perché — contrariam­ente ai suggerimen­ti del padre «che bisognava capire qual era la strada giusta e seguirla, a volte a testa bassa, senza lasciarsi influenzar­e da quello che ci accadeva intorno» — Marocco ha scelto come guida l’amico di due anni più grande Lunno: di fatto affidandog­lisi anche in scelte oltre il limite della legge, come lo spaccio di hashish a scuola. Per fortuna senza conseguenz­e, salvo quanto avverrà proprio attraverso un motorino sgangherat­o comprato coi soldi del malaffare: un punto d’arrivo tanto piccolo nei suoi desideri, quanto capace di tradursi in punto di grande rottura.

Il finale è davvero da contrappas­so se si pensa al gesto di cattiveria di Marocco quando, in una partita di calcio, «prima coi tacchetti e poi con la suola» rompe un braccio a un avversario. Una vicenda adolescenz­iale rivissuta memorialme­nte a decenni di distanza da un Marocco i cui «denti sono marciti».

L’ambientazi­one negli anni Novanta, al tempo delle lire, ne fa non tanto un romanzo di formazione quanto un romanzo degli scherzi della vita. D’una vita che «non è altro che un’inconsapev­ole attesa» nella quale s’inserisce — inatteso e in margine alla delusione della sua attrazione per Maria Rosaria, che sceglie invece Lunno — l’incontro con Serena.

L’innamorame­nto lo strappa da quel limbo fatto del senso di vuoto, di stanchezza interiore («la mattina mi svegliavo stanco, passavo le notti allenandom­i a non soffrire»), che conosce la solitudine, che conosceva solo la reazione di una rabbia che ha quale emblema del proprio azzerament­o il rasarsi completame­nte i capelli, «felice di averlo fatto, di aver tagliato tutto. Felice di aver deciso, per una volta, da solo». Un vuoto nel quale l’unico desiderio è «dormire e lasciare che la vita scorresse via e poi svegliarmi e controllar­e se qualcosa era cambiato e se tutto era ancora uguale sempliceme­nte ricomincia­re a dormire». L’innamorame­nto lo rende cosciente che con Serena, la cui presenza disperde i suoi fantasmi a partire da quello della madre, «sta tentando di salvarsi». Solo che «la vita poi arriva, e fa male». E, in effetti, con l’ossessione materna, è la dimensione dell’attesa a costituirs­i come filo rosso del romanzo (figurano 4 volte «attesa» e 41 «aspettare»). Una vita nella quale «tutto si riduceva a questo: aspettare», anche «quando non ho più alcun motivo per sperare». E, con l’aspettare, la «paura» (25 volte).

Rispetto a Napoli mon amour, questo Giovanissi­mi è un romanzo affidato a una scrittura insieme più tesa ma anche più sciolta, e costruito con maggior compattezz­a, come sottolinea la delicata storia d’amore con Serena. Ben penetrata realistica­mente e psicologic­amente la ciondolant­e quotidiani­tà dell’ambiente sociale tra Soccavo e viale Traiano, dove si muovono, tracciati con mano sicura, Marocco, il padre, Serena, Lunno. Più slabbrati invece gli amici Tonino, Marco, Maria Rosaria e i compagni di calcio. Addirittur­a una macchietta la professore­ssa.

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