Corriere della Sera - La Lettura
Orazio Borgianni arte e liti del prediletto
Riscoperte Frequentò la stessa Roma di Caravaggio, fu accusato di delitti molto simili: una mostra a Palazzo Barberini racconta il pittore preferito da Roberto Longhi, che forse ispirò Pasolini nel suo «Compianto» di «Mamma Roma»
Liti violente, rancori, odi, bassifondi, aggressioni, perfino omicidi, a volte riusciti e a volte solo tentati. Tutti elementi «di casa» — stando alle testimonianze del tempo — nei movimentati ambienti artistici della Roma d’inizio Seicento. Il fattaccio più noto è certamente quello che riguarda Caravaggio, genio ribelle in fuga dalla Città eterna dal 28 maggio 1606 per evitare di farsi arrestare dopo l’omicidio di Ranuccio Tomassoni, forse per una contesa di gioco nel salone della pallacorda in Campo Marzio.
Ma c’è, o almeno ci sarebbe, un altro (tentato) omicidio celebre, nella stessa città e in quegli stessi anni, che intreccia i destini della storia dell’arte con la «esse» maiuscola. Ed è quello che coinvolgerebbe, come presunto mandante, un altro grande pittore del XVII secolo, Orazio Borgianni (1574-1616), cui la Galleria nazionale di Arte Antica-Palazzo Barberini dedica, dal 6 marzo, una mostra: la prima monografica in assoluto dedicata a questo artista, curata da Gianni Papi con il coordinamento generale di Michela Ulivi. Titolo della rassegna, Orazio Borgianni. Un genio inquieto nella Roma di Caravaggio.
«Coinvolgerebbe», «presunto»: virgolette e cautele obbligatorie perché ad accusare Orazio, vittima lui stesso del tentato omicidio, fu il solito Giovanni Baglione, pittore ma soprattutto celebre biografo di artisti, autore del volume Le vite de’ pittori, scultori et architetti dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642. Fonte attendibile, certo. Ma che nel corso del tempo si è rivelata, non di rado, anche mendace o lacunosa.
«Il 2 novembre 1606 — racconta Papi — Baglione era di nuovo al centro di una questione giudiziaria. Tre anni dopo il famoso processo che aveva visto imputati Caravaggio e i suoi amici, rei di avere divulgato sonetti osceni ai danni del pittore-biografo, lo stesso Baglione denunciava anche Orazio Borgianni e Carlo Saraceni per essere i mandanti di un sicario, Carlo detto il Bodello, di cui niente di più sappiamo, il quale intorno alla fine di ottobre aveva aggredito Baglione con la spada, ferendolo all’uscita dalla messa sui gradini della chiesa di Trinità dei Monti. Negli interrogatori del giudice, Baglione non esita a incolpare i due dell’agguato e addirittura si dichiara convinto della loro intenzione di ucciderlo».
Si ignora a tutt’oggi l’esito di quel processo di quattro secoli fa, i cui documenti superstiti vennero pubblicati per la prima volta da Luigi Spezzaferro nel 1975. Ma nella deposizione, quanto alle motivazioni dell’imboscata, Baglione addita con nome e cognome i colleghi Borgianni e Saraceni «perché erano et sono miei malevoli et aderenti al Caravaggio quale è mio inimico, onde ho inteso che chi gli ha dato una cosa et chi un’altra et l’hanno detto che m’ammazzasse et che portasse la nova al Caravaggio che gli averia data una bona mancia».
Malevolenze, inimicizie e ammazzamenti per bone mance a parte, l’imminente mostra romana ha il pregio di riaccendere il riflettore dell’attenzione e degli studi su un pittore che già nel 1916 Roberto Longhi definiva «il mio prediletto», individuando in particolare
nel «miracoloso» dettaglio della cesta dipinta in primo piano nel quadro Sacra Famiglia con sant’Elisabetta, san Gio
vannino e un angelo (1609) «la più bella natura morta del ’600 italiano e una fra le più belle del ’600 europeo». Lo stesso Longhi collezionerà poi, nel tempo, tre opere di Borgianni, oggi di proprietà della Fondazione che porta il suo nome e tutte visibili nell’antologica romana. Si tratta di una Sacra Famiglia con sant’An
na, di un San Sebastiano inizialmente attribuito a Giulio Cesare Procaccini (ma che lo stesso Papi restituisce alla mano di Borgianni nel 2005) e del Compianto sul Cristo morto con tre dolenti, un’opera in
tima, dolorosa, che riecheggia (anzi «dialoga, sì, ma per contrasto», per usare le parole del curatore) con il famoso Mantegna di Brera. Un quadro, quello di Borgianni, che probabilmente ispirò Pier Paolo Pasolini per la scena finale — quella con Ettore morente nel letto di un carcere-ospedale — del suo secondo film,
Mamma Roma. Al tema è dedicato uno dei saggi in catalogo ( Davanti a un povero Cristo morto. Borgianni tra Longhi e
Pasolini, di Daniela Brogi), in cui si ripercorre l’auctoritas longhiana su Pasolini, suo allievo a Bologna nei primi anni Quaranta. Confermata l’esclusione del modello Mantegna, mai amato da Longhi e respinto anche dallo scrittore-regista «corsaro» in una missiva: «Ah, Longhi, intervenga lei, spieghi lei, come non basta mettere una figura di scorcio e guardarla con le piante dei piedi in primo piano per parlare di influenza mantegnesca! Ma non hanno occhi questi critici?».
Borgianni, un maestro: «Pittore che mai si può dire strettamente caravaggesco» è la tesi di Papi. Il quale ha scelto di impaginare questa mostra tralasciando volutamente gli anni della produzione spagnola e concentrandosi esclusivamente sulla fase romana dell’artista: «Neanche un decennio ma di straordinaria produzione, dal 1606 alla morte». L’intento è dimostrare quanto Orazio fu in grado di elaborare un linguaggio figurativo originale — oltre Caravaggio e il naturalismo, oltre la Spagna e la fascinazione per El Greco, oltre Bologna e il Correggio — in grado di influenzare coetanei e generazioni successive e anticipando, come nel caso di Giovanni Lanfranco, esiti della pittura barocca. E per realizzarlo, questo intento, alle diciotto opere autografe di Borgianni (tre i prestiti internazionali: Cristoforo che trasporta Gesù Bambino, da Edimburgo; lo straordina
rio Cristo fra i dottori del Rijksmuseum
di Amsterdam e la Morte di san Giovanni
Evangelista da Dresda) sono stati affiancati lavori, tra gli altri, di Carlo Saraceni, Antiveduto Gramatica, Giovanni Serodine e dello stesso Lanfranco.
C’è, in mostra, anche quel che resta
della Pala d’altare che raffigura la Visione di san Francesco d’Assisi, quadro di Borgianni inserito tra i super-ricercati della storia dell’arte. L’opera, trafugata nel giugno 1976 a Sezze, nel Lazio, fu ritrovata l’anno successivo a Bergamo, ridotta a circa un quarto della sua superficie originaria, come si evince dal confronto con l’antica documentazione fotografica.