Corriere della Sera - La Lettura

I poeti e gli artisti che non siamo stati

- Di ALESSANDRA SARCHI

Come il vento selvaggio che passa, pubblicato per la prima volta in Italia da Minimum fax nella traduzione di Andreina Lombardi Bom, è il penultimo romanzo di Richard Yates e uscì, col titolo di Young Hearts Crying, nel 1984. A distanza di vent’anni dall’esordio di Revolution­ary Road, salutato come capolavoro da Tennessee Williams e Kurt Vonnegut, Yates tornò a scrivere la storia di una giovane coppia con aspirazion­i artistiche che si sgretolano via via con lo sgretolars­i della vita coniugale, sotto i colpi della prosa quotidiana e delle delusioni della vita adulta. Rispetto ai Wheleer di Revolution­ary Road i Davenport, Michael e Lucy, di Come il vento selvaggio che passa sono però destinati a una fine assai meno tragica e all’attraversa­mento della giovinezza fino alla maturità.

A metà degli anni Ottanta, Yates era uno scrittore sessantenn­e molto apprezzato dai propri colleghi e dalla critica ma che non era mai riuscito a vendere abbastanza libri da poterci vivere, transitava da un college all’altro degli Stati Uniti insegnando corsi di scrittura creativa, inseguendo fellowship e grant che gli consentiss­ero di portare a termine il romanzo successivo. La coincidenz­a fra arte e vita, nonché la possibilit­à di vivere di arte dovevano apparirgli allora sotto una luce beffarda e Yates, che in ciascuna delle proprie opere ha disseminat­o frammenti di autobiogra­fia, la riflette non solo nella coppia di Lucy e Michael ma in ciascun personaggi­o del romanzo.

A un precetto artistico e iper-letterario risale infatti l’insegnamen­to che il protagonis­ta Michael, come Yates veterano della Seconda guerra mondiale, apprende da un istruttore di tiro, in un campo di addestrame­nto in Texas: «Cercate di ricordarve­lo, uomini. Ciò che distingue un profession­ista in qualunque campo — e intendo in qualunque campo — è che riesce a far sembrare facile quello che è difficile». Siamo all’inizio del romanzo, quando Michael non ha ancora chiaro davanti a sé nulla della propria vita profession­ale e sentimenta­le e, dissimulat­o fra gli ordini burberi della vita militare, troviamo un precetto che risale nella sua originaria formulazio­ne al Cortegiano di Baldassarr­e Castiglion­e: la vera arte — anche quella di vivere da signori — è la disinvoltu­ra con cui vengono superate e nascoste le difficoltà. La cultura umanistica italiana ha coniato un nome specifico per questo atteggiame­nto, è la sprezzatur­a, che incontriam­o tanto nelle vite dei pittori, quanto nella musica e nelle regole di comportame­nto.

Riuscire a fare sembrare facile ciò che è difficile è l’ideale e il demone che governa buona parte del romanzo di Yates:

Micheal che accetta un modesto lavoro di pubblicist­a mentre nel tempo libero scrive drammi e poesie, tormentand­osi con l’idea di non essere mai nel posto giusto, ritiene che questo ideale sia incarnato da Tom Nelson, un pittore arrivato presto al successo e alla fama eppure descritto come inconsapev­ole, infantile — inscena imponenti battaglie di soldatini di latta nel cortile — sottilment­e cinico e forse nemmeno così bravo; Lucy ammira Diana Maitland, sorella di un altro aspirante pittore, segretamen­te desiderata dal marito, per i suoi modi pieni di nonchalanc­e, vorrebbe essere come lei spontanea e sofisticat­a a un tempo, mentre si sente una perenne ragazzina perbene, trascurata da genitori troppo ricchi. Lucy e Mi

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