Corriere della Sera - La Lettura

Arriva la bufera e con la bufera anche gli incubi

Spagna Dolores Redondo torna con una storia nera ispirata all’uragano Katrina che devastò New Orleans nel 2005. «Gli uomini ovunque condividon­o paure identiche»

- di ELISABETTA ROSASPINA

Parrebbe ovvio: «Nessuno ha dir i t to di ucc i dere co l o ro c he l’uragano ha risparmiat­o». Ma niente è ovvio nei thriller della scrittrice basca Dolores Redondo; e, in particolar­e, in queste nuove 600 e passa pagine che, intitolate Il lato nord del cuore (DeA Planeta), trasportan­o il lettore nell’occhio del ciclone. Uno dei sei più forti nella storia degli Stati Uniti: l’apocalitti­ca Katrina, che 15 anni fa devastò New Orleans e falciò 1.836 persone. Più o meno. Perché non si può essere mai certi che un altro assassino non si mimetizzi nella tempesta, scaricando sulla furia degli elementi la responsabi­lità di alcune sparizioni o di qualche feroce delitto. Qualche «famiglicid­io», per esempio.

L’autrice di Tutto questo ti darò, ambientato in Galizia e decorato nel 2016 con il Premio Planeta (il più ricco di Spagna) e, nel 2018, con il Premio Bancarella in Italia, riporta al centro della scena la brillante detective Amaia Salazar, del Dipartimen­to di Polizia della Navarra, e altri personaggi della Trilogia del Baztán, già promossa anche al grande schermo in Spagna ( Il guardiano invisibile, Inciso nelle ossa e Offerta alla tormenta, pubblicati da Salani). Ma con un salto nel passato, al 2005, quando la giovane ed enigmatica vice ispettore lascia la sua vallata natale, nei Pirenei Atlantici, per indagare assieme all’Fbi oltreocean­o.

Sulle tracce del misterioso serial killer, «il compositor­e», che sembra muoversi perfettame­nte a suo agio in mezzo alle catastrofi, Amaia lascia affiorare cupi ricordi infantili, sepolti nella sua anima da quando, dodicenne, si era persa nei boschi della sua terra per 16 ore ed era stata ritrovata a 30 chilometri di distanza, fradicia, esangue e febbricita­nte. Che cosa lega passato e presente, il fiume Baztán e il Mississipi? Esoterismo, superstizi­oni, gli spiriti della notte, il gaueko, perfino gli zombie, certificat­i dalla scienza con la Sindrome di Cotard, la convinzion­e di essere morti quando si è ancora vivi. E un a s s a s s i no s er i a l e re a l mente es i s t i to . «Amo mescolare il fattore magico a quello scientific­o, per il lettore più razionale», spiega l’autrice che «da cattolica» crede agli esorcismi ma non ai riti vudu.

L’umanità soffre degli stessi incubi a qualunque latitudine?

«Un filo culturale unisce Pamplona a New Orleans, ed è particolar­mente evidente nelle celebrazio­ni annuali di San Fermín. Le immagini della corsa dei tori sono identiche, tanto che diventa difficile distinguer­e a quale città si riferiscan­o. E poi ci sono i miti, le leggende, la magia nera e le credenze, che si assomiglia­no tutte, anche a migliaia di chilometri di distanza. Gli esseri umani hanno tante paure comuni: la morte, l’incertezza dell’oscurità, la perdita improvvisa di un figlio apparentem­ente sano, i demoni che uccidono i neonati. Già gli antichi Sumeri accusavano il diavolo di bersi il respiro dei bambini. Certi fantasmi sono diffusi in tutto il mondo».

«Il compositor­e», però, è una figura reale.

«Sì. Mi sono ispirata a John List, un criminale americano che pianificò lo sterminio di tutta la sua famiglia ed è poi sfuggito alla giustizia per 18 anni. Ho visto un documentar­io su di lui e sono rimasta affascinat­a dalla storia. Forse negli anni Settanta e Ottanta era più facile far perdere le proprie tracce, comunque List si limitò a falsificar­e i propri documenti e poi condusse una vita identica alla precedente. Non si nascose. Si risposò. Continuò a lavorare come impiegato e non cambiò nulla del proprio aspetto, nè il taglio di capelli e nemmeno la montatura degli occhiali. Mantenne lo stesso modello di auto e lo stesso stile di vita che conduceva prima di uccidere la moglie, la madre e i tre figli. Non aveva le smanie di protagonis­mo di molti assassini seriali. Tanta normalità mi ha colpito. Fu catturato soltanto perché il suo volto, virtualmen­te invecchiat­o al computer, fu riconosciu­to da una vicina che guardava alla tv un programma sui killer più ricercati d’America».

C’è sempre molta pioggia nei suoi libri ma questa volta addirittur­a un uragano: perché proprio Katrina?

«Katrina è stata la madre di tutte le tormente. Avevo deciso di rivelare il passato di Amaia ai lettori cui già l’avevo presentata, assieme agli altri personaggi, Aloisius Dupree, Nana, Johnson. E volevo che ciò avvenisse nel momento in cui Katrina si era abbattuta su New Orleans. Amo quella città per le sue radici e la sua cultura europea. La catastrofe mi fece molto male e presi un impegno con me stessa fin dal 2005: non volevo descrivere soltanto la distruzion­e, ma raccontare come il governo statuniten­se avesse trattato una parte della popolazion­e, abbandonat­a per cinque giorni al proprio destino, cioè i poveri, gli anziani, i neri. Fu una questione di discrimina­zione e di razzismo. Mentre a poche miglia di distanza, nelle zone residenzia­li e turistiche, la vita riprendeva, ci vollero le proteste internazio­nali perché i soccorsi arrivasser­o nei quartieri negletti, costruiti con materiale scadente dal corpo ingegneri dell’esercito. Se non con Katrina, quei muri sarebbero crollati all’uragano successivo. Erano come bombe a orologeria».

Il caos del cataclisma non aiuta nemmeno gli investigat­ori impegnati a districars­i tra paludi e misteri.

«Devono affidarsi all’intuizione. Studiare la tipologia delle vittime per risalire all’omicida. Nei giorni dell’uragano Katrina furono commessi molti crimini e abusi. Si poteva uccidere per una bottigliet­ta d’acqua e i lupi si mescolavan­o nel gregge di pecore. Mi ha fatto pensare alla guerra nei Balcani, dove i più crudeli non erano i militari, ma persone normali che avevano svolto fino a quel momento profession­i qualunque e che si trasformav­ano in sadici, lieti di abbandonar­si alla barbarie senza più freni inibitori. In mezzo a tanti cadaveri, che non vengono sottoposti ad autopsia, è facile nascondere le prove di un crimine. Anche un’epidemia, come quella del Coronaviru­s, può funzionare benissimo in questo senso. Lo scenario di Katrina è reale ma riporta a un’epoca vittoriana».

O più esattament­e?

«Ai racconti di Edgan Allan Poe e ai poliziesch­i di Sherlock Holmes. Gli inquirenti non dispongono ancora dei laboratori forensi e delle analisi scientific­he attuali, seguono l’istinto. Ne Gli assassinii

della rue Morgue di Poe, il colpevole sembra essersi volatilizz­ato dall’appartamen­to delle vittime, chiuso dall’interno, finché il detective non scopre che il responsabi­le è un orango, sfuggito al proprietar­io ed entrato dal balcone. Ora basterebbe analizzare un pelo rimasto sulla scena del delitto per scoprirlo».

Ha cominciato davvero a scrivere «Il lato nord del cuore» prima ancora che «Tutto questo ti darò» arrivasse in libreria?

«Un’idea permane molto tempo dentro di me. Comincio un nuovo romanzo prima di promuovere il precedente perché ho il terrore di tornare a casa e trovarmi davanti il vuoto, la pagina bianca sul computer. La promozione di un libro può dare il capogiro e può distrarre dal lavoro: noi scrittori siamo esseri solitari, non attori. Dopo tante emozioni abbiamo bisogno di un porto dove tornare. Non ho mai avuto problemi a immaginare una trama ma c’è stato un momento in cui ero nervosa. Giravo per casa e mio marito mi chiedeva: che ti succede? Non ti diverti più? Ero in dubbio su quale storia scegliere fra quelle che avevo in mente. Così lui mi disse: vai a New Orleans e capirai. Andai e lì iniziai a scrivere».

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