Corriere della Sera - La Lettura
Così animo gli oggetti inanimati: i miei robot
Jeong Geumhyung
C’è qualcosa di ossessivo e infantile nel modo in cui Jeong Geumhyung lavora alle sue installazioni. A Modena, all’interno della Palazzina dei Giardini, quest’artista di Seul ha riempito cinque sale con le sue «cose». Manichini e protesi, cavi e circuiti stampati, ruote, staffe metalliche e altri componenti meccanici. L’effetto è a metà tra il laboratorio di Frankenstein e la stanza dei giocattoli. Sono oggetti che questa performer — alla quale la Fondazione Modena Arti Visive ha commissionato un’installazione nell’ambito della prima personale in Italia, che inaugura venerdì 28 — ha acquistato su siti specializzati.
Le procedure di sdoganamento, anche a causa del coronavirus, sono durate più del previsto, così a pochi giorni dall’apertura di Upgrade in progress Jeong è ancora presa dall’allestimento. E sembra non avere attenzione che per i suoi «robot», macchine dotate di arti e busti di plastica, che va assemblando con cura maniacale. Una dedizione quasi religiosa visto che — proseguendo una riflessione avviata con precedenti lavori a Londra, Basilea ed Ekaterinburg, in Russia — questi umanoidi amatoriali sono un prolungamento del suo corpo, e l’artista è parte dell’opera.
«Ho studiato recitazione e danza, prima di cominciare con queste performance nel 2004, ispirata dal teatro di marionette e dai film d’animazione», racconta Jeong. «Mi interessavano le tecniche di movimento degli oggetti inanimati. Volevo animarli con il mio corpo e duettare con loro». Da allora questa coreografa e performer, classe 1980, ha approfondito il tema dell’interazione con gli oggetti che ci circondano, e del controllo a distanza. Un tema ambiguo, soprattutto nelle sue implicazioni tecnologiche: siamo noi a controllare le macchine, o loro a controllare noi?
In forma giocosa Jeong mostra la tecnologia che modella le nostre percezioni, e condiziona le scelte, mettendoci di fronte a un destino di solitudine in un mondo dominato da oggetti. Sperando che sia solo un’opera d’arte, e non il futuro che ci aspetta.