Corriere della Sera - La Lettura
IL BARCONE VERSO SUD
Vincenzo non aveva detto niente a nessuno, neanche la sera prima alla Messa di mezzanotte quando aveva incrociato tutti i cittadini di Modica, visto che con rarissime eccezioni nessuno saltava la Messa di Natale e i pochi assenti venivano annotati dai presenti, a futura memoria. Se n’era stato lì, stretto nel suo cappotto, nel gelo della chiesa di San Salvatore, con accanto Concetta e, a seguire, in ordine di altezza e di età, le quattro figlie: Rita, Stella, Maria e Chiara. Alla fine della Messa aveva fatto la solita offerta importante di Natale, aveva acceso una candela e sommessamente espresso quel desiderio inestinguibile di cui si vergognava: un figlio maschio, Signore, se lo merito.
Non aveva detto niente a nessuno perché non ne aveva parlato con Concetta. Non che parlarne significasse discuterne. La decisione era presa e Concetta l’avrebbe accettata, come quando aveva lasciato quel lavoro di maestra che amava tanto per sposarlo e crescere le figlie. Lui però non voleva che sua moglie venisse a sapere da altri quanto la loro vita e il loro destino stesse per cambiare completamente e per sempre.
Aspettò la fine del pranzo del giorno dopo, Natale. Nella loro bella casa comprata da un forestiero che a sua volta l’aveva vinta al gioco da un nobile che ne aveva troppe. Attese che fossero intorno alla tavola imbandita, quando Vannuzza servì la cobaita col sesamo e il miele che lei preparava una volta l’anno, per il pranzo di Natale. Vincenzo aveva già dovuto allentare il nodo della cravatta per il caldo del camino e del vino rosso, anche se non aveva toccato l’agnello. Erano gesti inconsueti per lui, sempre così attento ad avere un aspetto ordinato. Aspettò dopo il caffè, quando suo fratello Raffaele e i suoi si ritirarono nell’altra parte della casa e restò con le sue cinque donne. Concetta era seduta di fronte a lui, sul lato corto del tavolo rettangolare, Rita e Stella su un lato, Maria e Chiara sull’altro.
«Devo dirvi una cosa. Resta anche tu, Vannuzza, e chiama anche Pietro dalla cucina, riguarda anche voi».
Calò il silenzio. Vincenzo era cordiale ma non loquace e gli unici due annunci che aveva mai fatto riguardavano l’obbligo della Messa ogni domenica e meglio ancora ogni giorno alle sette, con lui, prima che lui andasse in Banca e loro a scuola. Dalla Messa quotidiana era esentata Concetta per via dei suoi polmoni che a quell’ora di mattina potevano soffrire.
«Come sapete, da quando due anni fa quelli lì hanno favorito quelli là, il lavoro qui a Modica è diminuito, il commercio non va bene».
Quelli lì erano i fascisti, ma in realtà si trattava di una persona ben precisa, il deputato fascista che era di Ragusa. E quelli là erano i ragusani odiatissimi. Senza Dio e odiatissimi erano termini che un fervente cattolico come Vincenzo non avrebbe mai pronunciato, tanto meno in presenza delle bambine. Per cui quelli lì e quelli là. Nessuno fiatò, Vincenzo proseguì.
«Un buon cristiano deve lavorare. Per mantenere la sua famiglia non può fare il bandito. Pare che anche il prefetto Mori se ne torni a Roma, e a quel punto qui in Sicilia resterà solo quel lavoro lì, che io non farò mai».
Il prefetto Mori, il prefetto di ferro, li aveva combattuti strenuamente i mafiosi e Vincenzo faceva quasi fatica con sé stesso ad ammettere che quell’uomo eccezionale fosse fascista.
«Per cui andiamo via da qui. Per sempre».
Le parole caddero nel silenzio. Nessuno osava chiedere dove andiamo, come, quando. Concetta aspettava che fosse Vincenzo a dirlo, le bambine erano troppo piccole per comprendere appieno la portata di ciò che il padre aveva appena comunicato.