Corriere della Sera - La Lettura
Le teste di bronzo dello sfacciato Bernini
Tesori (nascosti) Amsterdam dedica al «Barocco romano» una mostra che ospita quattro sculture dorate, quasi mai viste, che l’artista realizzò per il tetto della sua carrozza privata. Dicono molto di un’epoca — e di un uomo — esagerati
Sono quattro teste di bronzo dorato che Gian Lorenzo Bernini plasmò osservando lo stesso modello. Al te 1 5 ce nt i metri , montate su colonne di marmo colorato, le hanno viste in pochi perché fanno parte della collezione privata dei discendenti dell’artista, i quali ora consentono al Rijksmuseum di Amsterdam di esporle nella mostra Caravaggio-Bernini. Barocco a Roma, aperta dal 14 febbraio al 7 giugno.
Queste quattro teste con la bocca urlante e gli occhi stravolti esprimono in pieno il senso del Barocco, il cui motto era «uscir di regola». Cioè, esagerare. E nessuno più di Bernini amava eccedere sia nell’arte che nella vita. Nato nel 1598, a vent’anni aveva già scolpito una testa dai tratti somatici sconvolti, intitolata Anima dannata, conservata ora nell’Ambasciata di Spagna: quel volto di un uomo che grida di dolore ricorda il Ragazzo morso da un ramarro, capolavoro di Caravaggio, altro genio dell’epoca barocca.
Bernini modellò le teste urlanti usando argilla o terracotta. Per formare le ciocche di capelli lavorò con indice e pollice, lasciando le sue impronte sui bozzetti prima di portarli in fonderia. Le fece per sé stesso. Le fissò ai quattro lati del tetto della sua carrozza privata. I curatori della mostra le hanno messe in bella evidenza perché descrivono bene il temperamento spavaldo dell’artista. Bisogna immaginarlo mentre percorreva in carrozza le vie della città con quelle teste dorate scintillanti al sole, vanitoso, arrogante, si comportava come se fosse il re di Roma.
A quindici anni già traeva dal marmo figure straordinarie. Il cardinale Scipione Borghese, conquistato dal talento del ragazzo, gli commissionò la prima grande opera: Enea, Anchise e Ascanio, che oggi si ammira nella Galleria Borghese, con Anchise sulle spalle di Enea e il piccolo Ascanio aggrappato alle gambe del padre. Un gruppo marmoreo che raffigura
le tre età dell’uomo. Il giovane Gian Lorenzo lo scolpì in pubblico, con gli spettatori che applaudivano e poi diffusero la leggenda dello scultore che «il marmo divora e non dà mai colpo a vuoto».
Scipione Borghese gli commissiona anche Apollo e Dafne. Bernini ci lavora tutto il giorno e la sera lo portano via a forza perché non vuole staccarsi dalla statua: «Ne sono innamorato». Riesce a dare al marmo un senso di morbidezza tale che le mani, come nel Ratto di Pro
serpina, sembrano stringere davvero car
ne viva.
Nel corso della sua vita, sul trono di Pietro si susseguono otto papi e tutti lo adorano, lo proteggono. Ha 23 anni quando Gregorio XV, Alessandro Ludovisi, lo accoglie ogni domenica a tavola. Pranzano insieme. Bernini mangia sempre un pezzo di carne e frutta. È un abile affabulatore, intrattiene il papa con pettegolezzi e maldicenze sugli altri artisti, gli rivela le tariffe da loro applicate per ogni opera. Un comportamento che considera volgare, lui non chiede, non fissa tariffe: accetta offerte, che di regola sono altissime, tali che lui non può rifiutarle. È furbo, fiero, avido di danaro. Diventa ricchissimo, mantiene l’amante Costanza Piccolomini, vive come un principe in un grande palazzo con la moglie Caterina Tezio che gli partorisce undici figli. Stipendia due cuochi e vari servitori. «Bravissimo — diceva di lui Federico Zeri — ma cinico. Sa che i suoi committenti, i suoi fan vogliono essere storditi dalle sue creazioni. E lui li serve a piacimento». E si fa anche gioco di loro. Spregiudicato, si beffa dei re e fa scherzi ai papi. Come quando Innocenzo X il 12 giugno 1651 si presenta a piazza Navona per l’inaugurazione della Fontana dei quattro fiumi. Rimane a bocca aperta. Ma non capisce perché manchino i getti d’acqua. Un guasto, si scusa Bernini. Il papa se ne sta andando un po’ deluso. Allora Bernini fa cenno di aprire l’acqua ed è subito un festoso scrosciare. Il papa torna indietro e abbraccia l’artista. Lo chiama Cavaliere: «Con questo gioco mi avete allungato la vita di dieci anni».
Se l’imperatore Carlo V, come gesto di profonda ammirazione, raccoglieva il pennello caduto a Tiziano, papa Urbano VIII regge lo specchio per Bernini che scolpisce il David e specchiandosi lo fa con la sua faccia. Ama la sua arte, ma soprattutto sé stesso. Nessuno dev’essere pari a lui. Siccome il pittore Pietro da Cortona riceve alti compensi da Alessandro VII, Gian Lorenzo protesta con il pontefice: «Pietro guadagna troppo».
In Francia Luigi XIV, il re Sole, sogna una sua statua scolpita da Bernini. Lo manda a prendere con un corteo di carrozze. A Parigi lo copre d’oro, gli assegna perfino un vitalizio di 6 mila ducati all’anno e fa coniare una medaglia in suo onore. Il cardinale Richelieu gli dona un gioiello con più di trecento diamanti. Ma gli architetti francesi, colmi di rancore, lo detestano. Nessun artista è stato mai invidiato e odiato più di lui. Quando disegna la facciata del Louvre, scopre che i francesi la modificano. Allora manda al diavolo il re e Parigi e se ne torna a Roma.
È scultore, pittore e architetto. Con lui Roma cambia volto. Si arricchisce del colonnato di piazza San Pietro, sorgono palazzo Pamphilj a piazza Navona, palazzo Barberini, Montecitorio, la Chiesa di Sant’Andrea al Quirinale. E la basilica di San Pietro accoglie il baldacchino con le colonne di bronzo ritorte. È la celebrazione di una religiosità spettacolare.
I potenti dell’epoca invidiano a Bernini anche quella carrozza con le quattro teste dorate. Il re di Spagna gli chiede di disegnarne una per lui. Un’altra la vuole papa Alessandro VII che gli raccomanda di farla raffinata per regalarla alla regina Cristina di Svezia che nel 1655 si stabilisce a Roma. Alla consegna della carrozza, l’artista dice a Cristina con l’abituale irriverenza: «Tenete a mente che è opera mia».
Nel 1680, pochi giorni prima di compiere 82 anni, muore assistito da papa Innocenzo XI e Cristina di Svezia.