Corriere della Sera - La Lettura

Sette parti di caffè e tre di vodka: ricetta di un legame

Storie Gian Mario Villalta lascia che un sacrestano e l’anziano apprendist­a imparino a parlarsi

- Di GIULIA ZIINO

«Lui e Fredi, questo aveva capito subito, erano soli ma non erano disperati, sapevano dare ordine alla giornata, avere pensieri per ogni cosa, ma avevano perduto la letizia del cuore. Non potevano fare nulla l’uno per l’altro, se è per questo, non c’erano dubbi, ma si erano incontrati». Strana coppia di ultrasetta­ntenni (72 uno, l’altro una decina in più), comprimari in una tragicomme­dia dai toni intimi e profondi, Fredi e Tilio sono i due singolari protagonis­ti di un romanzo singolare non tanto per i temi — sullo sfondo c’è la vita di un piccolo paese come tanti dell’Italia di provincia che va cambiando, sparendo — ma per le voci di questi due, sacrestano e apprendist­a.

Si chiama così, L’apprendist­a, il nuovo lavoro di Gian Mario Villalta, in uscita per Sem. Villalta — poeta, narratore, saggista, direttore artistico di pordenonel­egge — torna nelle sue zone (è nato in una frazione di Pasiano di Pordenone), in quel Nordest che aveva già raccontato due anni fa in Bestia da latte, uscito sempre per Sem. Ma qui cambiano molte cose: lì era il passato, qui il presente con inevitabil­i sguardi all’indietro data l’età dei protagonis­ti. Lì un ragazzino, qui due vecchi. Fredi, il sacrestano in carica, e Tilio, suo aiutante, costretto a 72 anni nelle strane vesti dell’allievo, dell’aspirante che non sarà mai titolare. A Tilio infatti — che pure ogni giorno ne accompagna i gesti sull’altare, aiutandolo ad assistere il Don — Fredi non ha mai permesso di servire messa: un traguardo sognato, atteso, fatto intraveder­e ma mai neanche sfiorato. Neanche quando Fredi si prende inaspettat­amente due giorni di vacanza.

Eppure Tilio conosce ogni angolo di quella chiesa di campagna, che ancora attira qualche turista grazie a una tela dipinta da Tiziano. Da lì, dall’altare, lui e Fredi vedono sfilare il paese: sempre di meno, con le messe che si spopolano un po’ di più ogni domenica che passa, ogni battesimo, ogni funerale, ma abbastanza per poterne ancora raccontare le debolezze, le storie.

Poi, dietro l’altare, le voci di Tilio e di Fredi si fanno più intense: difendendo­si dal freddo con il termos che preparano a giorni alternati («Sette parti di caffè e tre di vodka. Non grappa né rum, ché dopo si sente dal fiato e si passa subito per ubriaconi») raccontano sé stessi, svelandosi poco a poco. Raccontand­osi l’uno all’altro con un pudore antico e la paura di essere ancora giudicati. Bollati dall’altro come li ha già bollati una volta la comunità: Tilio per il suo goffo sentimento dei confronti della «Russa», badante di sua moglie Irma prima che questa morisse, Fredi per un passato non suo, ma di suo padre repubblich­ino, reduce di Salò mai ritornato a casa. Vicende piccole, di paese, quelle di Tilio, con aperture impreviste quelle di Fredi, che chiusi nel passato conserva ricordi lontani, anni passati in Giappone a fare il missionari­o, segreti.

I due si raccontano usando le loro voci: una parlata semplice, nei pensieri e nelle parole. Fredi ci metterà parecchio a rivelarsi, a lasciarsi andare alle confidenze con l’apprendist­a con cui, via via, capisce di potersi aprire. Tilio, meno chiuso, è la voce narrante del romanzo: suoi i pensieri, le riflession­i. Sul paese e la vita che cambia, su quella chiesa che li ospita ogni giorno ma non sempre sembra aprire le porte davvero. Tilio pensa al Vangelo, vuole capire: «Ci aveva sempre tenuto a sapere le cose. Non aveva studiato, ma non vuol dire che ti piace restare ignorante. Anche in fabbrica non c’era nessuno che sapeva tutto come lui sulla verniciatu­ra. Perché si faceva domande, cercava la risposta».

Tilio. Sono la sua ricerca continua, la sua volontà di capire che portano avanti il romanzo, che convincono Fredi a svelarsi. Ad aprire qualche varco nella sua corazza fatta di abitudini immutabili e regole da rispettare, che vanno dalla pulizia dei pavimenti fino al rito della comunione («Ha una tecnica sua per strizzare lo straccio e passarlo per terra pulito senza doversi piegare. Non fa mezzo gesto in più, non lascia un secondo di pausa tra un gesto e l’altro. Pare quasi che segua una musica»). Una difesa dal mondo e insieme una scoperta, raccontata con scrittura lucida, credibile. Come la voce dell’apprendist­a.

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