Corriere della Sera - La Lettura

«I leoni ci mangiano?». I leoni non vivono in città. «E quelli che sono?». Cammelli. «No, papà, dromedari »

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gno, i Muccio hanno solo due stanze in sette, le altre due sono di quattro suore, cucina e bagno a turno. Con l’obbligo non scritto di dividere la poca farina che arriva con le suore che ci devono preparare le ostie per il parroco padrone di casa. Rita rialza gli occhi dal piatto. Lei è quella che va a Messa col padre tutti i giorni, non solo la domenica. È quella che è già diplomata e fa studiare le quattro sorelle per prepararsi all’esame da privatiste. È nel cuore di Vincenzo, può permetters­i di affrontarl­o.

«Non fanno ostie, si mangiano tutto. Ho detto al parroco che la farina non gliela portiamo più».

Il giorno dopo il parroco avvisa Vincenzo che devono arrivare altre suore da Tripoli, per loro non c’è più posto in casa. E allora? C’è il vecchio capannone dell’oleificio.

«Ma ha il tetto di lamiera che bolle, ci volano dentro i pipistrell­i, non ha un portone, entrano scorpioni, scarafaggi, volendo anche un leone. E in quell’ambiente come possono studiare le mie figlie? Maria e Stella sono all’ultimo anno, Chiara un anno indietro, Lidia ancora all’inizio delle magistrali».

Il parroco gli fa presente che i leoni lì non ci arrivano e che le sue figlie, caro signor Muccio, se lo devono levare dalla testa di studiare, leggessero più vangelo e meno storia. Non c’è altra soluzione, se no tornassero alla loro bella casa a Tripoli sotto le bombe.

Maggio 1942

Quarantatr­é gradi all’aperto, di più sotto quel tetto di lamiera. I Muccio al completo sono seduti intorno al tavolo nella parte più fresca, quella dove il tetto è bucato. Persino i pipistrell­i se ne sono andati. Ma non è quello il problema dei Muccio. Il problema è che i bombardame­nti su Tripoli si sono intensific­ati e le scuole restano chiuse.

«Abbiamo studiato qui dentro tutto l’inverno e la primavera, io e Stella dobbiamo fare l’esame finale!». La protesta di Maria fa allargare le braccia a Vincenzo. «E io che ci posso fare? Mica posso far riaprire la scuola!».

Per una volta Rita non è schierata col padre.

«Hanno studiato tanto, papà. Anche Chiara. Non possono perdere l’anno».

Ora il colpo decisivo, quello di Concetta.

«Zia Remondina e zia Grazietta possono ospitarle a Modica. Lì la scuola è aperta, non c’è la guerra. E possono fare gli esami da privatista».

«E come ci andate in Sicilia? A nuoto?».

Le sei donne di casa ne hanno già parlato tra loro. «C’è l’idrovolant­e da Tripoli a Marsala», risponde Concetta.

Vincenzo scuote il capo.

«Non c’è più dall’estate scorsa».

«Fanno ancora una corsa, il 6 giugno, e una di ritorno un mese dopo. Sono rimasti solo tre posti. Tanto Rita ha finito e Lidia è troppo piccola».

«Ma siete pazze? C’è la guerra sul Mediterran­eo!». Concetta gli sorride.

«Le ragazze hanno il diritto di studiare per poi insegnare a scuola, come ho fatto io, come Rita».

Di colpo Vincenzo Muccio si rende conto di qualcosa che non aveva mai ben capito, pur sapendola dentro di sé: lui è il capofamigl­ia rispettato e amato, ma quelle sei donne sono molto diverse dall’idea che aveva delle don

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«Scendono giù dalla collina — scrive Roberto Costantini — Stella in bicicletta e
Maria coi pattini. Giù sino a Modica e poi sino al mare, alle spiagge dell’estate più lunga della loro vita». È il luglio del 1942. Nell’altra pagina il primo foglio della lettera autografa che Chiara Muccio scrive a zia Grazietta, zia Remondina e zia Giovannina dopo il rientro in Libia. La lettera è datata in calce 16 settembre 1946
Le immagini «Scendono giù dalla collina — scrive Roberto Costantini — Stella in bicicletta e Maria coi pattini. Giù sino a Modica e poi sino al mare, alle spiagge dell’estate più lunga della loro vita». È il luglio del 1942. Nell’altra pagina il primo foglio della lettera autografa che Chiara Muccio scrive a zia Grazietta, zia Remondina e zia Giovannina dopo il rientro in Libia. La lettera è datata in calce 16 settembre 1946

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