Corriere della Sera - La Lettura
Un romanzo (forse) in 500 racconti
L’opera-monstre di Régis Jauffret, per molti in patria pari a Carrère e Houellebecq
L’editore che lo pubblica in Italia, il fiorentino Clichy, presenta Régis Jauffret come il terzo dei tenori francesi, superiore a Emmanuel Carrère e Michel Houellebecq nel raccontare «i lati meno apparenti, meno accettabili, meno morali, quindi più veri dell’essere umano»; è lo stesso Tommaso Gurrieri, patron della casa, a firmare la traduzione di questo Microfictions nonché una lettera per i librai, parlando di un «punto di non ritorno della narrazione» come lo sono stati Tropico del Cancro di Miller e Sotto il vulcano di Lowry.
Non è il solo a volare alto. «Le
Monde» pone Jauffret oltre il minimalismo di Raymond Carver, «Le Magazine Littéraire» lo bolla come il più grande scrittore vivente. Di certo è mastodontico il libro, nelle intenzioni e nella mole, oltre mille pagine per 500 racconti di pressoché identica lunghezza, brevi e indipendenti ma fusi tra loro: mariti, mogli, figli, diversi scrittori, persone depresse o esaltate, malate, perverse, vittime e carnefici, sangue del nostro sangue. Un gigantesco affresco realizzato con un piccolo pennello, tanto che la specifica «racconti», presente in copertina (e comunque corroborata dal Prix Goncourt di categoria), va a sostituire la dicitura roman che venne scelta nell’edizione Gallimard: il corpo tiene, organico e unitario, al cospetto di singole cellule che reclamano vita propria.
Régis Jauffret, marsigliese classe 1955, ha debuttato sui trent’anni e presto si è fatto notare da pubblico e critica, basti vedere i premi che conquista fin dalle prime opere. In Italia era già approdato con Clichy, si vedano i romanzi Dark Paris Blues (2016) e Cannibali (2017). E si veda Il banchiere (Barbès 2011, Clichy 2018), incentrato sul caso del banchiere
Edouard Stern, ucciso a pistolettate in circostanze da giallo torbido, nonché L’inferno e ritorno (Piemme 2014, già fuori catalogo), altra fiction verità stavolta su Josef Fritzl, criminale austriaco condannato per sequestro e stupro della figlia e dell’omicidio di uno dei bambini figli dell’incesto.
Questo per capire la perdizione, la disperazione, il declino, le storie che piacciono a Jauffret. Nel nuovo Microfictions (titolo originale in Francia Microfictions 2018, a smarcarlo dal precedente Microfictions, uscito nel 2007 con simili intenzioni) ne sciorina appunto mezzo migliaio. E non è necessario consumarle tutte al volo, anzi, a piccole dosi possono diventare contagiose, mentre l’ingordigia svelerà (ovviamente) il meccanismo oltre la magia: io narrante immerso nella scena/vita, tono in bilico tra disincanto e cinismo, squarci di passato e di contesto, lampi dialogici che fungono da detonatori. Incipit a orologeria: «La solitudine fa un rumore di frigorifero che parte ogni venti minuti», «Come previsto, Germain era tornato da scuola radioattivo», «A quattordici anni avevo l’ambizione di diventare Proust». E un finale spesso fatale: «Senza farlo apposta le avevo dato il bacio della morte».