Corriere della Sera - La Lettura
Gregor Samsa siamo noi Cosa ci ha trasformati?
Dopo avere diretto «1984» di Orwell, il regista Matthew Lenton porta in prima assoluta a Cesena «La metamorfosi» di Kafka. Perché lo scarafaggio...
Durante la notte Gregor Samsa si è trasformato in un gigantesco scarafaggio. Mentre la madre e la sorella bussano invano alla porta della sua camera, preoccupate per l’insolito ritardo, Gregor, sdraiato sul dorso, prova disperatamente a mettersi sulle zampe. Ma come reagiranno i suoi familiari vedendolo nelle nuove, mostruose sembianze? Pubblicato nel 1915, La metamorfosi di Franz Kafka incarna tutta la tragicità della condizione umana.
«La Lettura» ne ha parlato con Matthew Lenton, regista scozzese fondatore della compagnia Vanishing Point, che dopo aver diretto 1984 di Orwell, torna a collaborare con Emilia-Romagna Teatro Fondazione portando in scena proprio il racconto di Kafka. Una coproduzione internazionale in prima assoluta al Teatro Bonci di Cesena il 28 e 29 febbraio.
Quella di Kafka è una storia spaventosa...
«Nel mio spettacolo ci sarà una buona dose di umorismo, anche se naturalmente si tratta di un umorismo nero. Siamo ancora in prova, ma spero che entrambi gli elementi trovino il loro spazio nella messinscena».
Quali elementi ha conservato del racconto di Kafka nella sua creazione?
«C’è uno “scarafaggio” anche se, come nel racconto, è uno scarafaggio che chiede di essere immaginato dal pubblico/lettore. È questa la vera forza della storia. Kafka scrisse all’editore Kurt Wolff: “L’insetto non può essere raffigurato, non deve essere mostrato neppure da lontano”: solo così chi guarda, o legge, può identificarsi con l’alienazione che Gregor Samsa prova dopo la sua trasformazione. Sapere esattamente cosa Gregor è diventato, o vederlo troppo chiaramente, crea un distacco. Si può dire: “Oh, ma questo non sono io, è qualcun altro”. Ma l’insetto potresti essere tu, la storia parla di tutti noi e di quello che potrebbe succedere a chiunque di noi».
La paura del «diverso»...
«L’idea dell’“alterità” è importante: quanto è facile per qualcuno sentirsi diverso dagli altri ma, più ancora, quanto è facile per tutti gli altri avere paura di qualcuno a causa della sua diversità. Quanto è facile per la maggioranza avere paura della minoranza. È complesso — ci fa capire perché la maggioranza può avere paura —, Gregor Samsa si trasforma in un enorme insetto, dopotutto. Non saremmo spaventati da un insetto gigante in casa nostra, anche se era nostro fratello? Come reagiremmo? Con coraggio? Quando esauriremmo amore e pazienza? Mettere lo spettatore nella mente di Gregor ne suscita la compassione. Lo pone di fronte alla domanda: “E se fossi io? Come vorrei che gli altri reagissero?”. Kafka ci dice molto su quanto sia difficile ascoltare ed entrare in empatia, di quanto nel nostro mondo l’empatia venga erosa, in particolare per quanto riguarda la paura degli immigrati. Mi sembra un tale fallimento dell’immaginazione non riuscire a calarsi nei panni di un altro, con bisogni molto più grandi dei tuoi! Ma lo spettacolo ha a che fare anche con la precarizzazione del lavoro, con la schiavitù economica nel capitalismo in fase avanzata, con la monetizzazione di qualunque cosa. Tutto dipende dal profitto, a scapito dell’esperienza umana, della gioia.
Cosa vedrà lo spettatore in scena?
«Un mondo di oscurità e luce, di suono amplificato e voyeurismo. Ma stiamo ancora creando lo spettacolo, non so dirlo con esattezza».
La scomparsa della voce di Gregor, le conversazioni spiate dietro la porta, il violino della sorella... Il suono è fondamentale nel testo di Kafka. Lo sarà anche nello spettacolo?
«Sì, spero abbia un ruolo importante. Sarà parte del tessuto e della forma dello spettacolo. Ad esempio, l’udito di Gregor da insetto è potenziato, il che rende sia più facile (fisicamente) che più difficile (emotivamente) ascoltare alcune cose che la sua famiglia dice di lui. Sto lavorando con un sound designer geniale, Mark Melville, che ha creato l’universo sonoro per il mondo in cui Gregor è immerso e del precedente 1984 ».
Quando ha letto il libro per la prima volta, quali emozioni le ha suscitato?
«Ero uno studente, ne rimasi deluso. Pensai: è tutto qui? Un uomo si trasforma in un insetto e alla sua famiglia non piace? Vent’anni dopo, con molta più esperienza, mi è sembrato che parlasse del mondo che vedevo attorno a me: una vecchia storia pertinente al nostro tempo».
Se oggi potesse riscrivere la storia di Gregor Samsa, quale sarebbe il finale?
«Un giovane contemporaneo di Kafka, lo scrittore Karl Brand, scrisse un “sequel” della Metamorfosi, pochi anni dopo la pubblicazione del libro. Si intitola La ri-trasformazione di Gregor Samsa. Racconta una sorta di “resurrezione” di Gregor, e prova a immaginare come potrebbe essere per lui rivedere la sua famiglia, il suo reinserimento nella società».
Oltre a Kafka e Orwell, quali altri autori hanno colpito la sua immaginazione?
«Eugène Ionesco è stato il primo autore teatrale che ho amato. Il suo mondo assurdo è unico. Amo anche gli universi di Haruki Murakami, i film di Kubrick e von Trier. Amo chiunque mi trasporti in posti strani, ultraterreni ma credibili».