Corriere della Sera - La Lettura

La voce dell’ascensore

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Per prima cosa andammo in hotel a posare i bagagli. La voce registrata dell’ascensore annunciò: «Quinto piano, siamo arrivati al quinto piano». Era una voce femminile, e mi lasciai scappare un sorrisetto. In camera mia moglie mangiò il cioccolati­no di benvenuto, io rimasi seduto sul bordo del letto. Fuori, guardando la vetrina di un negozio di biancheria mi venne voglia di regalare un baby doll a mia moglie. Si andò a cena quasi con la speranza che ci saremmo divertiti. Ma il menù si rivelò turistico e il conto salato: chi si accorgeva di certe cose non poteva essersi divertito. Rientrati, mia moglie sparì in bagno, io mi accasciai sul letto. Dalla strada saliva il rumore della notte. Quando mia moglie uscì dal bagno io mi ero già addormenta­to. Dormire in fondo era un modo abbastanza semplice per scappare. Purtroppo mi risvegliai. Doveva essere molto tardi, perché non volava più una mosca. Chi si amava si era amato, pensai. Guardai il baby doll, giaceva ancora nel pacchetto. Uscii in corridoio così com’ero, in mutande. Chiamai l’ascensore e quando le porte si aprirono mi sentii avvolto da un brivido di piacere. Entrai nell’ascensore, sospirai e premetti il tasto per il piano terra. Dopo una manciata di secondi la voce registrata femminile disse: «Piano terra, siamo arrivati al piano terra». Lasciai che le porte si richiudess­ero e premetti il tasto per il quinto piano. La voce poco dopo annunciò: «Quinto piano, siamo arrivati al quinto piano». Ci sapeva fare. Mi eccitava e mi coccolava allo stesso tempo. Forse mi misi a piangere e ricomincia­i il giro.

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